Piccolo grande amore

 

Quella mattina si era alzata presto, con gli occhi semichiusi aveva fatto scivolare sopra di sé i panni che la madre le aveva preparato il giorno precedente, e si infilò in macchina, mentre già riprendeva un sonno leggero, ma molto rilassante. Sentì l’auto partire, e percorrere silenziosamente la strada, nell’aria asciutta e fresca di quella mattina di marzo. Quando la macchina si fermò, erano le 6:21. L’appuntamento era stato fissato per le 6:30, ma lei, odiando arrivare in ritardo, riusciva sempre ad essere in anticipo. Lo scossone del motore che si arrestava la fece trasalire, e sbarrò impaurita gli occhi, che solo dopo un primo momento di smarrimento si ritrovarono in quella situazione del tutto insolita.

Così Laura si precipitò fuori dalla vettura, mentre il vento gelido la faceva svegliare completamente. Si accorse di essere rimasta in macchina per troppo tempo, infatti molti dei suoi compagni erano già lì. Salutò con sufficienza gli amici, che ricambiarono con la stessa tiepidezza: l’occasione per la quale si erano ritrovati in piazza quella mattina era festosa, ma l’ora e il sonno che ne conseguiva mitigavano anche gli animi più irruenti e vivaci. Vide arrivare i restanti compagni, poi l’autobus, salì salutando in fretta i genitori, e prese posto accanto alla sua vicina di banco.

La mente intanto non poteva fermarsi dal fantasticare: cinque giorni sola, con i suoi amici, a divertirsi assieme e a non dormire, a parlare scherzosamente con le prof, ed inseguire il sogno che aveva rincorso da quando si era saputo che la sua insegnante preferita li avrebbe accompagnati in gita: parlare. Parlare.. di tutto, di tutti, bastava sapere cosa ne pensasse.. cercare di capire come vedesse lei questo mondo, che Laura calcolava solo come un ammasso di debolezze miste a qualche raro attimo di felicità. Quasi si pentiva della mail che il giorno precedente aveva spedito ai suoi “amici” virtuali, nella quale si lamentava di non voler partire, per non vedere sacrificata la sua solitudine, e le sue lunghe riflessioni chiusa in camera, a parlare con il portatile del padre.

Non si accorse che erano partiti già da mezz’ora, che nelle orecchie la musica scorreva lenta ma inesorabile, e che stava finalmente andando in gita con la sua classe. Si tolse le cuffie: era troppo eccitata per non parlare e tenere i suoi sentimenti “chiusi dentro ad un barattolo”, come avrebbe detto lei. Il viaggio era lungo, e per quanta fosse l’eccitazione per quella “vacanza” ufficializzata, le ore di pullman cominciavano a farsi sentire.

Intanto notò con una gioia sbarazzina e fanciullesca come anche quel ragazzo fosse lì. Non che gli piacesse, ma provava per lui come un’ammirazione, una stima, che, sprofondata in un angolino della sua anima, saltava fuori nei rari casi in cui lo incontrasse. Chissà se fosse riuscita a parlare anche con lui. Aveva il sorriso sulle labbra, e se ci fosse stato qualcuno che l’avesse conosciuta fino in fondo, avrebbe capito ancor prima di lei come questo ragazzo la emozionasse.

Si accucciò nel suo sedile, e dormì. Al risveglio si accorse di come fosse vicina la meta, ed anche se il fatto che l’autista non trovasse la strada avrebbe dovuto quantomeno farla arrabbiare, quell’euforia che aveva nel cuore rendeva ogni cosa sfumata, soffocata dall’incontenibile eccitazione per la nuova esperienza.

Dopo quella mezz’ora in più di viaggio era veramente esausta. Faceva caldo, e sentiva che la maglietta che aveva era completamente bagnata sulla sua schiena. Era ora di cena, ma nessuno aveva voglia di mangiare: non si poteva neanche pensare lucidamente con quell’afa. Si sistemarono nelle rispettive camere, e si diedero appuntamento proprio nella stanza di Laura e delle sue amiche. La camera si riempì, era impossibile respirare. Da quello che successe sembrava che quella gita sarebbe stata all’insegna di azione sovversive. Le sue due compagne cacciarono tutti dalla stanza, non volevano certo attirare guai su di loro che non c’entravano nulla; poi si spostarono assieme alla massa in un’altra camera, sperando che la serata si svolgesse per il meglio. Laura rimase dov’era: aveva sonno, gli avvenimenti della serata non gli erano piaciuti, inoltre aveva un mal di pancia insopportabile.

Si svegliò per ultima, e per ultima usufruì del bagno, come era stato stabilito. Scesero a fare colazione, ma fu l’unica mattina che mangiarono assieme agli altri. Infatti il servizio a buffet non soddisfaceva né Laura, né le sue amiche, che decisero di mangiare tutta quella serie di dolci e merendine che si erano portate da casa. Dopo un quarto d’ora si ritrovarono sull’autobus, che li avrebbe portati a Venezia. Laura si voltò, era interessata a vedere l’umore generale della carovana dopo la prima notte fuori casa. I più dormivano, segno di come fossero stati svegli la notte; altri, con le cuffie alle orecchie ma gli occhi chiusi, facevano nascere qualche dubbio.

Sorrise. Lo stesso sorriso del giorno precedente, sbarazzino ed intrigante. Aveva ancora quell’espressione stampata sul viso quando si accorse di quel ragazzo, tre sedili avanti a lei, che guardava quasi malinconico il paesaggio attraverso il vetro. Un brivido gli percorse la schiena, poi quel pensiero che cominciava a chiedere più insistentemente di entrare nel cuore di Laura, mentre il giorno prima si era rivelato solo come un sussurro. Cacciò via quella fastidiosa domanda, non voleva pensarci. Distolse lo sguardo, e cominciò a fantasticare su altro.

Il giorno passò in fretta, come di solito avviene in questi casi, e l’allegra compagnia di ritrovò a sera, a discutere su che locale scegliere per festeggiare il compleanno di due ragazzi. Laura non voleva andarci, odiava i pub. Gli tornava in mente una canzone di un cantante che amava “le pecore sono già in discoteca, mentre ballano l’anima non sa che fare”… lo pensava veramente. A salvarla dalla triste sorte arrivò un ragazzo, che aveva conosciuto in chat, e con il quale aveva passato tante vicissitudini, anche se oramai non erano altro che lontani amici. Parlarono per un’ora intera, o meglio, Laura parlò, per evitare di dover combattere con quell’incolmabile silenzio che li divideva. Naturalmente omise questo particolare quando riuscì a realizzare il suo sogno parlando con la sua insegnante e si affrontò l’argomento. Ma la serata non voleva finire: quando tutti si furono ritrovati in albergo, si radunarono come la sera precedente nella camera di un amico, rimanendo svegli fino alle quattro e mezza.

Lascerò i particolari dell’altra mattinata, dove gli unici avvenimenti entusiasmanti erano in ricordo della notte appena trascorsa. Laura ed una sua amica, che sarebbero state poi accomunate dalla stesso sogno, avevano litigato con delle altre compagne, e si consolavano davanti ad una fetta di pane e nutella, che un dito pensava prontamente a spalmare, mentre la parte restante della comitiva si ritrovava sempre nella stanza di qualcuno. Chiarito l’inconveniente con le sue amiche, Laura venne a sapere che anche quel ragazzo si era ritrovato in una camera assieme a tutti gli altri. Ebbe un tuffo al cuore, trasalì, trattenne a fatica un’espressione di stizza, e poté sfogarsi solo con un “Ah sì?” monotono e fintamente disinteressato. Si chiese il perché di quella inaspettata reazione. La domanda a cui temeva di dover rispondere adesso appariva chiara a limpida nel suo cuore, e le imponeva di dire se gli piacesse o meno.

Non lo sapeva.

Ci pensò tutta la notte, in uno stato di dormiveglia. E se fosse solo semplice ammirazione? Semplice voglia di parlare con lui, visto che lo stimava e lo riteneva un ragazzo diverso dalla massa? Era confusa, e non lo accettava. Odiava perdere la razionalità, perché era l’unica cosa che la faceva sentire unica, dissimile da tutti. La usava sempre e comunque, perché era una scienza esatta, sulla quale appoggiarsi e della quale potersi sempre fidare. Ma in quel momento aveva perso del tutto il controllo, e avrebbe voluto urlare… capire.

Era arrivata intanto la penultima sera, e a grande richiesta si optò nuovamente per la discoteca. Laura, come la prima volta, aveva deciso di rimanere in albergo, fin quando la sua insegnante entrò nella stanza, ed invitò tutte in discoteca, non so se cosciente che lei, ad una richiesta di quella professoressa, avrebbe acconsentito portandosi dietro le altre. Una volta arrivate, vide quel ragazzo ballare, di sfuggita, un istante soltanto, ma nulla poté impedire al suo cuore di sobbalzare ancora una volta. Cercò di non pensarci, con l’aiuto di quella stessa amica di prima, il cui sogno comune le avrebbe divise. L’unica cosa di cui avrà per sempre il rimorso quella sera fu il non aver parlato con l’insegnante, che si era gentilmente accostata alle due con un sorriso tanto sincero quanto inusuale, per conversare un po’.

Uscirono, si radunarono di nuovo, per cercare di passare nel modo più indimenticabile la loro ultima serata. Laura e le altre due sue compagne decisero di rimanere sveglie tutta la notte, che in parte sarebbe trascorsa senza che se ne accorgessero. Prima i consueti passaggi di stanza in stanza, poi l’evento tragico, che trafisse l’anima di Laura. Avrebbe voluto parlarne direttamente all’insegnate, non so se come segno di fiducia, o come un “grazie” per il sogno realizzato, ma nessuno era d’accordo con lei, anche se aveva nettamente ragione, e fortunatamente tutto si risolse per il meglio.

Ultimo viaggio, verso casa. Si fermarono solo per visitare Padova, che fu la meno acclamata delle città viste, forse per la pioggia, forse perché la maggioranza dei ragazzi avrebbe voluto dormire, dopo la notte praticamente insonne di tutti.

La comitiva si fermò aspettando il consenso per entrare a visitare un palazzo, e fu lì che lo rivide. Davanti a lei, a pochi passi. Lo osservò allontanarsi, a controllare che questo permesso gli venisse accordato, poi tornare indietro per avvertire gli altri. Guardava quel ragazzo, e nei suoi occhi si specchiava l’anima di Laura, sempre più confusa sui suoi sentimenti, e corrugava la fronte, come presa da problema senza soluzione, o arrabbiata contro qualcuno.

Effettivamente, lo era, con se stessa. Non capiva come mai non riuscisse a non fissarlo, scrutandolo nel profondo. Scosse la testa, doveva andare. Ma questi pensieri tornarono prepotentemente a fare da padroni, quando Laura si sedette nuovamente sull’autobus, costringendola ad affrontare il problema.

Forse era solo ammirazione. Forse. Stima, affetto fraterno… Non riusciva ad ammettere che gli piacesse, ed anche se la ragione di questo era chiarissima, fece finta di non notarla, convincendosi che era solo una profonda ammirazione.

 

Sono passati oramai due mesi dalla gita alla quale Laura ha partecipato, e chiusa nella sua camera la mente fantastica, ripensando alle occasioni che non ha sfruttato per parlare con lui.

Due mesi… di sensazioni, di emozioni intensissime, per una parola, per quel “ciao” distratto per il quale era diventata completamente rossa, per quella volta in cui scoprì, con sua sorpresa, come lui sapesse il suo nome, e si divertisse a fare il bambino con lei. E poi… quegli sguardi intensi, che la facevano rabbrividire…

Ogni tanto si dilettava a ricordare un sogno, fatto qualche tempo prima: questo ragazzo l’aveva guardata, e, prendendola per un braccio, l’aveva trascinata da una parte. Qui l’aveva fissata intensamente negli occhi, prima che Laura distogliesse lo sguardo.

“Perché?” disse lui

“Perché cosa?”

“Perché non riesci a guardarmi…”

“Perché non riesco a sostenere il tuo sguardo… come non riesco a sostenere le sue mani che stringono le mie spalle in questo momento”

Lui aveva scostato subito le mani, l’aveva guardata ancora, e poi abbracciata, così intensamente… mentre lei cominciava a piangere felicissima… e ricordava di come era andata dalla sua insegnante… e le aveva raccontato tutto… come avrebbe fatto una figlia alla madre…

Ed ora, seduta sul letto della sua camera, rivangava con la mente tutti quei piccoli momenti nei quali si era sentita importante per lui, nei quali aveva pensato che forse… forse tutto sarebbe andato come nella più bella favola.

Ricordava quando aveva accompagnato una sua amica che, incontrandolo, si era messa a parlare con lui, presentandoli alla fine della conversazione. Era diventata rossa, ed ora le sembra di rivivere quelle sensazioni.

Un sorriso amaro compare sul suo viso… non è sola. Deve ricordarsi che non è sola. Che lì, vicino a lei, c’è un’altra persona attratta da questo ragazzo, e che… e che Laura soccomberà in questo truce e brutale scontro.

Infatti, dopo la gita, si scoprì che anche una sua amica fosse emozionata da questo ragazzo, e da allora era cominciata una rivalità celata ma inesorabile, nascosta dalle provocazioni che ognuna faceva sull’altra, o dalle reciproche supposizioni su chi guardasse.

Quando sogna ad occhi aperti, quasi se ne dimentica, per poi tornare alla realtà dei fatti. Davanti a lei compare l’immagine di quel ragazzo, mentre la saluta, mentre accenna quel sorriso sperato, e fantastica… su come sia il suo reale carattere, che assomiglia ad un puzzle irrisolvibile ora, pieno di bisbigli e di pettegolezzi sentiti da questa, o da quella amica.

Attende… guarda l’infinito stagliarsi davanti a lei, ma non riesce ad afferrarlo… quell’infinito non le appartiene… e lei lo sa… per quanto cerchi di disilludersi, di pensare ad altro, eccolo tornare, implacabile, ad infliggere ancora colpi ad un corpo già stremato da una battaglia fatta di sguardi rivolti alla sua amica, e di compagne che incoraggiano l’altra farsi avanti. Laura anche è tra quelle, prima di chiudersi nella sua solitudine e piangere… tornare nel tunnel delle emozioni che sa di non poter vivere… non ancora…

Questa è una storia senza finale, purtroppo. O almeno, ancora non ne ha uno. Perché la timidezza uccide gli animi, e li tiene prigionieri… ognuno possiede però la sua speciale chiave per aprire questo scrigno… se le lettere potessero volare da un cuore ad un altro, io avrei trovato la mia… e anche Laura. Chissà se quel ragazzo troverà mai la sua chiave, e scioglierà da quest’incubo la ragazza che lo ama… e se dovesse finire con la morte della protagonista, ci sarà sempre la sua amica a prendere il posto dell’eroina caduta… e se, come tutte le favole irrealizzabili, si dovesse risolvere con un “vissero felici e contenti”, allora Laura cambierà… e comincerà finalmente a vivere…