Ad un passo dall'inferno

 

Residenza di Scully     12/04/01    7: 35 PM

Scully piangeva. I suoi occhi erano inabissati dalle lacrime, e sembrava soffocassero sotto di esse. Era sdraiata sul suo letto, sul fianco sinistro, dando le spalle alla porta, e guardando, per quanto le permetteva il fiume salato che bagnava il suo volto, fuori della finestra. Un mistico tramonto governava la pianura circostante, gli alberi alti disegnavano lunghi stili nella terra umida, le piante tentavano di asciugarsi al mite sole che si stava confondendo all’orizzonte, e tutta la natura trovava refrigerio, dopo il violento temporale che si era abbattuto su Washington DC tre ore prima.

Il suo dolore era iniziato assieme alla pioggia, ma non era andato via con essa. Il ricordo di ciò che era successo non l’avrebbe abbandonata mai. E lei lo sapeva.

Anche per questo non riusciva a placare quel fiume che le inondava il viso umido e sconvolto. Mulder l’aveva lasciata davanti la porta del suo appartamento ed avrebbe voluto fermarsi con lei, non lasciarla sola. Non in quel momento. Scully non aveva fatto molto per evitare che entrasse, e rimanesse con lei. Semplicemente, senza voltarsi, aveva teso la mano indietro, col palmo aperto, ma visibilmente stanco, e debole, come se la mente non badasse a quell’arto, che agiva senza controllo. In un’altra circostanza Mulder sarebbe entrato. Avrebbe scansato la mano della collega, accompagnando il gesto con una battuta ironica e scherzosamente scocciata. Ora non aveva neanche il coraggio di pregarla a parole. Raccolse quelle poche forze che aveva ancora in corpo, per dirle qualcosa che le facesse capire che non era sola. Che non era l’unica a soffrire, che lui le era vicino. Ma riuscì solo ad emettere un suono rauco ed appena udibile. Decise di non insistere, sarebbe stato inutile per entrambi.

Riflettendoci, anche lui voleva stare solo. Chiuse la porta senza salutare, mentre vedeva Scully scomparire in camera da letto. Si voltò, e scese riluttante le scale, rinfacciandosi di non essere rimasto con lei. Avrebbe dovuto farsi coraggio, mettere da parte il suo egoistico dolore, e fermarsi a casa di Dana. Salì in macchina, e si sbloccò quale secondo. Stava per scendere dalla vettura, e tornare indietro, quando la sua mano destra accese il motore dell’auto, ed una parte di sé cominciò a guidare, in attesa che tutto il corpo si concentrasse sulla strada.

Scully aveva intanto cambiato posizione. Ora nascondeva il volto distrutto con il braccio, a pancia in sotto, tanto che faceva fatica anche a respirare. Aveva l’impressione che tutto il mondo la stesse guardando, ora che soffriva, ora che piangeva, e che nessuno doveva vederla. In realtà, come si rese conto a distanza di anni, non voleva che Mulder la guardasse. Mulder era il suo mondo, o per lo meno, il solo che gli importasse. Ma questi pensieri erano talmente confusi nella sua mente affogata dalle lacrime, che non si rendeva neanche conto di formularli. L’unica cosa che risplendeva chiara e lucente, facendo crescere in lei una rabbia inaspettata, era il ricordo di ciò che le avevano detto nel pomeriggio. A poco a poco infatti, al dolore si mischiò una rabbia profonda, che represse a forza deglutendo con arroganza.

“Aborto involontario”, ecco cosa c’era stampato nella sua mente.

E queste parole echeggiavano, stordendola, e rendendola sempre più debole.

Abortoinvolontario abortoinvolontario abortoinvolontario abortoinvolontarioabortoinvolontario abortoinvolontarioabortoinvolontario.

Le sembrava che questa frase la guardasse, e con un sorriso maligno la obbligasse a non distogliere i suoi pensieri su qualcos’altro. Fece un respiro profondo, due, tre, il quarto fu rotto dai suoi singhiozzi, che riprendevano dopo una breve pausa.

Si sentiva stanca. Inutile. Senza più uno scopo nella vita.

La sua volontà di disperdersi, di non essere più nulla, di farsi mancare le forze e finirla, non veniva ascoltata da nessuno. Per un’impercettibile frazione di secondo, smise anche di credere in Dio. Poi, ritrovata un briciolo di fede, ma non di speranza, pregò che morisse. Ma l’unico desiderio che le fu esaudito fu quello di riposare un po’, di farla smettere di pensare, attraverso un sonno profondissimo, privo di sogni, ma anche di incubi.

 

Residenza di Mulder     12/04/01     8: 03 PM

Mulder era giunto a casa, dove il caos regnava dall’ultima volta che la madre era stata lì, prima di morire. Con un volto apatico entrò nella desolata cucina, aprì il frigorifero, bevve un sorso di latte, prese una manciata dei suoi adoratissimi semi di girasole, e si abbandonò sul letto disfatto. Cominciò lentamente a mordicchiare la magra pietanza che teneva stretta nella mano sinistra, mentre i suoi pensieri ricadevano a tradimento su Scully. E su Samantha. Il dolore che sentiva assalirgli il diaframma lo stava lentamente uccidendo, ma forse era meglio così. Anche lui avrebbe voluto farla finita. Ed in quel momento si sentì talmente vicino a Scully,  che le parve quasi di toccarla, mentre un brivido gli irrigidiva la schiena. Stava costatando il suo dolore. Stava cercando di immaginarlo nel corpicino piccolo e fragile di Dana. Questo gli faceva ancora più male. Se avesse potuto riversare il dolore che li stava distruggendo solo su di lui e morire, lo avrebbe fatto senza pensarci un istante. Scully si sarebbe rifatta una vita. Lui avrebbe smesso di soffrire. Sembrava un piano perfetto, se le leggi della natura non lo avessero reso impossibile.

Adesso immaginava come sarebbe dovuta essere sua figlia: e l’unica cosa che vedeva era il volto della sorella. Un’intensa fitta al petto lo fece trasalire. Anche se quella storia sembrava finita, era sempre pronta ad azzannarlo, quando meno se lo aspettasse.

Poche cose nella vita gli erano state care: la sorella, la madre, la figlia, la verità, e Dana. Ora si rendeva conto di non avere nessuno di questi suoi punti di forza. Si sentiva svuotato.

Non possedeva più nulla, o non lo aveva mai posseduto.

La vita lo stava abbandonando, portandogli via cose che credeva fossero sue, ma che in realtà non gli erano mai appartenute, facendogli doppiamente male.

Da qualche minuto piangeva silenziosamente, come per paura di svegliare il suo orgoglio, che lo avrebbe fatto alzare ed ingoiare quest’altro dolore, farlo giacere nell’ombra, facendogli proseguire il suo cammino, sapendo che alla fine sarebbe morto, sopraffatto dai suoi stessi mali.

E quasi sussurrando si concedeva di star male, di sfogarsi, di implorare pietà, e di supplicare aiuto.

Ripiombato nell’abisso senza fondo delle sue emozioni, tornò a pensare a Scully, a ciò che avevano passato assieme; a sua sorella, a chi l’aveva rapita; alla sua bambina, e a colui che aveva spinto Dana in quel burrone facendogliela perdere.

Ed improvvisamente sentì nuova forza nella braccia, e tutto il suo dolore si tramutò in rabbia selvaggia, i suoi occhi si riempirono di veleno, e l’odio si impossessò del suo corpo. Si alzò furiosamente dal letto, e si scaraventò come un ossesso sull’armadio di frassino, gettando a terra tutti i vestiti, e fracassandolo al suolo. Il rumore assordante di ciò che distruggeva penetrava nella sua anima dandogli nuova forza. Con la stessa foga si diresse in cucina, e gonfio di rabbia per il ritrovato silenzio dell’appartamento, aprì la credenza rovesciando a terra piatti e bicchieri, che si infransero al suolo con un frastuono inimmaginabile. Sentiva quel gran fracasso entrargli nel cuore, confonderlo e stordirlo. Tornò in camera, e si accasciò privo di forze sul letto. Chiuse gli occhi. Oramai il suo orgoglio si era svegliato. Non del tutto, ma quel tanto che bastava per fargli riprendere lucidità. In quel momento si sentì fuori dal suo corpo, solo materia, molecole, atomi. Voleva parlare, dirsi con voce dura ed autoritaria “basta, calmati”, ma ancora una volta, emise solo uno stridulo grido sommesso. Aveva urlato. Senza accorgersene, ma aveva urlato. Non se ne era reso conto, ma il rumore che lo frastornava non proveniva solo da fuori, ma anche da sé stesso. Anzi, forse veniva unicamente da sé stesso. Deglutì a fatica, poi, come un bambino che si risveglia da un incubo, serrò lo sguardo, e mosse le labbra, componendo il nome di Scully.

Aveva avuto un attimo di indecisione, ma poi si era imposto di non pensare. Alzò il telefono.

 

Residenza di Scully, residenza di Mulder     12/04/01    10:25 PM

Scully sentì squillare, ma inizialmente non capì cosa fosse. Era stranamente confusa, aveva i ricordi annebbiati, come se avesse bevuto. Eppure, non lo aveva fatto. O almeno, questo era quello che ricordava. Il secondo squillo gli sembrò più deciso di prima, come se le ordinasse di rispondere. Si strofinò gli occhi come faceva da ragazza, sospirò, e rispose. Per un istante, aveva anche dimenticato tutto il suo dolore. Fu Mulder dall’altra parte del telefono che glielo fece tornare in mente.

“Pronto?” cominciò Scully, cercando di dare un tono se non sereno, almeno piatto alla parola.

“Scully? Sono io”

Una fitta prese la donna, che allontanò da sé la cornetta, quasi a scacciare fantasma.

“Scully, ci sei?”

La voce di Mulder la supplicava di rispondere. La stava implorando. Non poteva lasciarlo così. Pensò che anche lui dovesse star male, così prese coraggio da quella voce, che tentò per la terza volta di far parlare Dana.

“Ciao Mulder”

Avrebbe voluto continuare, ma le parole le si strozzarono in gola.

“Volevo solo sentire come stavi. Tutto ok?” –poi si accorse di quanto la domanda fosse sciocca, e superficiale, e così cercò di rimediare- “Cioè, volevo dire…”

Scully lo bloccò. Sicuramente anche lei avrebbe detto una banalità simile, nella stessa situazione, contrariamente a come pensava Mulder in quello stesso istante.

“Non preoccuparti, Mulder, sto bene“. Poi, come se il collega le avesse posto la domanda, si giustificò: “Avevo solo bisogno di stare un po’ da sola. Mi spiace di averti mandato via in quel modo”.

Mulder avrebbe certamente contrastato con una battuta ironica quella risposta senza domanda, ma non era dell’umore giusto per farlo. E poi, era comunque riuscita ad avviare una conversazione, per quanto stentata ed imperlata di lunghe pause.

“Non fa niente”. Ora non sapeva più che dire. Alzando il telefono, gli si erano scontrate nella testa tante di quelle cose da dire a Scully, che ora non gliene rimaneva nessuna. Ma non voleva finirla lì. Voleva sentirla parlare. Voleva capire come stava. Voleva stare con lei, aiutarla.

“Vengo da te”, affermò con decisione, ed attaccò prima che Dana avesse potuto ribattere.

Questa fissò la cornetta, dalla quale oramai usciva solo un lieve battito ripetitivo: “Sei sempre il solito”. Sorrise con un angolo della bocca, poi si pentì. Una vita si era spenta, dentro di lei, e si era concessa il lusso di sentirsi felice. Quasi se ne vergognava. Ma il suo dolore stava già tornando possente, che la sua coscienza, paradossalmente, si rincuorò.

 

Residenza di Scully     12/04/01    11: 00 PM

Mulder era entrato da qualche minuto oramai, si erano regalati un breve ma intensissimo sguardo, per poi ricadere nell’Ade. Riuscivano a sentire i secondi scanditi dall’orologio posto sul comodino di Scully, ma le parole contenute in quel magico silenzio, compensavano perfettamente i loro mali. Avrebbero parlato solo quando quell’emozione non gli fosse bastata più. Ora si davano le spalle, seduti ai lati opposti del letto, ma ognuno sentiva l’altro dentro di sé. Contrariamente a come si potrebbe pensare, fu Mulder a cercare Scully, sentiva il dolore riprendere il sopravvento, ed aveva paura di perdere nuovamente il controllo. Rimanendo nella posizione in cui si trovava, fece solo cadere la schiena indietro, stendendosi parallelamente al muro. I suoi capelli sfioravano appena la vita di Dana, che sentì il letto incurvarsi dietro di lei. Girò indietro il braccio destro, e lentamente cercò la guancia di Mulder. Vedendo le sue difficoltà, egli stesso poggiò la mano su quella di Scully, e la accompagnò dolcemente fino alla meta.

La donna si voltò, e si distese correttamente sul letto: ora Mulder le sfiorava il fianco, ed un ciuffo di capelli si spingeva sul seno di lei. Fox sentiva la sua stanchezza e la sua enorme frustrazione. Era così concentrato, e così vicino al suo cuore che si accorse perfino quando si addormentò.

Allora si alzò svogliatamente dal letto, cerco in silenzio una coperta e la adagiò su di lei, che gli disse “grazie” portandosela fin sopra il naso. Lui si sdraiò al suo fianco, teneramente, e la avvolse in un dolcissimo abbraccio.

Era come se la vedesse per la prima volta. Ammirava la sua disarmante bellezza.  Osservava minuziosamente i suoi lineamenti, l’attaccatura dei capelli, il loro mistico colore, gli occhi soavemente chiusi, il viso distrutto, ma lambito da una sottile speranza.

Tutto in lei era perfetto.

La guardò ancora un istante, prima di addormentarsi anche lui, con un sorriso amaro, e tristemente felice: non aveva perso tutto.

Non aveva perso tutto.

Scully era con lui.

Ora.

Per sempre.