Italiano: Milan Kundera e "La vita è altrove"

 

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La vita è altrove. Una breve frase, ricca di possibili interpretazioni che suggerisce poco, in realtà, sul vero e principale tema del libro. Il titolo originale, invece, seppur sconsigliato dall’editore per la difficile commerciabilità, racchiude in sé il significato di questo romanzo i cui collegamenti, apparentemente svianti, sono compresi in un’unica cornice nella quale lo scrittore ha tracciato la sua opera. L’età lirica. Questo è il vero titolo. Questa è la base da cui si diparte la storia di un poeta, la storia di tutti i poeti; la storia di una rivoluzione, la storia di tutte le rivoluzioni.

L’età lirica è l’adolescenza nella quale sogni e realtà si confondono; è l’età del giovane poeta che vuole finalmente diventare un uomo. L’atteggiamento lirico- così viene definito da K.- è una potenzialità dell’uomo, di ogni essere umano innata e pertanto antica e la personificazione di tale atteggiamento viene incarnata dal poeta. Il poeta è simbolo di un’identità nazionale ,è portavoce delle rivoluzioni, voce della storia, essere mitologico con parvenze quasi religiose, è il rappresentante della poesia. È un profeta. È un genio dell’inesperienza e, pur sapendo poco sul mondo, formula delle affermazioni che variano con il tempo, conseguenza forse di una continua maturazione, mantenendo comunque intatta una presunta veridicità. Il poeta lirico può infatti affermare qualcosa e subito dopo contraddirsi ma avrà comunque ragione perché in fondo non deve dimostrare nulla, l’unica prova è l’intensità della sua emozione. La sua voce ha accompagnato la storia del mondo schierandosi di volta in volta tra le file degli oppressori e degli oppressi, cantando la libertà e coprendo il ruolo antico di mecenate, il poeta è colui che sfidando il tempo ha fatto giungere sino a noi voci e colori lasciandoli intatti nella loro essenza originaria. È un mago e un uomo, è uguale e diverso, è fuori dalla storia ma vi è ancora dentro. È in questo travaglio di contraddizioni che prendono vita le sue parole ed è anche per questo che quelle stesse parole hanno un diverso destino. Rischiano di rimanere sepolte nella dimenticanza e nella noia scolastica, ad altre aspetta un destino glorioso, esibite come sottofondo alle grandi lotte che hanno caratterizzato la nostra storia.

Jaromil è l’emblema del poeta lirico, è colui che si affaccia sul mondo partorendo i suoi sogni e trasformandoli in versi, è colui che si trova faccia a faccia con la rivoluzione, con il surrealismo e con il socialismo e cerca di prendere una posizione chiara davanti a tutto questo. ma prima dell’impegno politico e prima che i suoi versi diventino il magico sottofondo di lotte gloriose deve attraversare una lunga maturazione psicologica che occupa almeno trecento pagine del libro.

Kundera ha voluto infatti insistere sulla figura del poeta bambino che piano scopre e accetta se stesso, prima di arrivare al confronto con gli altri.

Il poeta ci viene presentato come una creatura fragile e insicura su cui si affaccia come un’ombra la madre. l’immagine femminile è sempre stata alla base delle vicende biografiche dei grandi scrittori; dalle sorelle di Esenin e di Majakovskij, alla nutrice di Puskin, e per finire con le madri di Rilke e di Wilde. Sono il simbolo quasi di quella fragilità umana che rimane comunque intatta ma nascosta dal mito della crescita e quindi dall’abbandono della pubertà. Dirò che forse la madre di Jaromil è l’allegoria della pubertà del poeta bambino che cerca di confondersi con le luci della rivoluzione e che tenta di costruirsi delle maschere attorno a sé. Prima tra tutti la donna che lui desidera, più che per amore quasi per sentirsi parte del mondo adulto; è la conquista della sua maturità apparente, del suo essere al disopra di tutto. In realtà Jaromil è ancora legato ad una superficialità tagliente che lo porta a rinnegare la fidanzata nel momento in cui un suo amico ne nota la bruttezza. Disconoscendola J. è sceso dal gradino che aveva faticosamente conquistato allontanandosi da sua madre per apparire nella veste di adolescente borghese viziato quale era all’inizio del libro, quando sua madre lo chiamava in salotto davanti agli ospiti e gli pettinava i capelli. È a quel periodo che risale la sua sofferenza davanti allo specchio e la ricerca di nuovi modelli con cui confrontarsi; ne è la prova l’aspirazione ad essere maturo come i suoi compagni di classe o la disperazione davanti a quel mento sfuggente rivalutato solo dopo la scoperta che anche Rilke lo possedeva. È a quel periodo che risale l’esaltazione della bellezza il cui unico parametro sembra essere la perdita della leggiadria infantile e questo attaccamento all’aspetto esteriore non riemerge forse quando si vergogna della propria donna?

Kundera paragona la figura di J. a quella di Jiri Orten, un poeta ceco morto nel 1941, che passò la sua vita a cercare la virilità nel proprio volto e che continuamente scriveva nel suo diario la necessità di diventare un uomo. Anche Jaromil ha questa idea fissa nella mente, nel suo modo di atteggiarsi così pudicamente imbarazzato davanti alle persone adulte come quando trovandosi nello studio del suo amico pittore si trova davanti a cinque sconosciuti tra cui delle donne che lo mettono in imbarazzo. Queste donne sono l’allegoria delle sorelle di Izambard ( il celebre maestro e amico di Rimbaud )che si chinavano sul giovane poeta, le famose "cercatrici di pidocchi" dell’omonima poesia che lo pulivano quando rientrava dai sui lunghi viaggi, e Jaromil tra quegli sconosciuti è come Rimbaud tra Verlaine e i compagni nel quadro di Fantin –Latour. Un parallelo, quello tra il poeta creato dalla penna di Kundera e quello reale di cui sfortunatamente rimane solo il mito, che non è casuale ma che percorre intere pagine del libro richiamando circostanze storiche reali e rendendo questo libro verosimilmente confondibile con la storia e viceversa. Jaromil è ciò che è stato Rimbaud o Rimbaud è stato ciò che è Jaromil?

Ciò che è certo è che entrambi vivono lo stesso quadro sociale, vivono le stesse rivoluzioni o meglio la stessa rivoluzione perché forse esiste solo una battaglia che li accomuna e uno stesso desiderio di fuga, di voler rompere gli argini della giovinezza cercando sé stessi al di fuori della loro infanzia ma tornando comunque laddove hanno lasciato quelle minime certezze su cui avevano fondato il proprio passato.

Rimbaud torna dalle sorelle di Izambard, Jaromil cerca sua madre; Rimbaud si ostina a scrivere lunghe lettere a T. de Banville da cui inizialmente verrà snobbato, poi dimostra di essere più grande di lui e di arrivare alla fama e al mito; Jaromil manda continuamente delle lettere a un grande e famoso poeta in attesa di una telefonata spedendogli di volta in volta una cornetta per ogni lettera spedita e mai risposta; viene lacerato nella dignità ma si rifà ampiamente quando quello stesso poeta verrà fischiato all’università la sua fama sarà destinata a dissolversi. Jaromil invece che intanto inizia a scrivere per un giornale verrà incaricato di organizzare la festa del primo maggio del 49 e di prepararne gli slogan, quegli stessi slogan verranno utilizzati vent’anni più tardi nel periodo della contestazione ma, sappiamo bene che parte di quelle frasi : "il sogno è realtà", "siate realisti, esigete l’impossibile", "l’immaginazione è realtà" erano state già pensate da Rimbaud negli anni della Commune nella stessa città dalla quale poi avrà inizio una delle più grandi contestazioni del secolo. Ecco quindi definito un parallelo armonioso tra i due poeti entrambi allegorie del poeta lirico e di tutto ciò che la normalità non può concepire.

Normalità. Cos’è veramente? E il progresso? E l’arte? Queste realtà sono conciliabili contemporaneamente? L’unità di questo quadro viene meno alla nascita del surrealismo che nel libro nasce assieme alla scoperta per Jaromil di essere un poeta lirico e di avere ricevuto il dono di quel mondo interiore nel quale trovare rifugio. È da quel mondo che partono i suoi schizzi di uomini con la testa canina ed è ancora in quel mondo che successivamente partorirà le sue idee arrivando persino ad ammirarle. Come quando camminando per il fiume chiude gli occhi ed è sicuro che quel fiume, nel momento in cui lui non lo sta guardando ha cessato di esistere; sente sé stesso e l’originalità delle sue idee innalzarsi a quella dimensione superiore in cui ci si può sentire solo degli eletti, delle creature superiori a cui l’originalità dei pensieri è stata offerta come un dono. In seguito la sua pittura, come poi anche i suoi versi, oltrepasseranno i margini dell’intimità per andare a mescolarsi con la realtà e con altre persone. È il caso del pittore dal quale sarà mandato per migliorare il suo talento e nel cui studio tante cose cambieranno. Se infatti inizialmente l’uomo aveva incoraggiato quella strana originalità nel dipingere teste di cani su corpi umani probabilmente riflesso di qualche inconscia ossessione infantile, successivamente l’artista lo rimprovera di ripetersi nello stile e nel soggetto rischiando così di non arrivare a niente. Tutto questo accade nel periodo in cui J. si accorge che le idee che prima considerava suo unico patrimonio esistono già pronte e possono essere prese in prestito da tutti, il periodo nel quale il suo mondo interiore sta crollando e il pittore non può che decretarne la fine. Gli fa riempire interi fogli di ciò che non gli appartiene, di ciò che non sente suo e di ciò che ha sempre rifiutato: le nature morte e i paesaggi appesi nelle villette borghesi. Rifiuta questo, rifiuta la borghesia, rifiuta il mecenatismo artistico, rifiuta l’arte(se così si può chiamare) guidata dalla ragione e dalle regole quando è chiaro che l’una cosa esclude l’altra; rifiuta il mondo reale che si erge su quello interiore come l’arte classica riemerge su quella surrealista. Ma lui è solo quella che ama, come se questa fosse l’unica traccia del mondo che ormai sta scomparendo sotto i suoi occhi ma che non vuole perdere, e per questo inizia a tenere un album segreto in cui disegna corpi di donne nude decapitate ed è per questo che inizia a scrivere le sue vere poesie. Tutto nasce dal desiderio di vedere Magda, la serva , nuda, mentre fa il bagno. Un piano progettato a tavolino e alla perfezione che però sfuma nell’incapacità di Jaromil e che termina in un profondo disgusto. Disgusto che però è diverso dalla tristezza, anzi potremo dire che è quasi il contrario. Quando Jaromil viene trattato male si rifugia nella sua stanza a piangere, lacrime felici e quasi orgoglio per l’incomprensione e per l’umiliazione che solo i grandi subiscono. E i grandi cosa fanno in tali momenti? Si rifugiano nel loro mondo e così anche J. inizia a pensare intensamente alle poesie dei suoi poeti preferiti, non a caso surrealisti, Eluard, Nezval e Desnos e inizia a scrivere righe prive di ritmo o di rime. Le rilegge ad alta voce e sente che quelle righe lo stanno portando aldilà della misera esperienza di quella sera, lo stanno innalzando aldilà del mondo, aldilà del disgusto e di tutto ciò che sarebbe rimasto ai suoi piedi. È così che la sua poesia diventa una cosa. Non è più una sequenza di parole ordinarie assoggettate alle cose, la poesia è la cosa e quindi non è assoggettata al niente, le parole non sono più destinate alla sparizione ma ad una durata. La difesa del surrealismo e il suo legame con il socialismo accompagna varie parti del libro. In una discussione con il pittore e suoi amici l’esaltazione di J. lo porta ad un parallelo ardito tra Marx e Breton affermando che come nella filosofia M. aveva parlato di preistoria dell’uomo e di storia come conseguenza della rivoluzione proletaria allo stesso modo Breton aveva scoperto con la scrittura automatica la strada dell’inconscio. La liberazione dell’immaginazione attraverso l’inconscio sarebbe stata infatti paragonabile alla liberazione economica dei proletari dopo la rivoluzione. Il lirismo è ebbrezza e, citando Nezval e Baudelaire afferma che l’uomo si ubriaca per potersi fondere con il mondo così come la rivoluzione che non vuole essere studiata o osservata ma vuole che ci si fonda con lei. Per questo è lirica. È il lirismo è surrealismo. Jaromil discute di questo strano parallelo considerando il realismo socialista alla pari del Kitsch borghese e identificando quindi con il progresso e con la rivoluzione solo il surrealismo. Ma tornando alla domanda di prima esiste progresso nell’arte?

Abbiamo parlato di un Jaromil attaccato al suo mondo, alla sua poesia lirica, al surrealismo e alla rivoluzione ma abbiamo tralasciato per un momento il suo desiderio di sfuggire all’età lirica con le sue gambe, gridandolo ad alta voce a coloro che lo credono ancora in fasce e succube dei pensieri altrui. Ha l’occasione di dimostrare tutto questo durante un’altra visita al poeta quando davanti ad altri suoi amici ci si dibatte su un argomento molto simile a quello trattato mesi prima . Tradire l’arte moderna che il socialismo sta rinnegando ma con cui si è cresciuti o cedere alla rivoluzione? Contravvenendo alla tesi che aveva difeso, e in cui a dire il vero credeva ancora, il giovane poeta decide di ribellarsi.Al pittore, a quelle donne che lo guardano con tenerezza e a tutti quelli che si aspettano delle argomentazioni da docile ombra del pittore. In realtà quel giorno vuole apparire un’ombra in rivolta come se rinnegando il pittore e il mondo interiore in cui si era sempre rifugiato, si sarebbero aperte le porte per la tanto agognata libertà. Citando Rimbaud e il suo" bisogna essere assolutamente moderni" parla della rivoluzione come qualcosa di moderno proprio perché è incomprensibile mentre il surrealismo di cui si parla da un quarto di secolo è morto ucciso dalla stessa violenza con la quale l’arte moderna appunto, desiderava far scomparire il vecchio… ma ora è lei ad essere diventata vecchia, è lei che ora deve scomparire lasciando spazio alla rivoluzione e quindi al progresso… tutto questo argomentare diverso e quelle nuove poesie che andrà scrivendo in seguito non sono che un riflesso incondizionato del solito desiderio di virilità, del suo appoggiarsi alla rivoluzione, a ciò che può distanziarlo dal pittore e dall’ombra di sua madre e delle nuove sorelle Izambard incontrate nello studio del pittore. Sembra quasi che tutto inizi dall’età lirica per poi inesorabilmente tornare ad essa; come un circolo chiuso che si è costretti a percorrere all’infinito senza possibilità di fuga, in trappola, privi di alcuna libertà. Perché Jaromil si accorge di essere completamente schiavo.Dapprima della sua infanzia, poi di sua madre, della sua ragazza e infine della rivoluzione stessa. Tentando di affermare la sua libertà si è reso schiavo di essa così come il personaggio che ha creato nei suoi racconti. Kundera dedica un intero capitolo nella descrizione dell’alter- ego del giovane poeta che, svincolandosi dalla famiglia o dagli amori tenta di arrivare a quella libertà che invece si accorge di non possedere. L’anti- Jaromil o meglio l’altro Jaromil si chiama Xaver e vive nella fantasia del giovane poeta riuscendo a vivere nel contempo più esperienze concatenate passando da una vicenda all’altra come in un sogno. Xaver si trova in gita in montagna, con la sua classe, si sente superiore rispetto ai suoi compagni, lui è più grande, lui è indipendente. Ama una sua compagna, una biondina che lo ricambia ma vuole farle del male, vuole dimostrare di essere un vero uomo che passa da una donna all’altra senza problemi, a tal fine seduce una donna matura sotto gli occhi della ragazza. Intanto si trova proiettato improvvisamente in una casa di montagna, con un’altra donna che attende suo marito. È nella camera da letto della donna e, sentendo i passi dell’uomo che arriva si nasconde, ha paura ma poi trova il coraggio e riesce con forza a chiuderlo nell’armadio. Ma Xaver sta ancora sognando e passa da un sogno all’altro, lui che ha la fortuna di dormire in quella vita costruita come una successione di scatole cinesi. Ora è davanti a un gruppo di soldati che gli chiede se ha l’elenco delle persone che devono essere uccise. Ma lui non ricorda dove tiene quel quaderno… improvvisamente l’illuminazione .È nella camera da letto della donna ma non può tornare; sente i sensi di colpa e si propone di guidare l’armata rischiando così la sua vita. Sente rumori di fucili, odore di sangue ma in lontananza qualcosa di diverso… la marcia funebre di Chopin. È già morto? No. Si sveglia di nuovo e guarda dalla finestra dello chalet nel quale ha dormito con la donna matura. Vede una bara, delle persone intorno e la musica. Tutti fissano la scena muti, in silenzio. Non possono capire che la biondina non ha potuto sopportare il tradimento del suo amore e per questo ha voluto uccidersi e ha espresso come ultimo desiderio il fatto che venisse sepolta nel posto dove più ha sofferto. Xaver guarda la scena… è soddisfatto. È un uomo. È riuscito a far soffrire una donna, a portarla ad un gesto così disperato. Non prova sensi di colpa, anzi se ne compiace. Ha passato una notte d’amore con una donna matura e ne ha provocato la morte di un’altra. non avrebbe potuto fare di meglio. La sua virilità è in fermento, si sente un vero uomo. Jaromil si comporterà allo stesso modo di Xaver cercando la libertà laddove non esiste e umiliando le donne che conosce, a partire da sua madre nel tentativo di farle soffrire. Unico scopo, sentirsi uomo. Abbandonare la madre che lo ha sempre accudito da quando era in fasce e che lo amava più della sua vita forse nel tentativo di sostituire la figura del marito che la aveva lasciata e poi rinnegare le sue amanti, schiaffeggiarle, umiliarle, picchiarle. Vuole essere un uomo. Un uomo libero. L’amore per Kundera non esiste, è velato da uno squallore che mostra una donna sofferente e un uomo annoiato due esistenze rovinate e in continuo conflitto. Uomini che usano le donne come trampolini per la loro virilità e donne fragili e semplici che si lasciano manovrare dalla violenza maschile. L’amore perde ogni bellezza così come, in questo libro perde bellezza il surrealismo, l’età lirica, la rivoluzione e le grandi utopie. Tutto è destinato a nascondersi dietro la maschera delle illusioni giovanili, come se Jaromil oltre che incarnare il poeta lirico sia l’emblema anche degli uomini comuni che cercano nel nuovo le premesse per il loro cambiamento ma che rimangono invece ingannati da una illusione tagliente e degradante.

I sogni, le grandi idee dei protagonisti scompaiono con il tempo, complici una maturazione forzata che porta alla fine del sogno e di tutta quella irrazionalità di cui ci si ubriaca quando il mondo non ha ancora raggiunto i contorni definiti e grigi che ci fanno sentire le nuove idee già morte e decretano la fine del progresso già prima che di esso si possa parlare. E così rimaniamo schiavi, delle nostre idee mai realizzate e dalla nostra giovinezza che per certi versi vorremmo rinnegare, traditi dalle apparenze, ma pronti a vendicarci, inconsciamente, illudendoci ancora una volta, come Jaromil, che uccidendo gli altri riusciremo ad uccidere quella parte di noi che non amiamo ma che vediamo riflessa negli occhi altrui. Ma noi, non abbiamo ancora fatto i conti con ciò che è dentro la nostra coscienza e con la nostra incoscienza, con noi stessi perché in realtà siamo noi, da soli a scoprire che il mondo non è quello che abbiamo sperato e ciò che pensavamo ieri non era meno o più giusto di ciò che pensiamo oggi e che nessuna violenza potrà placare questo vuoto. Di questo vuoto Kundera ha parlato nelle trecentocinquanta pagine di questo libro, del vuoto che affligge noi, schiavi dell’età lirica. La giovinezza quindi? Non solo, l’età lirica è l’utopia , la finzione e soprattutto lo specchio della nostra indomabile incoerenza.

 

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Milan Kundera


Milan Kundera, nato a Brno in Cecoslovacchia nel 1929, studiò filosofia e musica a Praga, laureandosi nel 1958 presso la facoltà di arti  cinematografiche "AMU" dove, in seguito, insegnò in qualità di  professore incaricato presso la cattedra di letteratura mondiale.  L'attivo impegno politico nel movimento di riforma della "Primavera di  Praga" gli costò dapprima la perdita del posto di lavoro e  successivamente nel 1979, la privazione della cittadinanza cecoslovacca. Trasferitosi come Visiting Professor in Francia, ebbe modo di esercitare la professione di insegnante sia all'Università di Rennes sia a Parigi, dove tuttora vive e lavora.Dopo una serie di pubblicazioni, a partire dal 1946, su alcune tra le più importanti riviste culturali cecoslovacche, Kundera esordisce con una raccolta di poesie dal titolo "Uomo, giardino vasto"(1953), cui fanno seguito "Ultimo Maggio"(1955), e "Monologhi"(1957). Il tentativo di dar vita, con tali opere, ad una poesia in grado di essere espressione dei problemi psicologici ed etici dell'uomo e della sua vita emotiva e sentimentale, viene duramente attaccato dalla critica ufficiale che, ostinatamente, considera l'individuo come un'unità esecutiva del processo storico - sociale. Nel 1962, con il dramma "Possessori di chiavi", Kundera si dedica per la prima volta al genere teatrale. In questo testo, ambientato in epoca nazista, l'azione si incentra sul conflitto morale tra il rischio che l'agire comporta e l'inerzia dell'indifferenza. Scriverà in seguito, sempre per il teatro, "Uccelli" nel 1969 e nel 1970 "Jacques e il suo padrone. Omaggio a Denis Diderot", drammatizzazione del noto romanzo, "Jacques, il fatalista". A partire dagli anni '60 il suo interesse si concentra sulla narrativa, esprimendosi, sul piano teorico con il saggio "L'arte del romanzo" (tradotto nel 1986 in lingua francese), nel quale analizza la crisi della prosa moderna e, sul piano pratico, con un'ampia produzione iniziata con i racconti racchiusi nei tre quaderni "Amori ridicoli", pubblicati nel 1968 e proseguita con il primo romanzo, "Lo scherzo", pubblicato nel 1967.Fin da questi primi lavori è chiara la tematica filosofico - esistenziale di Kundera: all'agire dei personaggi è sottesa la chiara illusorietà dell'aspirazione umana a plasmare la propria vita, o a tentare di dirigere l'evolversi della società intera. Gli uomini rimangono sempre prigionieri delle conseguenze delle proprie azioni, capaci, queste, di combinarsi tra loro in modalità bizzarre e grottesche. Ma, una volta che si cerchi di capire la vera causa della situazione presente, si scopre che l'uomo, apparentemente vittima dello scherzo della storia, ne è in realtà l'attivo soggetto. Pur trovandosi già in esilio, Kundera sceglie di continuare scrivere nella propria lingua madre, dando il via ad una ricca produzione narrativa: "La vita è altrove" del 1972, "Il valzer degli addii" del 1975, "Il libro del riso e dell'oblio" del 1978, "L'insostenibile leggerezza dell'essere" del1984.Alle tematiche precedenti, riprese solo parzialmente, si aggiungono ora i motivi dell'esperienza più recente: il trauma dell'abbandono della terra natia, il senso di sradicamento, uniti al ricordo della Cecoslovacchia negli anni cruciali della sua esistenza, 1948 e 1968. In tali opere Kundera combina coscientemente situazioni e personaggi al fine di esemplificare le proprie tesi, intrecciando le vicende dell'esistenza umana in un complicato disegno. Il personaggio kunderiano, di cui l'autore sottolinea specificità individuale e complessità emotiva, diviene così l'emblema dell'uomo moderno: problematicamente rinchiuso nella propria incomunicabilità e solitudine. Nel 1993scrive il suo primo romanzo in lingua francese, dal titolo "I testamenti traditi", seguito nel 1995 da "La lentezza" e nel 1997 da "L'identità" e nel 2000 da "L’ignoranza". Numerosi i premi attribuitigli per meriti artistici: è stato insignito nel 1964 del Premio di Stato, nel 1968 del premio Unione degli scrittori cecoslovacchi, nel 1973 del Prix Medicis Etranger, nel 1978 del Premio Mondello.

 

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