Premio Letterario “Emilio Agostini” 2006

Una lingua vertadera

Silvia Calamai

cop_linguavertadera

Collana “I Quaderni del Circolo

PHASAR Edizioni, aprile 2003

 

Il libro racchiude storie di parole e di vita raccolte da Silvia Calamai – linguista e esperta di dialettica toscana che svolge la sua attività scientifica al Laboratorio di linguistica della Scuola Normale di Pisa dove è impegnata in ricerche acustiche sul vocalismo toscano – dalla viva voce di uomini e donne di tutte le età che vivono in questo suggestivo paese arroccato sulle colline che chiudono la Valle del Cornia.

La prefazione del libro riporta le parole scritte dopo la discussione della tesi di Silvia Calamai da Gabriella Giacomelli già ordinaria di dialettologia italiana alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Firenze, socio corrispondente dell'Accademia della Crusca, direttore dell'Atlante lessicale toscano (scelte dalla stessa autrice che proprio con questo libro vuol ricordarne la memoria) “Si tratta essenzialmente – sottolinea Giacomelli di una ricerca linguistica scandita, secondo la norma, in fonetica, morfologia, lessico”.

“Silvia Calamai – continua  - non si muove in un terreno completamente vergine, diverse trattazioni avevano già compendiato le principali caratteristiche della Maremma: merito del lavoro avere centrato l'attenzione  su particolari fenomeni e di averli analizzati a fondo. Seguire la tesi della Calamai è stato per me una continua scoperta di persone, di parole, di particolarità grammaticali, di fatti linguistici interessanti sotto diversi punti di vista: la scoperta di una cultura legata a un ambiente boschivo che traspare vivido nella raccolta di etnotesti che chiude il lavoro così come nei brani proposti come esempio nella parte grammaticale e lessicale”.

“Il mio libro nasce – ricorda nell'introduzione la Calamai “dalla rielaborazione della mia tesi di laurea in dialettologia italiana discussa all'Università di Firenze nell'anno accademico 1996/1997. Debbo alla amabile tenacia di Fabrizia Lorenzelli e di Giuseppe Milianti del Circolo culturale Emilio Agostini l'uscita di questo volume pronto per la stampa già nel 1998”.

Il libro si apre con un capitolo dedicato alla geografia e storia di Sassetta. Illustra poi i criteri e i metodi seguiti nell'inchiesta sul campo , offre cenni di fonetica  e morfologia, affronta nella seconda parte il lessico attraverso l'esame di voci e termini sassetani alcuni nemmeno troppo conosciuti agli stessi abitanti del paese, affronta dialetto e letteratura, si chiude con una antologia di etnotesti raccolti direttamente dagli informatori in loco.

“Per il nostro Circolo Culturale – dice il presidente Giuseppe Milianti – decisamente piccolo come numero di soci ma sicuramente attivo e ricco di iniziative e proposte molte già realizzate, la presentazione di questo libro rappresenta il momento più significativo a oggi. Riprende e completa, in modo altamente scientifico, quanto già avevo sottolineato e mi ero augurato nel 1997, in occasione della presentazione di un Vocabolarietto di voci e modi  peculiari sassetani usati da Emilio Agostini  in Lumiere di sabbio. Sottolineai allora che sarebbe stato molto bello e interessante riscriverne uno nuovo, sassetano, con i criteri di oggi. Grazie allo splendido e attento lavoro di ricerca di Silvia Calamai e a questo suo libro – conclude il presidente  del Circolo Agostini – il nostro obiettivo suggerito allora è stato raggiunto. E ne siamo orgogliosi”.

Gianni Gorini

L’Autrice

Silvia Calamai, linguista ed esperta di dialettologia toscana, svolge la propria attività scientifica presso il Laboratorio di Linguistica della Scuola Normale di Pisa, dove è impegnata in ricerche acustiche sul vocalismo toscano.

 

Sassetta è un piccolo paese dell'Alta Maremma (650 abitanti circa per un territorio di 26,59 Kmq), ed è un microcosmo piuttosto isolato – almeno fino a qualche anno fa – adesso è meta di qualche turista curioso, tra i molti che ogni estate affollato quel tratto di costa denominato “Riviera degli Etruschi”. Qui sono state svolte le inchieste per la mia tesi di laurea in Dialettologia Italiana, sotto la direzione della Prof.ssa Gabriella Giacomelli.

Ho coinvolto circa 20 persone native di Sassetta, alle quali sono stati sottoposto due questionari – uno a carattere lessicale e uno a carattere morfologico – questionari che avevo elaborato nella fase preliminare del lavoro, sulla base di un cospicuo numero di testi liberi e di testi guidati con l'ausilio del registratore.

Non è stato facile prima di tutto stabilire se il dialetto sassetano sia più vicino al dialetto livornese o piuttosto a quello pisano – fermo restando che i due sistemi linguistici sono estremamente vicini e poco facilmente differenziabili: del resto anche la letteratura specialistica ricorre spesso all'etichetta di “pisano-livornese”. Il dato notevole emerso durante le inchieste è un'incertezza diffusa negli stessi informatori per quanto riguarda la posizione linguistica del sassetano: alcuni hanno sostenuto di parlare un dialetto pisano, altri un dialetto livornese, altri ancora non hanno preso posizione, un informatore infine ha affermato con convinzione che il sassetano somiglia molto al dialetto lucchese; l'autocoscienza comunitaria riflette in questo caso una questione non risolta sul versante degli studi linguistici. Sembra si stia verificando a Sassetta una situazione di frattura tra generazione anziana e generazione giovane: la prima è portatrice di alcuni tratti generalmente pisani e nord-occidentali (come la chiusura della /o/ tonica nelle prime persone dei presenti monosillabici e dei futuri e nelle terze persone dei perfetti tronchi), la seconda è portatrice invece di tratti più tipicamente livornesi. Due sono i domini sui quali ho affermato la mia attenzione: il comportamento delle vocali toniche e l'interiezione. Uno dei tratti più frequentemente utilizzati dalla letteratura per differenziare il livornese dal pisano è appunto la maggiore apertura vocalica: in base al materiale raccolto ho notato che questa caratteristica così tipizzante e così facilmente percepibile è assente o scarsamente presente nella generazione anziana e negli informatori più conservativi di mezza età, mentre è predominante  nei giovani, soprattutto in contesti di rilevanza pragmatica e di prominenza informativa. Anche nell'interiezione si verifica una simile spaccatura: gli anziani usano (o piuttosto usavano) l'interiezione , nei giovani e nelle persone di mezza età occorre più spesso la forma con la consapevolezza pressoché unanime di usare un morfo “importato”e non schiettamente sassetano. In realtà pare aver influito sul vocalismo di , visto che l'interiezione livornese (dèh) presenta una /e/ aperta e non chiusa come quella del sassetano .

Anche il lessico sassetano offre materiali interessanti, e in alcuni casi dall'aspetto decisamente conservativo: mi sono concentrata su voci ed espressioni particolari da un punto di vista etimologico e/o geolinguistico. Ci sono voci che appartengono genericamente all'area toscana e che sono entrate a far parte del lessico italiano ma che in realtà sono cadute dall'uso: è il caso di nafantare “darsi da fare, affaccendarsi” e di valezzo/balezzo  forza”. Ci sono voci che hanno un'estensione più ristretta: Toscana centro-occidentale per allazzo/a nel significato di “panno umido”, per grenno “muco nasale”, per zimbrone “residuo di pianta tagliata, sporgente dal terreno”; Toscana nord-occidentale per bezzuga “tartaruga”, chioccare “bere con avidità”, grétola “persona chiacchierona” e “persona di poco valore”, oncone “conato di vomito”, pitta “capelli lisci sulla nuca”, ringhiangolire/ringhiandolire “essere intirizzito dal freddo” e “diventare vizzo e duro (detto di frutta), sarcello/sorcello “cercine”, sciumicare “colare, versare”, sondro “lentisco”, vertadero/a “veritiero, verace”; area pisano-livornese per  cappiume “mangime per i polli”, per costia “appezzamento di terreno vicino al paese”, per ghizza “formica rizzaddome”, per rògiolo/ròsolo “ramarro” e per  stampita nel significato di “bizza, pianto di bambino”; area pisano per bòro “noce più grossa per il gioco delle castella e chionzare “abbandonare”. Meno facilmente definibile è il quadro areale di bézzera “capra”, “ciuffo di capelli” e “persona disordinata” di falagia “foglia incenerita che si solleva in aria”, di pillottare “steccare l'arrosto” e “assillare”, di scettinare “sciupare” e di sviègio/a “difficilmente contentabile, noioso, antipatico.

Ci sono infine voci e locuzioni che, in base ai dati degli atlanti linguisitici e dei repertori dialettali, paiono attestati solo nel dialetto sassetano: tirare gli aglietti “morire”, artina “aria fredda che circola nelle valli”, camerella “spazio vuoto nel bosco”, coroncio “cantuccio di pane”, còzzera “corteccia dell'albero, fischiona “vinello”, foranchio “dirupo”, girantella “lucertola”, insornirsi “insospettirsi”, lucignolone “calabrone”, pappadella “castagna vuota nel guscio”, patassa “carbone di bassa qualità”, scalabreto “luogo impervio”, sesticare “tormentare, rimproverare”, vèrica/bèrica “lagna”. Tra questi ultimi hapax, due voci mi sono sembrate degne di particolare attenzione: il verbo insornirsi e il sostantivo vèrica/bèrica. Ma per gettare una luce su di esse è necessario fare una breve parentesi di carattere storico: Sassetta è stata dal 1563 fino al secolo XVIII un feudo di una famiglia spagnola, originaria della Vecchia Castiglia, i Montalvo Ramirez: è quindi possibile che questa presenza abbia lasciato qualche traccia anche a livello linguistico. Insornirsi e vèrica/bèrica, voci che non sembrano avere altre attestazioni in area italiana – possono essere confrontate con voci parallele di araea ispanica.

Al materiale orale raccolto sono state affiancate poi fonti letterarie: un narratore e poeta sassetano, Emilio Agostini (1874-1941), annoverato tra le fonti del “Vocabolario Pisano” di G. Malagoli, ha scritto una raccolta intitolata Lumiere di Sabbio, corredata da un Vocabolarietto finale e edita da Giusti nel 1902, raccolta caratterizzata da numerosi toscanismi lessicali e da alcuni toscanismi morfologici, che ho schedato ed analizzato uno per uno. Il fatto notevole è che tutto ciò che poteva essere percepito dall'autore come schiettamente dialettale viene sistematicamente emendato in un'edizione successiva stampata a Firenze per i tipi di Bemporad (tra le correzioni più macroscopiche: verchione è corretto in chiavistello, bezzuca in tartaruga, scurino in imposta, soveggino in cinghia di cuoio....).

Appare dunque rimarchevole la modalità con cui uno scrittore percepisce e valuta il proprio bagaglio dialettale, così come degna di nota è stata anche un'altra produzione letteraria reperita a Sassetta – estremamente diversa per tipologia, ma ugualmente volta a illuminare, da un'angolatura supplementare, il dialetto del piccolo paese: ci rifreriamo ad una composizione in ottava rima ancora diffusa nelle campagne toscane, La Pia de' Tolomei di G. Moroni detto il Niccheri, opera che ho potuto registrare dalle voce di un poeta bernescamente sassetano. Il testo a stampa presenta tratti genericamente toscani e altri più tipicamente fiorentini: è stato allora interessante vedere come nell'esecuzione del testo il dialetto del poeta improvvisamente si sia sovrapposto a quello dell'autore della composizione: proprio nell'esecuzione de La Pia è presente una testimonianza isolata, che ha l'aspetto di un vero e proprio relitto, di lC<rC (paltiti invece di partiti).

Il dialetto di Sassetta è stato descritto dunque da differenti punti di vista, che insieme vorrebbero contribuire a fornire l'immagine di un microcosmo vitale e dinamico: esso potrebbe rappresentare allora un punto di partenza per valutare come e quanto il dialetto livornese sia percepito dalla comunità come un modello di prestigio al quale adeguarsi, e – più in generale – quale aspetto assuma nell'area occidentale della Toscana questa limitata espansione di elementi tipizzanti ascrivibili appunto al dialetto livornese.

 

 

Il Premio Letterario

 

I Quaderni del Circolo