mercoledì 5 luglio 2000

venerdì 7 luglio 2000

domenica 30 luglio 2000

Bartholomeo D’Alviano? “Unego sior de Pordenon”

Il libro su Bartholomeo D’Alviano

Il libro edito da Ellerani presentato all’ospedale dei Battuti. D’Alviano riconquista l’Umbria

Raffaele Cadamuro

Raffaele Cadamuro

Raffaele Cadamuro

PORDENONE — Bartholomeo Liviano D’Alviano è un nome quasi sconosciuto a Pordenone (anche se gli è dedicata una strada); eppure, è importante per la città e la provincia per essere stato «unego sior», ovvero feudatario-principe agli inizi del 1500 e padrone di quel castello oggi adibito a carcere. Un personaggio illustre, quindi (umbro di origine, nato nel 1455), ma messo in secondo piano dalla storigrafia più comune. La figura del condottiero viene ora rivalutata da un testo di Sandro Bassetti - umbro anch’egli ma molto legato alla città del Noncello - che sarà presentato venerdì alle 18 nell’antico ospedale dei Battuti, a San Vito. Un libro voluto dalle edizioni Ellerani per rendere omaggio a un passato da rivalutare e a un personaggio che alla fine amò Pordenone sviluppando un’accademia di artisti e letterati e favorendo l’avvio delle prime produzioni tessili, quelle che - qualche secolo più tardi - fecero soprannominare la città la Manchester del Friuli.

Una storia, comunque, controversa, quella di Bartholomeo d’Alviano, come l’effigie che Bassetti ritiene essere del figlio Livio, dipinta da Giovanni Antonio Regillo nella pala dell’altar maggiore della chiesa di San Marco e da altri identificata in quella di Sant’Alessandro a cavallo. Resta anche un sapore in cucina, quello degli “stringoli al radicchio rosso trevisano”, che riassumerebbe l’origine umbra (la pasta fresca) con i condimenti locali con i colori bianco e rosso, quelli del blasone di famiglia.

L’arrivo a Pordenone, come feudatario, è datata 15 luglio 1508 (il 20 aprile vi era stata la resa alla Serenissima) e a quel tempo risale anche l’Accademia Liviana, che ospitò i letterati di maggior fama del tempo. Un mecenate, insomma, anche se di quell’accademia non è rimasto quasi nulla, tanto da pensare a una corte di letterati più che a un’istituzione.

Ma è sul fronte militare che brilla la stella di Liviano D’Alviano, presente in ben 125 battaglie in 42 anni di carriera militare e con solo sei sconfitte e due armistizi. Non operò mai come capitano di ventura, ma come condottiero, o meglio - come lo definisce Bassetti nel libro - un “manager della guerra”. Non solo stratega in battaglia, ma anche architetto delle fortificazioni (avrebbe pure scritto un libro sulle fortificazioni di Roveredo). A Pordenone viene ricordato per tre episodi controversi (la violazione dei privilegi della città, la taglia imposta nel 1513 e il sacco del 1514), ma Bassetti offre delle interpretazioni storiche diverse, che riabiliterebbero il D’Alviano a favore anche della città.

PORDENONE — Non governò a lungo Bartholomeo Liviano D’Alviano a Pordenone - dal 1508 al 1515 - ma bastò per imprimere alla città il suo suggello e quello del figlio Livio Liviano (che gli successe nel 1515 a tredici mesi di età e morì nel 1537 facendo ritornare il feudo pordenonese sotto il dominio diretto della Serenissima). E non mancarono i Sanvitesi coinvolti nelle controverse vicende della dinastia in riva la Noncello, che occupò il castello oggi adibito a carcere. Anzi fu proprio un Sanvitese, Nicolò Montico a ricoprire per primo la carica di capitano nel 1508.

Della figura di Bartholomeo e del casato dei D’Alviano (dal nome della cittadina umbra) con particolare riferimento al periodo friulano (furono i soli a potersi fregiare del titolo di “principe” di Pordenone) parlerà stasera alle 18 nel complesso dell’ex ospedale dei Battutti, Sandro Bassetti autore del libro “Bartholomeo Liviano D’Alviano” edito da Ellerani. Interverrà anche Giovanni Pietro Tasca, studioso di Storia locale e consulente del museo civico De Rocco.

Importanti le opere avviate nella città del Noncello, a partire dal rinforzo delle fortificazioni e delle mura fino al miglioramento della rete fluviale che collegava i monti con Venezia assicurando mercanzie e sale con un viaggio di due giorni contro i quattro necessari via terra. Ma lo scalo di Valle, in località Dogana, diventa importante anche per i passeggeri e lo sarà fino al 1672, quando la via d’acqua cadrà in disuso.

Bassetti non si sofferma solo sul “sior de Pordenon” sotto l’aspetto feudale e militare, ma anche come mecenate, ispiratore di quella Accademia Liviana della quale sono scomparse le tracce al punto da metterne in discussione la stessa costituzione. Eppure, secondo l’autore una “corte” di letterati venne ospitata nel castello di Pordenone sicuramente nell’estate del 1508 e negli anni successivi. Sotto la protezione dei D’Alviano finirono anche Giovanni Antonio de Sacchis (dal 1539 Regillo) detto il Pordenone e alcuni suoi allievi, Giovanni Antonio Pilacorte lombardo ma famoso in provincia per nuemrose testimonianze delle sue opere in particolare nelle chiese, Girolamo Rorario letterato amato da imperatori e Pontefici (compresi Carlo V e Leone X), Pietro Edo Capretto musicista e poeta al quele è dedicata la scuola di musica pordenonese, Pietro Bembo letterato veneziano con la carica di commendatario della chiesa San Giovanni del Tempio di Sacile, e ancora Andrea Navagero, Vegenzio Emiliani detto Cimbriaco (sua la poesia sulla lapide nel portico di Palazzo Mantica).

La storia di Bartholomeo è quindi quella di un personaggio illustre, (umbro di origine, nato nel 1455), ma messo in secondo piano dalla storigrafia più comune. La figura del condottiero viene ora rivalutata da un libro voluto per rendere omaggio a un passato da rivalutare e a un personaggio che alla fine amò Pordenone.

PORDENONE — Mentre a Pordenone ancora si studia una presentazione del libro di Sandro Bassetti edito dall’editore Ellerani, dedicato a Bartolomeo Liviano D’Alviano, feudatario-principe di Pordenone agli inizi del Cinquecento, in Umbria – terra d’origine del condottiero e del ricercatore – il volume sembra piacere, al punto che tv e radio locali vi hanno dedicato lunghe trasmissioni e le amministrazioni comunali stanno pensando a una serie di iniziative con il libro, o meglio quanto narrato in esso, come protagonista. Anche l’Università di Urbino avrebbe messo gli occhi sul testo dimostrando un certo interesse. L’associazione Amici del Bravio e dei condottieri medievali, infine, sembra averlo adottato consigliandolo tra le letture per capire la storia e i personaggi della zona. “Eravamo convinti fin dall’inizio della bontà del libro – commenta l’editore Giovanni Ellerani – e del contributo che può offrire alla storia non solo locale. La prima conferma è avvenuta dal folto pubblico intervenuto alla presentazione nel complesso a San Vito al Tagliamento”.

“D’altra parte – aggiunge Giovanni Pietro Tasca, che ha curato la prefazione – il libro è organizzato con ordine e chiarezza e si avvale di una scrittura agile e piacevole alternata a citazioni e documenti. D’Alviano non fu solo un importante e famoso manager della guerra al servizio dei potentati dell’epoca (a Pordenone governò per conto della Serenissima), ma si occupò anche del potenziamento e dell’ammodernamento delle fortificazioni di molte città venete e della stessa Pordenone, della produzione di artiglierie d’avanguardia per l’epoca; ebbe vasti interessi culturali di stampo umanistico-rinascimentale e manifestò un generoso mecenatismo che lo portò ad accogliere sulle rive del Noncello, tra il 1508 e il 1509, un cenacolo di intellettuali colti e raffinati”.

Sandro Bassetti, ternano ma pordenonese di adozione (abita ad Azzano Decimo) è rimasto ammaliato dalla figura del suo concittadino padrone del castello oggi adibito a carcere che, lontano dal Noncello, chiedeva al suo cancelliere di fargli avere due botti de vin bon del suo de Pordenon, perché è fama a Venezia non esservi boni vini. Un aneddoto riportato spesso in terra umbra anche da Enio Navonni ideatore di un museo e un centro di documentazione dedicato al D’Alviano e ai capitani di ventura.

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