TERNI La Storia del maniero di Castel Rubiaglio
si intreccia fortemente nel 1600 con quella della regina Cristina di
Svezia. La stessa si trovava in Francia a Fontainebleau ed al suo
seguito cera il Conte Francesco Maria Santinelli di 22 anni che
era capitano delle guardie, e il fratello Ludovico di 20. E cera
anche il Marchese orvietano Gian Rinaldo Monaldeschi, che è
il protagonista maschile della nostra storia. I Monaldeschi erano i
grandi feudatari di Orvieto dello Stato Pontificio; i più
potenti. Gian Rinaldo, che aveva allincirca letà
della Regina, era il suo preferito. Lo nominò infatti Grande
Scudiero e Cavalerizzo Maggiore. Naturalmente Cristina se lo prese
subito come amante, facendolo odiare da Francesco Maria Santinelli
che si vide così scavalcato. Qui la storia - rileva lo storico Sandro
Bassetti nel suo libro "Un fiume, un ponte, un
castello" - da rosa si fa gialla. E, come sempre avviene,
cè chi racconta i fatti in un modo e chi in un alro. Da
moderatore, il grande giornalista soggiornate periodicamente nel
plurisecolare maniero di Monte Rubiaglio, dà le varie versioni
della vicenda, proseguendo il racconto su Cristiana di Svezia e Gian
Rinaldo Monaldeschi da par suo. Secondo alcuni storici - scrive Bassetti
- la Regina si vide arrivare spedite non si sa da chi, alcune lettere
damore che lei aveva scritto a Gian Rinaldo, il quale, quindi,
le avrebbe mostrate in giro per farsi bello e, addirittura, se le
sarebbe fatte rubare apposta. Di fronte a queste lettere intime che
Gian Rinaldo aveva pubblicizzato, la Regina si sentì offesa
come donna e come Regina e diventò una vipera, trasformazione
che per lei non fu difficile. Convocò allora Gian Rinaldo, gli
mostrò quelle lettere, lo investì di contumelie e,
sebbene lui cadesse ai suoi piedi giurandole che esse gli erano state
rubate a sua insaputa, la Regina, seduta stante, chiamò il
conte Santinelli e altri due dignitari e comandò loro di
uccidere Gian Rinaldo, ordine che fu eseguito immediatamente.
Fatto a pezzi dallamante.
I tre, sfilate le loro sciabole, lo idussero in pochi
minuti come uno spezzatino. Neppure il regista Dario Argento, che
è di bocca buona - nota Bassetti -, avrebbe sopportato
una tale vista. Cristina sì. Era il 10 novembre 1657. Secondo
unaltra versione di quel fattaccio il nostro Monaldeschi, visto
che Cristina si stava invaghendo di un altro nobile al suo servizio,
il conte de la Gardie che di Gian Rinaldo era cugino, fece in modo
che questi si allontanasse da lei. Per riuscirci gli mostrò
alcune lettere della Regina, false perché le aveva scritte
lui. In queste lettere - parla" ancora Sandro Bassetti
- Cristina assicurava Gian Rinaldo di amare soltanto lui e non il
Conte. Il de la Gardie deluso e irritato abbandonò infatti la
Regina e si consolò con la sorella di Gian Rinaldo. Quando lei
venne a sapere dellinganno decise, su due piedi, in un impeto
dira incontenibile, di fare uccidere il Monaldeschi.
Però, secondo ogni buon giallo che si rispetti, cè
limmancabile terza versione. E Sandro Bassetti ce la
racconta. Secondo questa - inizia - il nostro Gian Rinaldo stava
tradendo la Regina con una damigella di corte. In una sua lettera, di
cui lei era entrata in possesso, Gian Rinaldo scriveva alla sua
fiamma che non poteva lasciare la Regina per non perdere il posto, ma
che quando trascorreva la notte con lei si comportava come un
tronco secco". |
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Mica è finita. Cè la versione
numero quattro ed è forse - ipotizza Sandro Bassetti -
quella vera. Dunque, quando Cristina si mise in testa di dinventare
Regina di Napoli, influenzata probabilmente dai tanti amici
napoletani che aveva intorno, abbandonò, per riuscirci, la
protezione della Spagna, a cui il Regno di Napoli apparteneva, e si
avvicinò alla Francia, allora governata dal potente cardinale
Mazzarino. Gian Rinaldo Monaldeschi rivelò questo disegno ai
Servizi segreti spagnoli e la Spagna inviò a Napoli tremila
soldati che impedirono la riuscita dellimpresa. La conclusione
- dice Bassetti - è uguale in tutte le versioni: Gian
rinaldo morto ammazzato. La notizia di questo assassinio, qualunque
ne fosse stata la vera origine, circolò alla svelta in tutte
le Corti dEuropa e limmagine di Cristina di Svezia si
macchiò del sangue di un giovane bello, aitante, simpatico. Un
poeta serio come Ugo Foscolo - prosegue Sandro Bassetti -
scrisse di Cristina di Svezia: Mezzo regina, mezzo letterata,
mezzo regina, mezzo pazza, ma interamente assassina". A
dimostrazione delle sue stranezze, dopo quellassassinio, lei
faceva dire delle Messe per lanima della sua vittima, come una
qualunque vedova addolorata. A causa di quel fattaccio, la Regina
dovette abbandonare la Francia e decise di ritornare a Roma, sperando
di far dimenticare quella tragica storia, ma proponendosi di crearne
altre meno gialle" e più rosa". Questa
volta rimase a Roma otto anni vivendo da grande signora, creando
anche unAccademia di letterati ed artisti a Palazzo Corsini che
si trova alle pendici del Gianicolo, al Lungotevere della Lungara,
vicino - guarda caso, nota Sandro Bassetti - a Regina Coeli,
il carcere. Ma anche questa volta il suo comportamento spesso
scandaloso, le sue spese pazze, il suo rifiuto di inginocchiarsi
quando andava in chiesa, la tresca con un cardinale, la costrinsero a
cambiare aria e decise così di tornare in Svezia, affidando la
direzione dellAccademia da lei creata - attenti al nome - a un
nobile di Orvieto, Paolo Antonio Monaldeschi, nipote di quel Gian
Rinaldo che la Regina aveva fatto ammazzare nove anni prima.
Una nuova fiamma per Cristina
Cristina aveva allora 40 anni e questo Paolo Antonio
24: un altro bocconcino regale. Ma in Svezia Cristina rimase poco: le
sue stranezze, i suoi amori, i suoi scandali, la sua esibizionistica
conversione al cattolicesimo, la preoccupazione di chi governava che
volesse tornare sul trono, furono le ragioni per cui il Consiglio di
Stato svedese le fece capire che non era gradita e che gli svedesi
non erano più disposti a renderle onore, come lei avrebbe
preteso. Fu perciò costretta a riprendere la via di Roma,
lunica che le rimaneva sempre aperta. Roma in quel momento
attraversava un periodo di tale splendore artistico e di tale
tolleranza di costumi, da considerare quella ex Regina un personaggio
dattrazione sempre proponibile. La sua visita al Castello di
Monterubiaglio avvenne il 22 settembre del 1680. Era domenica.
Cristina fu ospite di Paolo Antonio Monaldeschi per alcuni giorni.
Lei aveva già 54 anni, lui ne aveva ora 38. Che il nipote
dellucciso Gian Rinaldo Monaldeschi fosse entrato nelle grazie
di Cristina di Svezia, destò vivaci reazioni particolarmente
ad Orvieto. Nacque così la leggenda che in quelle notti a Monte |
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Rubiaglio il fantasma di Gian Rinaldo, vestito da
cavallerizzo, si sia aggirato nel Castello per intimorire la sua
assassina ed il nipote amante. Poi, siccome in un Castello che si
rispetti un fantasma ci sta bene, si raccontò che egli torna
ogni anno il 6 novembre, ricorrenza delluccisione di Gian
Rinaldo Monaldeschi, e il 22 settembre, ricorrenza della visita della
Regina. In questi due giorni - testimonia Sandro Bassetti che
nel maniero abita - non mi è mai capitato di essere in casa,
non per evitare lincontro. Anzi, un incontro con un fantasma
storico come Gian Rinaldo Monaldeschi, a distanza di 350 anni,
sarebbe un bello scoop" giornalistico.
Gli ultimi anni della regina
Gli ultimi anni della Regina - riprende il racconto di Sandro
Bassetti -, raffreddati i sensi, furono quasi esclusivamente
dedicati a iniziative culturali e a proteggere artisti, poeti,
musicisti. Cercò insomma di salvare lanima in zona
Cesarini", come si dice in termini sportivi per indicare gli
ultimi minuti di una partita di calcio. Nel 1687, a 61 anni,
organizzò nel suo palazzo una delle più grandi
manifestazioni musicali che si siano mai svolte nella Roma barocca.
Vi parteciparono tutti i nobili e quasi tutti i Cardinali del Sacro
Collegio. Una eccezionale orchestra di 150 professori e un coro di
100 cantori furono diretti dal famoso musicista Arcangelo Corelli.
Per il Natale dellanno seguente Cristina di Svezia si fece
cucire un meraviglioso abito di raso bianco e fili doro, e,
come sempre, domandò alla maga della sua corte in quale
cerimonia avrebbe dovuto usarlo. La risposta fu lapidaria: Per
i vostri funerali". Bastò questa risposta perché
lei non indossasse quellabito che costava un occhio. Lanno
dopo - era il 1689 e lei aveva 63 anni - la regina fu colpita da un
grave male sconosciuto da cui, però, guarì quasi
improvvisamente. Sembrò un miracolo - aggiunge Bassetti
-, tanto che in molte chiese di Roma venne cantato un Te Deum di
ringraziamento. Ma fu unillusione, perché il male si
manifestò di lì a poco ancora più violento. Era
evidentemente un tumore. Infatti, allalba del 19 aprile 1689
Cristina di Svezia morì. Con il suo testamento lasciò
le sue residue sostanze allamante che le era stato più
fedele impegnandolo però a fargli dire ventimila Messe. I suoi
funerali furono degni di una Regina in carica. Il feretro sfilò
su una grande carrozza per le vie di Roma piene di folla. Tutte le
botteghe erano chiuse in segno di lutto. Labito con cui
lavevano rivestita era proprio quello di raso e oro. la sua
salma fu sepolta in San Pietro, sia pure nella Sacrestia. 35 anni
dopo, però, le costruirono un bel sepolcro che si può
ammirare nelle Grotte Vaticane in cui la sua immagine è
riprodotta di profilo, più bella di quello che in realtà
non fosse. Certo, fa una certa impressione - rivela Sandro Bassetti
- vedere raffigurata nel marmo, per giunta in San Pietro, quella
Regina omicida dal sangue bollente che per un po di tempo
abitò nel Castello di Monte Rubiaglio, nellappartamento
del primo piano in cui ora abito con mia moglie Antonietta e la mia
gatta Carlotta.
Ed ecco un re senza potere
Un altro personaggio storico a soggiornare nel
Castello di Monte Rubiaglio fu Giacomo III, (1688-1766), ed sempre Sandro
Bassetti a presentarcelo. |
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Giacomo III fu riconosciuto Re dInghilterra
soltanto dalla Francia. Visse e morì da perdente. Forse per
questo è stato ritratto da bambino, quasi a sottolineare che
non era mai cresciuto. Avrebbe dovuto succedere a Giacomo II, ma
questi fu deposto perché cattolico, e il figlio, anche lui
cattolico, ne pagò le conseguenze. Dal trono scesero gli
Stuart e vi salirono gli Orange con Guglielmo III. La madre di
Giacomo era italiana, Maria Beatrice dEste, duchessa di Modena.
I sostenitori degli Stuart tentarono due volte di metterlo sul trono,
ma non ci riuscirono e lui vagò esule fra le Corti cattoliche
dEuropa fino a quando si stabilì definitivamente a Roma
dove morì. Ospite a Orvieto nel 1725 del Conte Negroni, che
era divenuto proprietario del Castello per eredità, fu
invitato a Monte Rubiaglio. Il Conte Negroni era un appassionato
studioso di magia, dedito anche - il cognome si addiceva - a pratiche
negromantiche. La sua insegna, imperniata sulla croce, figura ancora
sulla torre campanaria a due bifore del Castello. Ha la forma del
pipistrello, mammifero alato e notturno sempre caro ai maghi. In
quellinsegna si possono vedere intagliate le iniziali del
Conte: G. Giovanni, B. Battista, N. Negroni. Il figlio di Giacomo III
- spiega Sandro Bassetti -, Charles Eduard, detto il Conte
dAlbany (1720-1778), sposò la bella contessa
dAlbany la quale divenne amante del nostro Vittorio Alfieri che
la sposò segretamente dopo la morte del marito.
Le razzie di Cesare Borgia
Qui giunti, con Cesare Borgia e il Maramaldo a Monte
Rubiaglio, Sandro Bassetti si congeda da noi. E la fine dei
racconti monterubiagliesi iniziano con la constatazione che il
Castello non ha ospitato soltanto Imperatori, Papi, Re e Regine, ma
anche, e purtroppo" due personaggi tristemente famosi come
il Valentino e il Maramaldo. Il Borgia (1475-1507), detto anche il
Valentino perché era Duca del Valentinois in Francia, era
figlio di Rodrigo Borgia che fu poi eletto papa: Alessandro VI.
Ambizioso e risoluto, fu nominato prima Vescovo, poi Cardinale e
anche Governatore generale e Legato di Orvieto nel 1495, a soli venti
anni. Il Papa-padre avrebbe voluto che egli unificasse gli Staterelli
italiani - e questa speranza nutrì anche, illudendosi,
Niccolò Machiavelli - ma i tentativi che egli fece con
spregiudicatezza e anche con crudeltà non gli riuscirono e
finì in Spagna dove morì in uno scontro di gruppi
armati. Il Valentino conobbe il Castello di Monte Rubiaglio nel
dicembre del 1494 e nel gennaio del 1503, ma non come gradito ospite,
come erano gli altri. Attraversò infatti Monte Rubiaglio con
un esercito di soldati a cavallo razziando tutto quel poco che
cera. Laltro personaggio tristemente famoso fu Fabrizio
Maramaldo, capitano di ventura del 1500. Al servizio degli Imperiali
seminò la morte in molte contrade partecipando anche al
Sacco di Roma" del 1527 che costrinse Papa Clemente VII a
rifugiarsi a Castel SantAngelo e poi a soggiornare ad Orvieto
per sei mesi. Unincursione la fece anche a Monte Rubiaglio e a
Castel Viscardo per procurare cibo agli uomini che comandava dando
saggio di tutta la sua ferocia. Per questo - conclude Sandro
Bassetti - è nata lespressione
maramaldeggiare" per dire fare violenza ai deboli o
ai vinti". |
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