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Il delitto Biagi
Stazione di Bologna, martedì 19 marzo 2002, ore 19.55. Il professor
Marco Biagi, consulente del lavoro del ministero del Welfare, guidato
dal leghista Roberto Maroni ma già collaboratore del ministero
del Lavoro quando il dicastero era guidato da esponenti del centro-sinistra
scende dal treno proveniente da Modena, dove insegna Diritto del
Lavoro allUniversità.
Con ogni probabilità unombra segnala il suo arrivo quando
Biagi sale sulla sua bicicletta: poche centinaia di metri e il consulente
sarà a casa.
Ore 20.05: arrivato davanti al portone della sua abitazione, situata sotto
un portico, in via Valdonica, vicino alle Due Torri, in pieno centro cittadino,
Biagi lega la sua bicicletta e fa per infilare la chiave nel portone.
Due uomini, il volto coperto da caschi integrali, giunti a bordo di un
motorino, sono già appostati dietro le colonne del portico. Uno
dei due apre il fuoco, probabilmente, con una cal. 9 corto, forse una
9x17.
Marco Biagi non fa in tempo ad inserire la chiave nella serratura: la
chiave cade a terra, mentre almeno quattro proiettili lo raggiungono,
due alla nuca: una vera esecuzione da killer professionisti.
Chi ha ucciso il professor Biagi, tecnico delle problematiche del lavoro?
Il giorno successivo, nelle caselle di numerosi indirizzi di posta elettronica
arriva un lungo messaggio di rivendicazione, firmato: Brigate Rosse, per
la costruzione del Partito Comunista Combattente, lultima sigla
del terrorismo rosso sconfitta ormai da tempo, la stessa che tre anni
prima aveva rivendicato unaltra misteriosa esecuzione, lomicidio
DAntona.
Perché uccidere Biagi? Nel lungo e contorto messaggio di rivendicazione
mutuato nel linguaggio da altri comunicati brigatisti ed in particolare
da quello per lassassinio di Roberto Ruffilli (Forlì, 1988)
Biagi è indicato come "ideatore e promotore delle linee
e delle formulazioni legislative di un progetto di rimodellazione della
regolazione dello sfruttamento del lavoro salariato". Il comunicato
di rivendicazione contiene anche attacchi durissimi al sindacato.
Lomicidio Biagi avviene alla vigilia di unimportante manifestazione
sindacale: lo sciopero generale - indetto da CGIL, CISL e UIL - contro
la modifica dellart.18 dello Statuto dei Lavoratori che consente
il licenziamento senza giusta causa, modifica di cui lo stesso Biagi era
stato uno dei sostenitori.
Ma il delitto Biagi oltre ad uninfinità di zone dombra
trascina con sé anche uninfinità di polemiche.
La prima: quella sulle scorte che gli erano state annullate pochi mesi
prima del suo assassinio. Una necessità di sicurezza che angosciava
il giuslavorista. Unangoscia che Marco Biagi aveva esternato in
diverse lettere inviate a personalità dello Stato che erano rimaste
senza risposta e che fanno della sua fine una morte annunciata.
Da "La Repubblica", 14 dicembre 2002
Gli investigatori lavorano su una coincidenza: i figli del giuslavorista
ucciso e del "garante" di Pegna andavano a scuola insieme
Biagi: il tutore e la vittima
Due famiglie unite dai bambini
BOLOGNA - La coincidenza ha fatto perdere molte notti di sonno a chi lavora
sull'omicidio di Marco Biagi. E da nove mesi, ciclicamente, i sospetti
tornano fuori. Uno dei figli del giuslavorista assassinato dalle Br che
va a scuola col figlio del "tutore" di Michele Pegna, ex Prima
linea, oggi clandestino. I due ragazzini che si incontrano a casa dell'uno
o dell'altro. Vanno a studiare dai Biagi, oppure a giocare dal "garante"
dell'irriducibile, quello che era stato incaricato dal giudice di occuparsi
dei suoi beni, delle sue pratiche burocratiche, come prevede la legge
quando c'è una condanna ad una lunga detenzione, superiore ai 5
anni, e la perdita dei diritti civili. L'uomo andava a trovare Pegna nel
parlatorio del carcere, alternandosi con la moglie, nominata "protutore".
I due, amici di Pegna dai tempi dell'università, avrebbero persino
dovuto ospitarlo a Bologna durante la libertà vigilata, se il brigatista
non avesse scelto la clandestinità appena fuori dalle sbarre di
Trani, il 14 gennaio 2000. Senza più dare segnali, lui che quei
"garanti" se li era scelti personalmente. I ragazzini sono amici
fin dagli ultimi anni delle elementari. Dalla quarta, cinque anni di frequentazione
stretta. Anzi, sempre più stretta. Soprattutto con l'inizio delle
medie quando si sono trovati di nuovo nella stessa sezione dello stesso
istituto. Da sempre le famiglie si alternano ad accompagnare l'uno a casa
dell'altro. Qualche volta il "tutore" con sua moglie, anche
lei amica di Pegna, qualche volta Marina Biagi. Dal 19 marzo solo lei,
senza Marco. Davvero una strana coincidenza quell'amicizia che attraverso
il "tutore", anello di congiunzione magari inconsapevole, e
Michele Pegna, avrebbe potuto far conoscere ai brigatisti molte delle
abitudini e dei movimenti del professore bolognese. Solo un caso? O qualcos'altro?
Quel tarlo ha continuato a rodere il cervello degli investigatori. Subito
dopo il delitto Biagi si sono precipitati dal "tutore" a rivoltargli
i cassetti, lì sotto le Due Torri vicinissimo all'abitazione del
professore ucciso. Ieri lo hanno perquisito un'altra volta. Di nuovo senza
risultati. E lui ha subito telefonato a Marina Biagi: "Anche lei
è molto dispiaciuta che l'amicizia dei nostri figli finisca sul
giornale come un fatto sospetto. La signora Marina pensa come me che i
ragazzi vadano assolutamente tutelati". In realtà l'uomo non
vede Pegna da prima della sua uscita dal carcere. "Lo aspettavo.
Era il gennaio del 2000. Erano pronte tutte le pratiche perché
io lo ospitassi nell'anno di libertà vigilata che doveva ancora
scontare. Ma a casa mia non è mai venuto, e non l'ho né
più visto né sentito. Non so niente di lui da quando è
fuori. Perché mi aveva scelto? Eravamo molto amici dai tempi dell'università.
Ma dopo un anno di silenzio ho avvisato i giudici che non sarei comunque
stato più disponibile a dargli appoggio. Ho chiuso i contatti.
Ma non certo per un sospetto di un suo coinvolgimento nel delitto Biagi.
Questo rapporto era finito prima. Pegna era stato inadempiente. Adesso
si ricomincia da capo. Credevo fosse finita". Alla fine degli anni
'70 Pegna e il suo tutore si davano da fare nel movimento studentesco
bolognese, erano molto attivi, "partecipavamo alle lotte politiche
universitarie". Incensurato, 50 anni, l'uomo è tuttora in
un collettivo di estrema sinistra riconducibile all'area dell'autonomia.
Fatica a credere che Pegna abbia scelto la clandestinità. "Non
me lo aveva mai detto apertamente, ma dai suoi discorsi quando era ancora
in carcere mi ero convinto che avesse abbandonato la lotta armata".
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