Gastroenterologia


Lezione del 20/11/2000
prof. Rubbini

 

 

Continuum del Cancro dell’Esofago

In linea di massima abbiamo detto che il cancro dell’esofago è uno di quelli a prognosi più infausta e questo nonostante il fatto che l’esofago è un organo facilmente indagabile perché lo possiamo indagare macroscopicamente, radiologicamente, essendo un organo cavo di dimensioni modeste come diametro, la sintomatologia è relativamente precoce per cui ci sarebbero tutti gli elementi utili per avere una diagnosi rapida e quindi una possibilità d’intervento immediata e chiaramente una prognosi favorevole. Tutto questo viene invece contraddetto dalla realtà dei fatti e vedremo anche per quale motivo il cancro dell’esofago è una di quelle patologie neoplastiche a esito così infausto. Per quello che riguarda l’Italia la zona di maggiore incidenza è quella del Nord-Est, cioè Veneto e Friuli, mentre non è quasi rappresentata nelle regioni del Sud Italia. Tant’è che quando si parla di distribuzione su base epidemiologica dei centri di riferimento o delle unità specializzate nel trattamento di questa patologia non avrebbe senso dal punto di vista puramente geografico mettere per esempio in Puglia un centro di terapia multimodale dell’esofago, mentre nel Nord-Est d’Italia è molto più presente.

Come in tutte le patologie neoplastiche noi abbiamo fattori favorenti e fattori protettivi: in realtà come in quasi tutte le patologie neoplastiche conosciute si sta, come dicevamo anche l’altra volta mi sembra, affermando un concetto di fondo: che è quello che noi abbiamo due grandi gruppi, due grandi contenitori di tipo non so se avete fatto la teoria degli insiemi a scuola. Prendiamo due grandi insiemi, eredità e ambiente, e dentro ci mettiamo un po’ di tutto. Dal punto di vista dell’eredità mettiamo tutti quei fattori per le alterazioni che avvengono nel corso della vita dal punto di vista genetico e che possono dare l’avvio alla trasformazione neoplastica. Chiaro che questo non basta. Lo sviluppo del cancro riconosce momenti diversi: l’avvio della prima trasformazione, la progressione della malattia, sono tutti momenti dello sviluppo della malattia che riconoscono più fattori che ne stimolano la crescita. Per meglio dire, noi abbiamo qualche cosa, di solito è una mutazione o un qualsiasi cosa che rientra nell’ambito della problematica relativa all’eredità che fa si che ci sia un cosiddetto terreno favorente, cioè la possibilità che alcune alterazioni che possono venire trasmesse ereditariamente rappresentino un terreno di sviluppo. Questo però non è sufficiente; perché si sviluppi veramente il cancro ci devono essere altri fattori e questi sono di solito fattori ambientali e per fattori ambientali intendiamo prevalentemente fattori di tipo dietetico. Quel che mangiamo, quel che beviamo, verosimilmente quello che respiriamo, tutto ciò con cui noi veniamo a contatto durante la nostra vita. Quindi noi dobbiamo avere una base, un cosiddetto sfondo ereditario che se presente fa aumentare la nostra possibilità di ammalarci di cancro e che da sola non è sufficiente. Questo ci da solo la cosiddetta percentuale di predisposizione. Se poi noi veniamo in contatto con altri fattori che appartengono al cosiddetto campo ambientale, allora noi possiamo sviluppare il cancro.

Tra questi fattori vedete un elenco: alcool, tabacco, la dieta, alcune cose particolari. Ci sono molte cose con le quali noi non verremo mai in contatto durante la nostra vita. Quando ero io seduto su questi banchi tutti coloro che facevano lezione ci parlavano delle caratteristiche genetiche dei Bantu: noi non abbiamo mai neanche saputo dove erano sti Bantù. Cioè questi elementi così sparsi "La tal cosa fa venire il cancro agli abitanti tra i 1000 e i 2000 metri della montagna sacra del Kurdistan…" sono elementi che sono rimasti nella nostra cultura media e molti sono elementi quasi folcloristici. Cioè a noi oggi ci interessano altre cose che sono le notizie che noi ripetiamo e che derivano dagli studi su grandi popolazioni, alla base delle quali noi vediamo delle percentuali che noi ragioniamo in termini di probabilità e quindi di percentuali di incidenza della malattia. Alcune cose rimangono come notizie storiche, come elementi che fanno parte della nostra cultura ma sulle quali ormai non possiamo più basarci. Elementi sparsi tipo questo, ma ce ne sono tanti altri, è giusto ricordarli, fanno parte di una cultura che abbiamo sviluppato, a cui abbiamo fatto riferimento per anni ma che ormai sta diventando senza grandi fondamenti. Perché vi dico questo? Perché nel secolo scorso, 1800, è stato il secolo delle malattie infettive come il 900 è stato il secolo del cancro. L’800 è stato anche il secolo dei patologi, dei grandi patologi, come Virchow ed altri: hanno sviluppato le proprie concezioni nell’ambito di questo secolo. E come le hanno sviluppate? Soprattutto con l’osservazione delle malattie. Cioè dalla lunga osservazione delle caratteristiche e della sintomatologia all’interno della malattia venivano fatte le descrizioni delle patologie stesse e dei pazienti i quali avevano maggiore probabilità di ammalarsi per quella determinata patologia. Questo ha portato anche a un altro fatto: forse molti di voi hanno sentito parlare di Lombroso. E’ stato una sorta di psichiatra e criminologo che ha cercato di mettere assieme, a far corrispondere alcune caratteristiche fisiche o morfologiche dell’atteggiamento, della postura, del volto, ad altre caratteristiche come dire psichiche, con particolare riferimento alla predisposizione criminale. Cioè se tu hai gli occhi azzurri, la prima cosa che mi viene in mente, o il capo conformato in questo modo, probabilmente hai una maggiore attitudine a sviluppare una attività criminosa. Questo alla base dell’osservazione di tante persone che avevano compiuto dei crimini e che avevano quelle determinate caratteristiche. Cosa succede poi? Che tanti altri patologi, sulle basi dell’osservazione della presenza di questo o quel sintomo, descrivono il tipo ideale che può ammalarsi di quella determinata malattia. Ad esempio l’ulcera duodenale. Qual è il tipo ideale che può ammalarsi di ulcera duodenale? Dev’essere una persona longilinea, di statura non troppo elevata, ha caratteristicamente due fossette sopra le guance, ha un atteggiamento psichico più tenebroso di altri, tutte cose corrispondevano grossolanamente alla verità e che tutti noi abbiamo studiato che colui che si ammala di ulcera duodenale ha comunque questa fisionomia. Sono nati i brachitipi, il brachitipo o il longilineo, e tante altre descrizioni di questo tipo.

Per farla breve ragazzi; oggi non siamo più in questo ambito, cioè oggi l’osservazione della facies, la postura, specialmente, il tipo di sguardo hanno un’importanza relativa. Noi possiamo associare la presenza di tratti comuni dal punto di vista morfologico, ma è molto difficile riconoscere ancora come valida l’osservazione che quella o quella particolare morfologia corrisponda effettivamente a una determinata malattia. E questo perché? Proprio perché oggi la conoscenza è aumentata e lo studio della patologia è cambiata completamente. Oggi non siamo più in mano ai patologi, cioè il patologo di una volta era colui che faceva l’autopsia, che studiava le cellule con il suo microscopio ottico, al buio della sua stanzetta, era Koch, cioè trovava il bacillo che porterà il suo nome dopo mesi di studio, e scriveva una lettera al suo amico negli Stati Uniti, la nave ci metteva sei mesi ad attraversare l’Atlantico ecc. ecc. Oggi non è più così: le cose si sono evolute e anche la patologia è cambiata. Tant’è che, torno a ripeterlo, oggi siamo la base di discussione dei prossimi 20 anni, probabilmente, con il progetto genoma, cioè è andare a vedere qual è la costituzione all’interno del DNA del tessuto. Qui troveremo alcune risposte e soprattutto la possibilità di intervento.

Perché vi ho fatto tutta questa filippica? Perché troverete ancora nei libri che si usano per studiare Medicina molte di queste descrizioni. A cui va però ancora dato un valore storico.

Sulla base di questo tipo di impostazione patologica è poi nata la psicanalisi, cioè tutto il movimento che nasce da Freud e con tutto lo sviluppo che ha avuto in seguito: nasce proprio da questo approccio alla medicina, cioè per compartimenti e per situazioni definite sulla base di alcune caratteristiche. Oggi è cambiato tutto. Infatti quando parliamo di cancro andiamo a vedere cosa succede nelle cellule, se l’inizio di trasformazione è lì, se questo inizio di trasformazione è dovuto a questa o quella mutazione, al conflitto che esiste fra oncogeni e geni oncosoppressori, tenendo conto che siamo continuamente bombardati e sottoposti a mutazioni solo che la generalità ma non la totalità di queste mutazioni vengono riparate, ma quando invece la riparazione del danno non avviene può prendere inizio quel cambiamento della replicazione cellulare che alla lunga può portare al cancro.

Tutte queste le ritrovate sui libri, ve le leggete, sono interessanti, dopo di che ve ne farete un vostro bagaglio culturale.

Per quanto riguarda invece il capitolo della diagnosi, la diagnosi del cancro dell’esofago come tutte le malattie neoplastiche può essere fatta con una serie di tappe successive. Teniamo conto di alcuni principi di fondo, che tutti questi esami che vedete elencati non devono essere fatti tutti in una volta. Noi dobbiamo mettere a fuoco certi concetti, e i concetti sono questi: per fare una diagnosi ci sono delle tappe, che sono fondamentalmente l’approccio al paziente. Abbiamo detto che il paziente viene da voi perché ha un problema, o perché ha avuto un sintomo o perché per caso ha fatto un esame ed è scappato fuori che potrebbe avere qualche cosa. E quindi il suo medico lo manda dallo specialista. In un caso o nell’altro la prima fase, come giustamente ci insegneranno vi hanno insegnato i prof di metodologia clinica è parlare, creare cioè un canale di comunicazione. Tenete presente che non tutti siamo uguali, non tutti abbiamo la stessa cultura, non tutti abbiamo lo stesso approccio, con noi stessi o con gli altri: quindi molte persone possono essere reticenti cioè non vi dicono le cose come stanno, altri possono essere reticenti cioè non vi dicono le cose come stanno, altri possono dare un interpretazione alle proprie sintomatologie e pretendono che quella sia l’interpretazione vera, altri invece parlano anche troppo a volte, raccontano vita morte e miracoli, divagano molto sulle cose. In tutti i casi sta a voi, che siete il medico, riuscire a trovare il canale di comunicazione giusto e andare al nocciolo del problema. Non è sempre facile, a volte si ha la tentazione di mandare tutti a quel paese per fare in fretta perché non abbiamo tempo, abbiamo altre cose, tenete sempre presente che questa fase di approccio, quella che è sempre stata definita l’anamnesi, o l’intervista, o il colloquio, chiamatela come volete, è una fase fondamentale. Se voi fate bene l’anamnesi del paziente non dico che siete in grado di fare diagnosi ma quasi. Riuscite comunque a farvi un idea molto precisa di come stanno le cose, che poi potete accertare abbastanza semplicemente e rapidamente. Tutto questo ha senso perché ricordatevi sempre il pistolotto iniziale dell’altra volta: qualità delle prestazioni, se oggi noi chiediamo esami non utili alla diagnosi facciamo spendere dei soldi alla comunità che al di là di questo che è un fatto importante tutto questo ricade su di noi che ci verrà imputato di avere fatto questa spesa non indispensabile alla comunità. Quindi fare bene l’anamnesi, interrogare bene il paziente, scavare, non avere fretta, prendersi il tempo di creare un canale di comunicazione, prendersi il tempo che è necessario. Formulata la nostra ipotesi diagnostica sulla base di questo allora dobbiamo passare alla fase successiva, cioè dobbiamo confermare o meno la nostra diagnosi e tenendo sempre conto della cosa dell’altra volta, non ci innamoriamo troppo di questa nostra prima ipotesi. Allora noi dobbiamo costruire un percorso. Questo percorso viene attualmente definito come percorso diagnostico terapeutico. Che significa? Significa che sulla base del sospetto che noi abbiamo formulato, dopo aver interrogato, visitato il paziente, quindi dopo averlo ascoltato, percosso nel senso dell’esame obiettivo, e altro, abbiamo la possibilità di usare un insieme di metodologie diagnostiche, di mezzi tecnici per la diagnosi che ci consentono quasi di rivoltare l’esofago. Dobbiamo scegliere fra queste. Cioè dire nell’ambito della ricerca che io devo fare per confermare o meno il mio sospetto diagnostico sono utili questo o quello esame. Chiaramente è difficile che siano tutti utili. Noi dobbiamo scegliere quelli più appropriati.

Un esempio molto semplice. Nel momento in cui decidiamo di studiare l’esofago abbiamo per esempio la possibilità di fare un esofagoscopia o un RX esofago-stomaco. Quale facciamo prima? Quale riteniamo sia più utile? Dobbiamo fare tutte e due? Ci danno tutte e due le informazioni? Altro concetto allora: noi partiamo sempre dall’esame meno invasivo, cioè dal test che crea meno disagi al paziente. E, ultimo concetto, chiediamo un accertamento diagnostico quando siamo sicuri , o ragionevolmente sicuri, che questo esame ci darà un informazione che noi non abbiamo. Non facciamo fare esami al paziente perché comunque bisogna farlo, o esami il cui esito non ci farà andare avanti nel nostro percorso nel senso che non ci darà un elemento in più di conferma. Questo per quale ragione? Sempre per le stesse ragioni. Un paziente non si sottopone a un esame a cuor leggero, e gli esami creano a seconda del grado di invasività anche disagi importanti e, ultimo elemento, ogni test che noi chiediamo siccome dobbiamo stare dentro a un budget rappresentato dal valore del DRG, chiaro che dobbiamo selezionare le nostre prestazioni per non superare quel determinato costo. Poi può anche succedere che noi superiamo i costi perché alla fine noi dobbiamo ragionare sulla base della salute del paziente però l’elemento costo delle prestazioni va sempre tenuto presente.

Sulla basi di questi concetti generali, facciamo prima l’esofagoscopia o i raggi? Cominciamo ad entrare in un campo ove non ci sono più verità assolute, ove ognuno può scegliere la propria strada. Se tu fai i raggi, sei certo che poi non dovrai fare una endoscopia? E se fai il contrario? L’endoscopia oggi ti da alcune possibilità in più perché vedi direttamente, puoi fare biopsia, hai le dimensioni, se è aplastico, se ci sono altre piccole localizzazioni…….I raggi invece ti danno la dimensione, che può essere dinamica, nel senso che quando il mezzo di contrasto scende si vede come si comporta l’esofago. E fondamentalmente se trasportato su una lastra fotografica da una immagine statica. Però ti da la dimensione della stenosi, del passaggio, del movimento. Quindi è sostanzialmente difficile dire facciamo prima questo, faccio prima quello, mi serve di più questo., mi serve di più quello. Oggi si tende nella generalità dei casi a preferire l’esame endoscopico di quello radiologico proprio perché offre qualche possibilità in più. E soprattutto sulla base del concetto che con la radiologia non fai diagnosi istologica. Puoi avere anche un radiologo molto bravo, ma ragazzi, oggi l’opinione è che l’esperto non basta più. Quindi la possibilità di fare biopsia è l’elemento che ci fa scegliere l’esofagoscopia sulla radiologia. Però, però, l’esofagoscopio ha un calibro, che di solito è intorno al cm. Esistono anche quelli pediatrici, la nascita delle fibre ottiche ci ha dato la possibilità di avere endoscopi sempre più sottili però ha sempre un calibro. Può darsi che la stenosi dell’esofago sia tale da non consentire il passaggio. Quindi in quel caso noi non vediamo cosa c’è oltre la stenosi, ecco allora che abbiamo bisogno dei raggi, visto che il mezzo di contrasto è in grado di passare anche una stenosi quasi serrata. Infatti abbiamo bisogno di avere informazioni anche del tratto oltre la stenosi. Allora, anche se abbiamo la possibilità di fare biopsia dobbiamo trovare qualche mezzo che ci dia l’informazione sul tratto a valle dell’ostruzione.

Quindi moduleremo la nostra scelta sulle caratteristiche proprie del paziente. Cosa dobbiamo studiare nei confronti del cancro esofageo? Basta che studiamo l’esofago? Che altro, secondo noi? Noi fin ora che stiamo facendo? Costruiamo un percorso diagnostico e terapeutico. Abbiamo stabilito un ipotesi diagnostica sulla base del rapporto con il paziente. Siamo riusciti con i primi esami che abbiamo inserito nel nostro percorso a fare diagnosi di natura, cioè sappiamo che il paziente ha un cancro. Perché abbiamo fatto un endoscopia, una lastra. Sappiamo che il nostro paziente ha un po’ di disfagia, è dimagrito tanto in poco tempo, che ha 64 – 65 anni, ha un cancro dell’esofago. Siamo pronti per trattarlo o ci manca ancora qualche cosa? Cosa significa vedere se ci sono metastasi, se è coinvolto anche lo stomaco o altre parti? Lo stadiamo. Distinguiamo da una fase di diagnosi della natura della massa dalla fase della stadiazione. Sulla base della stadiazione della massa noi stabiliremo l’ultima tappa del nostro percorso, che è quella terapeutica. Che può essere curativa, come dicono gli anglosassoni, cioè noi riteniamo che questo cancro dell’esofago ha caratteristiche tali da essere trattato con intento radicale. E allora faremo tutto quello che è in nostro potere fare. Oppure abbiamo stadiato un cancro dello stomaco trovandolo in una fase avanzata per cui riteniamo non sia più possibile un intervento curativo e allora opteremo per un intervento cosiddetto palliativo, cioè un trattamento che tenta di rendere migliore la qualità della vita che il nostro paziente ha davanti ma non influisce sullo sviluppo della malattia. Stadiare il cancro dell’esofago. Cosa dobbiamo cercare a questo punto? Abbiamo detto le metastasi. Le metastasi sono però l’ultima fase. Innanzi tutto vediamo quanto è sviluppato nell’ambito della parete. Qual è l’esame che ci da una informazione certa sullo sviluppo nel contesto della parete dell’esofago? L’ecografia endoesofagea. Cioè infilare una sonda dentro al lume esofageo e vedere quanto è infiltrata la parete. Però l’ecografo potrebbe non superare la massa, quindi fermarsi prima e non riuscire a vedere bene. Quindi abbiamo bisogno di vedere con un altro esame, che è di solito la TAC. La TAC ci da meno precisione per quanto riguarda lo sviluppo del cancro nel contesto della parete esofagea, qualche informazione di più sulla presenza dei linfonodi. Perché la presenza dei linfonodi? Perché noi non possiamo dire con certezza che abbiamo dei linfonodi metastatici. Possiamo dire che abbiamo dei linfonodi aumentati di volume, possiamo dire che ci sono delle evidenze volumetriche in corrispondenza della presenza di pacchetti linfonodali che in linea di massima sarebbero quelli interessati dalla presenza di un cancro in quella determinata posizione ma non possiamo dire con certezza "metastatici".

Che altro? Parete, linfonodi. E’ uguale che il cancro sia nel terzo superiore o nel terzo medio, o nel terzo inferiore? No, per le strutture che ci sono attorno, ovvero la presenza di altri organi che prendono rapporto anatomicamente con l’esofago. Se noi siamo nel terzo medio ad esempio cosa abbiamo vicinissimo all’esofago? La trachea, fino alla suddivisione dei due bronchi principali. Dobbiamo valutare, se ne abbiamo il sospetto, che la trachea non sia infiltrata. A quel punto dovremo studiare anche le vie aeree principali. Quindi dobbiamo fare una broncoscopia. Ecografia, TAC, broncoscopia, abbiamo lo sviluppo della dimensione della malattia. Sappiamo se ci sono metastasi perché oltre alla TAC e all’ecografia endoesofagea abbiamo fatto anche l’ecografia generale. A questo punto sappiamo che il nostro cancro è presente come I° o II° stadio. Per cui decidiamo che abbiamo la possibilità di fare un intervento radicale. L’intervento radicale al giorno d’oggi si fa non solo usando la chirurgia, la radioterapia: ma si fa combinando assieme queste cose. Ci sono protocolli che prevedono prima di fare un ciclo di radio o chemioterapia, e quindi di affidare il paziente alla chirurgia. Altri protocolli prevedono di fare prima la chirurgia poi in base ai risultati (diffusione della malattia) di sottoporre il paziente alla chemioterapia o alla radioterapia. Bene, decidiamo che il nostro paziente deve essere operato in modo radicale. Abbiamo già tutto quello che ci serve per operarlo o no? Abbiamo confermato l’ipotesi, abbiamo una diagnosi istologica, abbiamo stadiato il cancro. Cosa dobbiamo fare ancora prima di procedere a operare il paziente? A noi ci interessa la parte chirurgica ovviamente. Che altro dobbiamo fare? Cosa ci mettiamo al posto dell’esofago? Prima di togliere un esofago a uno, bisogna che siamo sicuri di poterglielo sostituire se no……Noi possiamo mettere lo stomaco o il colon, o un’ansa digiunale, però dobbiamo essere certi che siano sani. Per cui al momento in cui noi decidiamo che il paziente deve essere operato dobbiamo studiare lo stomaco, colon e il digiuno. Nel senso che noi operiamo il paziente, gli togliamo l’esofago (l’esofago va sempre tolto completamente, in toto, esofagectomia totale) e lo sostituiamo o con lo stomaco tubulizzato cioè si reseca in parte lo stomaco lungo l’asse longitudinale fino quasi a renderlo un tubo e lo si traspone nel torace fino a raggiungere il moncone esofageo cervicale. Se lo stomaco non è utilizzabile perché il paziente è gastroresecato, ha un ulcera, è un gastritico cronico, ha una gastrite cronica atrofica, ha comunque uno stomaco non utilizzabile, dobbiamo utilizzare un altro organo. In questo caso il colon, o il trasverso o l’ascendente. Per cui dobbiamo essere certi che non ci sia un altro cancro, che non ci siano dei diverticoli, che non ci siano delle malformazioni, delle angiodisplasie. Ultima possibilità che abbiamo è l’uso di un ansa digiunale, cosa che si tiene per ultima perché comporta qualche difficoltà tecnica in più cioè bisogna fare un anastomosi vascolare con l’arteria tiroidea che è un’arteria molto piccola. Quindi riprenderemo lo studio del paziente, gli faremo una laparoscopia, una colonscopia, l’angiografia selettiva dell’arteria mesenterica, in modo da avere in mano tutto quello che ci serve per una decisione serena al momento dell’operazione.

A questo punto abbiamo detto che il nostro paziente può essere operato. Può essere trattato Cosa abbiamo fatto noi? Se riassumiamo abbiamo percorso questa strada, cioè dal sospetto diagnostico fino alla scelta terapeutica, attraverso l’aver fatto una diagnosi, stadiato il tumore, valutato le possibilità della scelta terapeutica per quanto riguarda prevalentemente l’aspetto chirurgico. Tutto questo è quello che oggi viene definito percorso diagnostico terapeutico. Noi abbiamo preso da un ventaglio di possibilità quelle che abbiamo ritenuto più confacenti al nostro caso, le abbiamo messe dentro al nostro percorso e le abbiamo utilizzate. Non è detto che questo percorso sia sempre uguale. Noi possiamo scegliere questo o quel test diagnostico a seconda di una situazione particolare che abbiamo davanti.

Questo è il motivo per cui il medico ha ancora una funzione centrale. Qualche tempo fa c’era anche chi si comportava in questo modo: vedeva un paziente, gli faceva fare una batteria d’esami, tanto poi qualche cosa salterà fuori. Ecco, non comportatevi più in questo modo. Non abdicate alla vostra funzione: è il medico che guida questo percorso. Dobbiamo sapere bene dove va la strada e cosa c’è alla fine della strada.

Qual è la sintomatologia del cancro dell’esofago? Qui siamo sulla base di 907 pazienti: nell’85% dei casi viene riscontrata la disfagia, che quindi è il sintomo fondamentale ed è un sintomo relativamente precoce perché l’esofago è un organo cavo e di calibro non particolarmente elevato per cui se qualcosa cresce all’interno dell’esofago diminuisce ulteriormente il calibro, e nonostante l’organo sia ancora plastico però può già creare qualche problema inizialmente con i cibi solidi. La lesione che abbiamo visto la volta scorsa, l’acalasia, la disfagia è cosiddetta paradossa perché si verifica prima per i cibi liquidi.

Perdita di peso, 61% circa. La perdita di peso quando si manifesta è il segnale che il paziente ha assunto l’abitudine di non alimentarsi perché l’alimentazione è resa difficile dalla difficoltà di passaggio o dal fatto che stimola dolore o comunque dal fatto che il cibo ingerito rimane fermo e viene rigurgitato. Quindi il fastidio provocato al paziente è notevole e questo lo porta a non alimentarsi.

Altro elemento che contribuisce alla perdita di peso è che il tumore per crescere ha bisogno d’energia e ha bisogno di essere alimentato, per cui l’energia prodotta attraverso i processi biochimici di produzione energetica viene in grande parte assorbita dal tumore.

Ci sono altri sintomi, ma i sintomi fondamentali sono la disfagia e la perdita di peso.

Qui invece si vede qual è la distribuzione dei vasi linfatici nel contesto della parete esofagea. I vasi linfatici sono disposti prevalentemente in posizione longitudinale e subito al di sotto della mucosa quindi nello strato sottomucoso. Questo significa che anche un cancro esofageo di modeste dimensioni e che tende ad invadere anche solo la sottomucosa può già prendere rapporto con questi vasi linfatici e quindi liberare cellule metastatiche. E questo può avvenire in una fase estremamente precoce. Questo cosa significa? Significa che il cancro esofageo può essere multicentrico, cioè voi potete avere il tumore principale e a distanza di due centimetri o dieci centimetri dal tumore principale voi avete una seconda localizzazione. Questo è uno dei motivi per il quale bisogna fare sempre l’esofagectomia totale, perché un’esofagectomia parziale non ci garantisce che non ci sia già stata una migrazione di cellule neoplastiche. Seconda cosa, anche in fase molto precoce, ovvero in uno stadio estremamente basso il tumore può avere già metastatizzato. Altro motivo per cui la prognosi di questa neoplasia in un’alta percentuale dei casi è infausta.

Dove metastatizza un cancro dell’esofago? Abbiamo dei gruppi di linfonodi interessati a seconda della posizione nell’ambito del viscere.

Abbiamo detto prima che non è la stessa cosa se noi abbiamo un cancro dell’esofago nel terzo inferiore o nel terzo superiore o nel terzo medio. Nel terzo superiore e in quello medio abbiamo una più grande possibilità d’infiltrazione negli organi vicini, mentre nel terzo inferiore abbiamo del grasso attorno. Passano i due nervi frenici in prossimità ma non ci sono altre cose particolari. Più in alto invece abbiamo altre strutture più importanti dalla trachea, ai bronchi, ai polmoni stessi, e abbiamo uno sviluppo a sinistra ai vasi. Abbiamo cioè una situazione che può essere più complessa. Dal punto di vista invece della diffusione linfonodale, avremo che la parte superiore dell’esofago drena dal punto di vista dei linfonodi verso l’alto, cioè cranialmente la corrente linfatica si dirige verso i linfonodi cervicali. Nella parte centrale abbiamo che la corrente linfatica è grossomodo distribuita ugualmente tra direzione craniale e caudale. Nella parte inferiore la corrente linfatica è rivolta verso il basso. Questo ha importanza dal punto di vista dell’ampliamento o meno dell’intervento chirurgico. Se noi abbiamo un cancro esofageo del terzo inferiore sappiamo che dobbiamo andare a cercare l’eventuale possibile metastasi fino ai linfonodi del tripode celiaco. Questo può essere un elemento che ci induce a non utilizzare lo stomaco e quindi a utilizzare un’altra possibilità di sostituzione, per esempio il colon.

Qui invece abbiamo in questa tabella la percentuale di invasione linfonodale a seconda della posizione del tumore primitivo. Vedete che la sede primaria primitiva del tumore, a seconda che abbiamo i cervicali o meno, la posizione cervicale, toracica superiore, medio toracica o, nella parte inferiore, torace vicino al cardias, che cambiano le percentuali di invasione metastatica delle stazioni linfonodali, a conferma di quanto dicevamo. Qui sotto invece, nell’altra tabella, avete le dimensioni dello sviluppo metastatico, cioè quali sono gli organi maggiormente colpiti dalle metastasi a partenza dall’esofago, sempre in percentuale: vedete prima di tutto i linfonodi (72 %) poi il fegato, i polmoni, il peritoneo.

Ecco, qui abbiamo uno dei punti fondamentali dello sviluppo del discorso. Cioè la stadiazione, una classificazione dal punto di vista TNM, quindi la stadiazione sulla base di questo tipo di classificazione è l’elemento di fondo, l’elemento centrale. Per cui sulla base della stadiazione non solo scegliamo il trattamento ma stabiliamo la probabilità di successo del trattamento stesso. Quindi la fase della stadiazione della malattia è la fase centrale del nostro percorso. Se noi stadiamo bene la malattia cioè siamo certi della nostra stadiazione quindi siamo sicuri che quel particolare coso, quel cancro esofageo appartiene allo stadio I – II o altro, allora siamo in grado di stabilire una terapia che può essere più o meno efficace e soprattutto abbiamo maggiori probabilità di sopravvivenza per il paziente. In linea di massima vale il concetto che minore è lo stadio e maggiore è la probabilità di sopravvivenza. Quindi ogni sforzo va fatto nel tentativo di fare diagnosi precocemente. Come classifichiamo il nostro tumore? Abbiamo fondamentalmente, ormai è riconosciuto in campo internazionale che la stadiazione deve essere fatta in TNM; che è formato da tre elementi.

Il T che ci da la dimensione del tumore primitivo e che noi suddividiamo in più parti, fino al T4, a seconda della dimensione e del grado di invasione della parete dell’organo interessato. Avremo il T1 quando non arriva alla sottomucosa, il T2 quando non ha invaso la muscolare, il T3 quando ha invaso la muscolare, il T4 quando ha raggiunto i tessuti vicini. A seconda della T noi possiamo orientarci in un modo o in un altro; per esempio su un T1 non faremo radioterapia preoperatoria ma la faremo su un T3, in modo da ottenere una regressione di stadio e quindi fare rientrare la neoplasia nei margini, nei limiti di una possibilità di operarla radicalmente.

N, presenza o meno di linfonodi metastatici. N1, presenza di linfonodi metastatici e oggi si aggiunge l’N2 per i linfonodi che sono più lontani di 3 o 4 cm dal tumore primitivo, N3 per i linfonodi che sono a distanza ulteriore oppure per un numero di linfonodi superiore al 3 e per taluni altri tumori arriviamo all’N4.

Infine l’M, presenza di metastasi a distanza, distinti in M0, non c’è l’evidenza di una metastasi a distanza, M1 presenza di metastasi.

Lo stadio noi lo otteniamo dalla combinazione di questi valori. Stadio I, T1No Mo è la situazione ovviamente più favorevole.

Dal IIb in avanti la situazione comincia a diventare critica. Quindi vedete che molto precocemente, dal punto di vista della possibilità di un successo terapeutica, per lo meno del crollo della percentuale di sopravvivenza a 5 anni. Come facciamo a raggruppare alla fin fine tutte queste combinazioni che abbiamo? Qual è l’elemento che ci dice che il T2 N0 M0 e il T3 N0 M0 appartengono allo stesso stadio mentre il T1 appartiene a uno stadio diverso? La sopravvivenza. Cioè i gruppi vengono messi assieme sulla base della sopravvivenza. Se io ho vedete un T3, e dall’altra parte un T1 ma però caratterizzato dalla presenza in questo caso di linfonodi metastatici che qui non ci sono, qui ho un T più grande rispetto a questo, però questo paziente è in uno stadio inferiore rispetto al paziente successivo. E questo perché? Perché è la sopravvivenza di questo paziente, nonostante un T più grande di questo è maggiore della sopravvivenza di questo paziente, dove la presenza della metastasi linfonodale è un segno di diffusione della malattia al di là dei confini dell’organo e quindi di una ulteriore possibilità di invasione.

L’aspetto istologico è più di competenza dell’anatomopatologo, però teniamo presente una cosa. Il cancro esofageo è il cancro a cellule squamose. Cioè è la forma più diffusa di cancro dell’esofago. Cellule piatte, cellule squamose, chiamiamole come voliamo, mentre l’adenocarcinoma che è la seconda forma è molto meno frequente. Vedremo che c’è una disposizione particolare per cui abbiamo grande prevalenza del tumore a cellule piatte: solo nel tratto inferiore abbiamo netta prevalenza dell’adenocarcinoma, in posizione cardiasica o paracardiasica. Questo fa supporre che in realtà l’adenocarcinoma non sia un cancro specifico dell’esofago ma che sia piuttosto un cancro gastrico che è risalito nel contesto del suo sviluppo verso l’esofago. Ci sono degli aspetti per cui di solito vi parla il gastroenterologo e che riguardano la fase cancerosa, l’esofago di barrette complicato o meno. Ve ne parlerà il professor Alvisi sulla base delle suddivisioni degli argomenti che abbiamo concordato.

Infine qui vedete la curva di sopravvivenza: vedete che il crollo avviene dallo stadio IIb. Fino al II a siamo ancora intorno al 50%, dal IIb in poi la sopravvivenza crolla.

 

Cancro dello Stomaco

Dando sempre per scontato che voi sappiate l’anatomia e la fisiologia. Cosa ci interessa a noi dal punto di vista anatomico? Lo stomaco è un organo cavo, di dimensioni relativamente grandi, ha il significato di un serbatoio che viene riempito fino a una ipotetica capacità massima, dopo di che manda segnali di ripienezza per cui non abbiamo più lo stimolo per continuare a riempirlo. C’è anche chi non osserva questo segnale e continua a riempirsi lo stomaco, con effetti devastanti perché poi aumenta il peso e non solo. L’aumento di peso non è solo un fatto estetico: sapete benissimo che l’obesità porta con se tutta una serie di conseguenze patologiche importanti per cui in teoria bisognerebbe evitare di diventare obesi. Dal punto di vista anatomico, anatomochirurgico, noi lo distinguiamo in tre porzioni: il fondo, la parte superiore, il corpo, la parte centrale, e l’antro, che è la parte che poi da l’accesso al duodeno. Questa suddivisione ha importanza ripeto dal punto di vista anatomochirurgico perché diverso è che abbiamo una neoformazione nel fondo, nel corpo o nell’antro, diverso è che sia sulla grande o sulla piccola curvatura, proprio per la possibilità di distribuzione metastatiche e in conseguenza di questo per la diversità di tecniche chirurgiche che si devono adottare. Lo stomaco poi è un organo che è in rapporto con altri organi, ha un rapporto di contiguità con organi importanti: fegato a destra, con il lobo sinistro (e pure l’ilo epatico può essere infiltrato da un tumore gastrico), posteriormente il pancreas con l’interposizione di una cavità virtuale, la retrocavità dell’epiploon, a sinistra abbiamo la milza, in basso il colon trasverso e in alto il diaframma. E’ quindi un organo circondato da altri organi importanti. Per cui la stadiazione della neoplasia gastrica assume anche in questo caso un importanza fondamentale perché alla base di questo operiamo o meno il paziente. Dal punto di vista vascolare è nutrito da due sistemi, uno che decorre lungo la piccola curvatura, rappresentata fondamentalmente dall’arteria gastrica di sinistra, l’altra dall’arteria gastroepiploica, che origina dall’arteria gastroduodenale. Quindi due sistemi che nutrono un organo la cui parete è estremamente spessa perché lo stomaco ha una mucosa, una sottomucosa, 3 strati muscolari disposti longitudinalmente, trasversalmente e circolarmente. Quindi ha una parete molto spessa che vuol dire che può raggiungere i 2 3 4 mm a seconda dello spessore delle pliche gastriche. E’ un organo che proprio perché provvisto di questo doppia vascolarizzazione consente di essere manipolato direi con una certa tranquillità, nel senso che è molto difficile riuscire a creare un cambiamento tale da impedire l’afflusso vascolare a quello che rimane dello stomaco dopo che è stato trattato. Se voi sollevate lo stomaco dopo averlo liberato dal legamento gastrocolico (lo stomaco è unito al colon trasverso, e al di sopra c’è l’omento, una specie di grosso grembiule che ricopre le anse intestinali) vedete sotto il pancreas. La testa è alloggiata nella C duodenale, mentre la coda del pancreas è prossima all’ilo splenico.

Quali sono le caratteristiche che ci interessano del cancro gastrico? Anche qui il discorso è lo stesso che abbiamo fatto prima. Cioè le caratteristiche generali, tenendo conto del fatto che è una delle forme in declino. Fino a 10 – 15 anni fa era molto più presente. Fondamentalmente la percentuale di incidenza di questo cancro è andata diminuendo. Una delle zone con maggiore incidenza è il Giappone, e pure essendo lontani da noi questo ci interessa perché i giapponesi avendo questa incidenza così alta hanno fatto del cancro dello stomaco uno degli obiettivi fondamentali della loro battaglia sanitaria, raggiungendo risultati molto importanti e soprattutto aprendo una serie di strade che sono quelle seguite in tutto il mondo nella diagnosi e nella terapia di questo tipo di cancro. Vedete che nel comune di Ferrara noi abbiamo avuto una mortalità elevata ma anch’essa orientata verso la diminuzione dei casi. E la cosa importante è che la riduzione della mortalità è conseguente alla diminuzione di incidenza, quindi è il numero di nuovi cancri che è diminuito. In Italia una delle zone più colpite è la Romagna e sembra che questo primato sia dovuto proprio alla piada, perché le farine utilizzate per la produzione venivano conservate all’interno di silos che avevano un particolare sistema di aerazione per cui in realtà invece che essere aerati si formava uno strato di umidità che favoriva lo sviluppo di una tossina particolare, l’aflatossina, la quale veniva imputata essere un possibile agente cancerogeno. Oggi è cambiato il sistema di conservazione della farina utilizzata per la piada ma in Romagna c’è ancora un alta percentuale di cancro gastrico. I giapponesi sembra invece che il discorso sia legato al consumo di pesce trattato o affumicato o conservato in modo particolare. Probabilmente ci sono altri fattori oltre al modo di conservare il pesce però sembra che visto che il cibo maggiormente consumato è il pesce, allora sembra che il rischio sia legato a questo: tant’è che se un giapponese si trasferisce dal Giappone ad un altro paese (USA), nel corso di due generazioni assumono la percentuale di incidenza del paese ospitante, quindi non è un fatto esclusivamente genetico, è un fatto prevalentemente ambientale, fondato come sempre sul connubio di due elementi, genetico e ambientale.

Qui vedete il solito elenco di fattori predisponenti, i fattori che possono indurre questo tipo di cancro. Tenete conto anche qui che è sempre presente il solito binomio eredità – ambiente, cioè lo sviluppo del cancro è sempre frutto della combinazione di più elementi, non c’è un elemento che lo fa venire il cancro. E’ la combinazione ripetuta di più elementi e prolungati nel tempo che può indurre la formazione prima e lo sviluppo del cancro in un secondo tempo. Sono i processi cronici, non esiste un fatto acuto, se non l’esposizione a radiazioni che può indurre la mutazione o l’insorgenza d’en bleu del cancro, è sempre un processo cronico che quindi dura a lungo nel tempo. Tenendo presente le due fasi di sviluppo prima fase molto lenta e una seconda fase in cui lo sviluppo è molto più rapido. Una delle cose che viene più volte ribadita e che fa parte delle domande d’esame è le nitrosammine. La presenza dei nitrati nei cibi, soprattutto nei conservanti dei cibi, vengono ridotti a nitriti e si legano alle ammine presenti e formano queste nitrosammine a cui è riconosciuto con certezza di essere uno degli elementi in grado di favorire lo viluppo del cancro. Oggi però il tipo di conservazione degli elementi, soprattutto al freddo, la surgelazione, che ha sostituito i metodi passati, sembra che impedisca questo processo e che quindi queste nitrosammine non si formino grazie al nuovo tipo di conservazione per cui la surgelazione si pensa sia uno degli elementi che abbia contribuito a diminuire la incidenza.

L’incidenza maggiore si trova nei gruppi socio economici più bassi: il cancro della società occidentale è il cancro del colon. Non è che il cancro dello stomaco riconosca le classi sociali, ma la maggiore o la minore disponibilità economica è alla base della variazione o meno della dieta. Maggiore possibilità economica significa maggiore possibilità di variare la dieta anche quotidianamente, e soprattutto di avere nel contesto della propria dieta più costituenti utili alla produzione di ciò che ci serve. Con situazioni socio economica meno favorevoli invece il tipo di dieta sia un po’ più monotona, più abitudinaria, e che quindi ci sia una frequenza molto maggiore di contatto della mucosa gastrica con eventuali cancerogeni. E’ chiaro che sono cose da prendere con le pinze: oggi che ragioniamo con maggiore scientificità con il tempo molte convinzioni cambieranno.

Altro elemento importante per quanto riguarda lo stomaco che si aggiunge alla genetica e all'ambiente, che sono i due grandi capisaldi di tutte le neoplasie maligne, sono gli stati precancerosi. Se definisci una malattia precancerosa esprimi la certezza che quella malattia diventerà un cancro: questo è quello che fa la differenza fra una malattia favorente, che favorisce ma non è detto che da quello stato insorga il cancro, e lo stato precanceroso, che è certo che si trasformerà con il passare del tempo in cancro.

Queste malattie sono:

I polipi adenomatosi, che cancerizzano solo al 5 – 20 % a seconda delle dimensioni. Perché qui solo il 30 % se eravamo sicuri che davano neoplasia? Perché il polipo è sicuramente un elemento che si trasformerà in cancro, colo che in taluni situazioni il tempo medio della vita di un individuo non è sufficiente a fargli raggiungere la fase di neoformazione maligna. Per cui sappiamo che il suo percorso va da una mucosa normale attraverso una serie di trasformazioni fino al cancro ma l’arco della vita non è sufficiente per farlo esprimere completamente. In altre situazioni il percorso avviene più rapidamente e allora abbiamo il tempo di esprimere la cancerizzazione. Più grande è il polipo maggiore è la velocità e la possibilità di neoformazione.

La gastrite cronica atrofica è sempre asintomatica. E’ un reperto endoscopico e bioptico. La frequenza aumenta con l’età. Se associata a metaplasia intestinale il rischio di sviluppo del cancro aumenta sensibilmente. Il passaggio successivo è quello della gastrite cronica atrofica con displasia, lieve, moderata o grave. La displasia grave corrisponde grossomodo un cancro in situ: non lo è ancora ma il passo è estremamente breve. Tanto che può già meritare il trattamento chirurgico. L’iperplasia è l’aumento del numero o del volume cellulare con caratteristiche analoghe se nn identiche al tessuto originario: la metaplasia è una differenziazione delle cellule dal tessuto di origine e le cellule assumono le caratteristiche di cellule normali di un altro organo, di un altro tessuto. La metaplasia intestinale significa che quelle cellule assumono morfologicamente l’aspetto di cellule intestinali normali. La displasia è una forma nella quale le cellule iniziano a cambiare le proprie caratteristiche e non somigliano ad altre, ma hanno mantenuto alcune caratteristiche tipiche della benignità, come l’inibizione da contatto, l’architettura tessutale e quant’altro. Le cellule cancerogene hanno perduto questo, cioè hanno perduto l’inibizione da contatto cioè quando le cellule si toccano fra di loro continuano a replicarsi, cambiano molte delle caratteristiche cellulari e del tessuto di origine; c’è uno sconvolgimento dell’architettura e delle caratteristiche proprie delle cellule.

L’anemia perniciosa.

L’ulcera gastrica, che era ritenuta fino a poco tempo fa una situazione precancerosa oggi si ritiene che le ulcere gastriche che si trasformano in cancro non siano altro che cancri ulcerati fin dall’inizio. Non è l’ulcera gastrica che col tempo diventa un cancro. In realtà sono cancri fin dall’inizio che formano un aspetto morfologico ulcerato, che non vengono diagnosticati in primo battito.

La resezione gastrica comporta il togliere metà della stomaco. Lo stomaco ha un ambiente acido (pH 1,5 – 2): con la resezione gastrica la bile e il succo pancreatico entrano nello stomaco e poi se ne vanno lungo la via digestiva. Si crea un ambiente meno acido se non francamente alcalino. L’alcalinità, che è una novità per lo stomaco che non è preparato fa si che a lungo andare (10 – 20 anni) molte zone di passaggio della bile, cioè nella parte inferiore, si possa sviluppare il cancro.

Dove si sviluppa prevalentemente il cancro? Normalmente la sede più colpita è lungo la piccola curva in regione antro pilorica. Perché la sede della piccola curva è una sorta di via preferenziale lungo la quale passa il cibo, e la zona antro pilorica è la zona nella quale il cibo sta maggiormente a contatto con la mucosa gastrica. Sul fondo è difficile che voi riempiate talmente lo stomaco da riempire completamente anche il fondo gastrico, dove di solito rimane classicamente la bolla gastrica, descritta in semeiotica percuotendo nell’area di Traube.

Quindi il percorso privilegiato è lungo la piccola curva con sosta in posizione antro pilorica perché quando noi siamo a digiuno il piloro è aperto, quando noi introduciamo del cibo il piloro si chiude, perché il cibo deve restare all’interno dello stomaco per subire la 2° fase della digestione gastrica. Il cibo rimane imprigionato nello stomaco per un certo periodo di tempo.

 

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