martedì 15 agosto 2000

 

giovedì 1 marzo 2001

E PER IL VINCITORE GRANDE ONORE IN CITTA’
Il “Bravio” era appeso alla colonna con la quale si misurava il grano

Sei quartieri, trecento case-torri

Enio Navonni

Enio Navonni

TERNI - Oggi, con le Antiche riformanze municipali giunte a noi grazie a Lodovico Silvestri, siamo al 13 aprile 1482. Giorno in cui «è riportato in questa pagina un nuovo regolamento del pubblico spettacolo della corsa de’ cavalli, che da antico aveva luogo nella più volte rammentata fiera di San Paolo. Quattro deputati scelti da entrambi i ceti (cittadini e banderari, ndr) avevano ingerenze ad essa ed al buon ordine pubblico; sei corridori (e dal cancelliere si registravano i nomi de’ rispettivi proprietari) erano ammessi alla carriera avanti un distinto marchio al piede; dovean esser tenuti esattamente a segno nella sortita, e nel posto assegnato a ciascuno con estrazione a sorte: il suono della tromba dava il segnale della mossa, ed il più valente corridore, che primo toccasse la linea stabilita per meta, guadagnava il palio. Questo consisteva in un drappo di panno di lana di otto braccia (“brachia octo cum dimidio") del valore di 94 bolognini. Il cavallo vincitore era portato in trionfo per tutta la città per mano del padrone istesso o suo rappresentante, lieto di far mostra della riportata vittoria in mezzo alla stipata popolazione plaudente. La encomiata deputazione stando per l’osservanza esatta di cotesto regolamento decideva della valentia de’ corridori».

L’ultimo cenno che le Antiche riformanze fanno della manifestazione commerciale è del 20 aprile 1603, ma della corsa non dicono. Eccone il testo: «L’antica fiera di San Paolo della seconda festa di Pasqua, replicate volte discorsa né precedenti libri (e da noi in articoli, ndr), già da vari anni indietro a suggerimento e per opera di Paolo Rosati, mentre era priore, venne traslocata dal soppresso Monastero di San Paolo di Galleto, nelle vicinanze di Porta Romana: ad onta che avesse di molto prosperato per l’affluenza del bestiame, e merci che ivi da ogni banda venivano condotte, onde incoraggiarla maggiormente si decretò accordarle una piena franchigia per due giorni, cosicché i commercianti e le merci fossero esenti da ogni pedaggio ed imposizione. Cotesta fiera fu posta sotto la presidenza della Confraternità del Santissimo Sacramento la quale officiava la Chiesa della Madonna del Cassaro».

La ricorda l’effige nell’edicola di fronte al Duomo ove sorgeva l’oratorio della confraternita. L’immagine — prosegue “l’Umbria, manuali per il territorio" —, dipinta a fresco nella metà del XVI secolo, venerata un tempo nell’omonima chiesa di Porta Romana, è scampata alla demolizione dell’edificio. Ora, per saperne di più sulla “Corsa al Bravio", andiamo ad una ricerca storica (“Terni nel Medioevo") effettuata con la classe IID a tempo prolungato della scuola media “Orazio Nucola" nell’anno scolastico 1989-90 dall’insegnante Renzo Segoloni, a suo tempo pubblicata dal Cestres. Vi si apprende che la corsa partiva dalla “strada pubblica presso il ponte di Colleluna" (all’incirca nei pressi dell’Hotel Garden). Al segnale del mossiere - prosegue la ricerca - i cavalli a corsa sfrenata attraversavano Porta Sant’Angelo, risalivano il tratto ovest della via decumana (via Cavour), per giungere in piazza delle Colonne (ora piazza della Repubblica, dove era fissato il traguardo. Il “Bravio" era appeso alla colonna dove si misurava il grano, ed il fantino che per primo riusciva a toccarlo risultava vincitore. Poi - aggiungiamo noi -, festa grande, con cibarie e vino a volontà. Ecco cosa riferisce Lodovico Silvestri sul più importante luogo pubblico di Terni: «La nostra piazza maggiore (si chiamò anche così, ndr) posta nel centro e più elevato punto della città, ove tutt’ora esiste comecché di molto ampliata in più epoche, era chiamata piazza delle Colonne, perocché ivi sorgessero due colonne striate all’intorno per tutta l’altezza loro, innalzate, come asserisce il nostro Angeloni, ed inaugurate all’Imperator Federico Barbarossa: alcuni frammenti di queste si osservano ancora (si osservavano, ndr) in qualche luogo della città, lo che porge prova di fatto di quanto asserisce l’elogiato scrittore».

Sindaco Raffaelli, se le colonne erano due, potrebbe far accertare perché abbiamo via Tre Colonne? Poi, chissà se il prossimo “Bravio" vedrà tornare la gara delle balestre, nata nel 1453?

E già prima di questa data ci fu una sorta di braccio di ferro tra i frati di San Pietro e il Comune per i tanti beni appartenuti a quelle monache clarisse. 9 giugno 1465, Lodovico Silvestri: «Questi Reverendissimi Padri Agostiniani di San Pietro pretendeano ritenersi tutti gli effetti mobili, ed arredi sacri non che disporre delle rendite dei terreni pertinenti al già soppresso monistero e chiesa di San Paolo di Galleto, col pretesto di doverne assumere la custodia, autorizzati da lettera del Cardinal Greco Arcivescovo di Nicea, al quale per Breve del III Callisto del 15 febbraio 1458 era stato ceduto quel luogo con tutti i fondi stabili, adiacenze, e quant’altro ivi si rinveniva per commenda o beneficio ecclesiastico. Il Consiglio (comunale, ndr) ed il Magistrato energicamente si opposero alle loro pretenzioni, volendo con più equità, che i sacri arredi ed alcuni mobili fossero divisi e concessi a profitto anco delle altre chiese di San Francesco de’ Minori Conventuali e di San Giovanni di Piazza (poi San Giovannino, che poggia sopra i resti di un edificio romano, ndr), e ne implorava gli opportuni permessi dalla suprema podestà ecclesiastica: ma frattanto decretava, si dessero in consegna i menzionati effetti a vari ragguardevoli cittadini». Le Antiche riformanze della città di Terni ci dicono pure che il 6 agosto 1458 «aveva cessato di vivere Calisto III dopo il breve Pontificato di anni tre e mesi quattro. Compiute le solenni esequie si adunò in conclave il Sacro Collegio de’ Cardinali, ed in men di tre giorni fu innalzato all’Apostolico seggio Elia Silvio Piccolomini Senese, assumendo il nome di Pio II. Si ordinarono dai congregati di credenza pubbliche esultanze, e la pronta trasmissione di oratori per umigliargli sinceri tributi di fedeltà e di devozione», da parte dei Ternani.

Insegne di Federico Barbarossa

TERNI - PER QUELLA via ove la bellezza corre... No, no, niente Divina Commedia, anche se di vie, anzi di "quartieri o rioni" vogliamo parlare, sempre allo scopo di far vieppiù conoscere e meglio apprezzare "Oppidum Interamna dietum". E per farlo, la nostra bussola sarà la "Storia di Terni" di Francesco Angeloni, che "fu nell’età sua uno de’ primi Segretari della Corte Romana, nella quale carica impiegossi al servizio del Cardinale Hippolito Aldobrandini Pronipote di Clemente VIII". E quando se ne daranno le circostanze, attingeremo anche ad altre fonti.

Allora: «In sei quartieri dunque o rioni essa è divisa, i quali occupando un piano di forma ovato di ben due miglia e mezzo, vengono circondati da alte mura di quadrate pietre con trenta torrioni, disposti in giusta distanza: sta nel dintorno in alcuni luoghi il fiume Nera, che nell’orgoglioso e rapido suo corso non lascia che col valicarlo a quelle possa appressarsi, e perciò si rende forte da ogni lato: oltre che per entro varie case nella città furono già edificate circa trecento torri ad uso di combattervi delle inimiche cittadinesche fazioni; e ora (1546) si vedono per la maggior parte abbattute». Le «inimiche cittadinesche fazioni» erano quelle dei Cittadini, nobili, e dei Banderari, popolani rappresentati delle Arti e mestieri. Mentre delle trecento case-torri, ancora oggi alcune sono in piedi, e di altre se ne vedono chiaramente i segni.

Aveva cinque porte e due ponti

Proseguendo nel nostro scorrazzare sulle fatiche seicentesche di Francesco Angeloni, vediamo che «Da cinque porte e due ponti vi segue l’entrata e l’uscita (da Terni, ndr); e senza la strada maestra, che dall’una porta, detta Romana, all’altra di tre Monumenti per lo spazio di un miglio per lungo la città divide, altre ampie strade da quelle si diramano, che nel traverso e in ogni lato a varii trivi, piazze e luoghi pubblici e privati son indirizzate. Vi trascorrono per entro varii concotti d’acque derivati dal fiume Nera, per comodo delle arti, degli edifici, dei lavatori e delle delizie dei giardini. Ma discendendo dalla generalità di tali cose alle più particolari, mostrarsene almeno la superficie, giacchè impossibile è il tutto con adeguare, e più si avrà riguardo alla parte, che di cristiana pietà fa segno, che all’altra dei particolari che vi sono al pari di ogni città». Ed ora inizia il vero e proprio giro turistico, per una Terni che invero non c’è più, ma che comunque è facile "leggere", magari affidandosi a sorella fantasia. «Vedesi pertanto nel rione chiamato Di Sotto all’entrare del ponte per condursi alla porta Romana, la divota Chiesa eretta alla Madonna del Cassaro (la cui immagine malridotta è nel giardino di fronte alla nostra Cattedrale, un tempo sede della confraternita del Santissimo Sacramento), laddove Andrea Tomacelli fratello di Bonifacio nono, fatte iscemare le suddette torri, con quelle pietre il Forte mentovato Cassaro». Che i ternani, quando poterono, «a scaricare con sfrenato ardore si diedero, in tanto che al niente, a breve andare, lo distrussero: ma ben pagarono la pena del temerario ardir loro col doverlo poco appresso a proprie spese riedificare. Ebbero pace solo quando dal pontefice Eugenio (IV, ndr) non ottennero licenza di poterlo affatto scaricare di nuovo». Com’era la chiesa della Madonna del Cassero? «Condotta co’ riguardevole architettura a giusta proporzione, mostra la sua faccia arricchita di colonne, architravi, cornicioni e altri ornamenti di travertino. Ha nel didentro ben disposte cappelle e altari, e viene mantenuta di qualunque cosa al divino culto opportuna da confrati del Santissimo Sacramento, che ne furono edificatori». Lasciamo il forte e l’omonima chiesa e proseguiamo ad andare per il rione di sotto. «Dove stanno situati la non umile Chiesa dell’Annunziata e suo monastero di monache Francescane: alla spesa dei quali edifici concorsero in gran parte detti Confrati, come la iscrizione postavi lo palesa; e più oltre si trova S. Angelo del fiume, dove la antiche Terme erano disposte». Prendendo a sinistra, «s’incontra un tempio della Regina dei Cieli col titolo di Carmine, al quale sta congiunto l’oratorio, in cui esercitansi altri confrati laici: e pochi passi più oltre, si offerisce l’antico portico della Cattedrale, sostenuto da colonne di marmo con quattro porte, che in Chiesa conducono: l’una delle quali, che al Duomo antico serviva, viene abbracciata nel superiore cornicione da una fascia di pietra con lettere di carattere Longobardo di tal tenore "...(Isabella) di Francesco Donatuzzi, (Donati) fece fare questo lavoro nell’anno 1439...", denotandovisi che una pietosa donna, forse chiamata Isabella, giacchè il nome si legge tronco, figliola dei Donatutii, oggi detti Donati, fece fabbricare la parte di tal facciata con la porta intagliata di bianco marmo. Tale chiesa dedicata alla protettrice dell’universo per la sua Assunzione, fu mentre l’idolatria era incolmo, ricetto del falso idolo di Giove; ma poscia dai santi vescovi illustrata coi miracoli e dalla pietà dei cittadini con edificio nobile costrutta, vedesi scompartita in tre navate con sua croce; nel cui mezzo sotto convenevole tribuna, sta elevato il maggiore altare, intorno del quale siede il Clero, che nel Vescovo, Priore, tredici Canonici, diversi chierici e altri ministri si distingue, usandovisi vari sacri paramenti, fra i quali ve ne sono di quelli che servirono alla Romana pontificia sagrestia, portativi da Giacomo Barba, prima sacristia dei Papi, e poscia vesvovo di tal Chiesa. Serbansi diverse sante reliquie, raccolte in più onorati vasi: e in due braccia d’argento, fatte dal pubblico, e vi sono di quella di San Valentino vescovo, martire e cittadino di Terni; e anche di sant’Anastasio confessore, parimente vescovo. Vi è eziando un frammento della santissima Croce, in cui il Salvatore nostro ebbe sua morte: oltre che dentro Cappella fabbricata dal quel Comune al glorioso vescovo Anastasio, ha il sacro corpo di lui suo riposo.

Le mura dell’Anfiteatro nell’abitazione vescovile

L’abitazione vescovile, che congiunta è alla chiesa e all’altro campanile, contiene le antichissime mura dell’Anfiteatro, che a quella si raggiravano: vedendosi all’incontro diviso da convenevole piazza, il palazzo dei Rossi (ora Bianchini - Ricciardi, ndr), a lato al quale (ne abbiamo già accennato, ndr) è l’oratorio dei Confrati instituiti per servizio del Santissimo Sacramento; la cui pietà in altre opere senza le già dette ad ogni ora risplende. Nel mezzo delle narrate chiese e nella via, che conduce per diritto alla maggior piazza, incontrasi la parrocchiale dei SS. Filippo e Giacomo (distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra, ndr); dove con pio affetto una compagnia di Schiave alla beata Vergine, nelle lodi di lei va esercitandosi». E dal rione Di Sotto, «che prendendo la Città per larghezza è ripieno di vaghe e comode abitazioni e giardini, s’entra nell’altro detto dei Rigoni; alla cui destra sta situata l’antichissima parrocchia di S. Salvatore di forma sferica con sua testudine, già eretta al sole. Dimora nella vicina via piana un ridotto di monache pinzochere di Sant’Agostino; e indi non lungi scorgesi un’ospedale per le donne con l’altro di S. Antonio (poi, da ospedale, ad anfiteatro Gazzoli che sorse sulle sue rovine, abbattuto per la pubblica igiene, e successivamente Politeama ternano, ed infine Politeama Lucioli, ndr); in cui i Disciplinati danno albergo ai pellegrini, custodiscono infermi, e fanno altre opere caritative: oltre a ciò nel Gennaio e nel Giugno vi si radunano due fiere di varie cose; nè piccol popolo alla divozione e al comprar delle merci si conduce.

Il palazzo dei conti Spada

Scorgesi in quel tratto il magnifico palazzo dei conti Spada, il cui fondatore fu Michelangelo, ed ora il conte Giovanni Girolamo lo gode; e quantunque la fabbrica imperfetta, vedendosene alzata poco più della metà, il fornito nondimeno è tanto grande, capace ed eminente, che comodo riuscì allora, che passando ivi per Ferrara papa Clemente VIII, molti Cardinali e Principi v’ebbero agiato ricetto, e il Pontefice nel palazzo, detto apostolico (oggi Bibliomedioteca, ndr), alloggiò nella cui maggior sala furono pocanzi a pubbliche spese stuccate dal valente G. Francesco Errici, Ternano, le armi di quella Santità e dei Cardinali e altri signori della famiglia Aldobrandina, che successivamente per prima e dappoi, furono di tal città protettori. Appresso il palazzo degli Spada trovasi la parrocchiale di San Giovanni Evangelista (San Giovannino, ndr), detta anche De Calumnis, perchè era allora la più vicina chiesa alla piazza maggiore, chiamata Platea Columnarum, per ragione di due striate colonne dirizzatevi, secondo si tiene, in adulazione di Federico Barbarossa imperatore, che occupata quella Città di Pontefici, tirannicamente per alcun tempo la dominò; ed in essa chiesa vedesi con varietà di nobili pietre una ornata cappella, fabbricatavi dai parrochiani».

Le devastazioni portate dal Barbarossa

Sulle vicende storiche di Terni fino al Barbarossa, ecco la guida della città redatta nel 1899 da Luigi Lanzi e Virgilio Alterocca. L’epoca dei barbari - dice - segnò un periodo nefasto per questa città, giacchè, dopo aver sofferto il saccheggio dei Carpi nel 370, dai Goti condotti da Totila nel 546, dai Longobardi (da Lang - bart, uomini dalla lunga barba, ndr) guidati da Astolfo nel 755, fu devastata ed arsa dalle soldatesche germaniche del Barbarossa nel 1162. Questi aveva conceduta la città in feudo al cardinale Ottaviano Orese dei Monticelli conte di Tuscolo, ma essendosi gli abitanti opposti a tale atto, l’Imperatore inviava su Terni il fiero arcivescovo di Magonza, Cristiano, che quasi interamente la distrusse. Ancora: anche Federico II disertò il territorio Ternano, atterrando, fra gli altri, il Castello dell’Isola che sorgeva nelle vicinanze della città. E’ fama che alla difesa delle mura assediate accorressero perfino le donne e i fanciulli, dando prove di miracoloso valore, e che Federico, venuto a patti, in segno di pace concedesse allora ai Ternani d’innestare alla insegna della città l’aquila nera in campo d’oro della Casa Sveva. Una copia dell’aquila imperiale è ammirabile nell’atrio della Bibliomedioteca, dirimpetto al nostro "Tiro".

Seguitando ad andare per il rione "detto dei Rigoni" e tornando all’Angeloni, siamo al "Santo Alò, già tempio di Cibele, con suoi leoni di travertino. «E ora è commenda dei Cavalieri Gerosolimitani, avendo ivi appreso santo Girolamo (che non c’è più, ndr), dove confrati laici senza vestir sacco in buone opere s’impiegano: e poc’oltre è la parrocchia di Santa Croce, nella quale il rione dei Fabbri ha suo principio, succedendo egli nella destra parte della maggior strada, che la Città divide, e di dove si fa passaggio da una piccola piazza all’altra più grande, circondata da antiche e moderne fabbriche, le cui basse parti sono ridotte ad uso degli artefici contendendosi nel destro angolo un palazzo dedicato al divino culto, ove sotto il titolo di Confraternita della Madonna in San Nicandro, si congrega una schiera di primarii cittadini, che senza l’uso dei sacchi, esercitando molte opere di pietà, perocchè amministrandovi ricche rendite, ne maritano fanciulle, ne sovvengono poveri vergognosi, e ne mantengono spedali in servizio dei forestieri».

La confraternita di San Nicandro

La confraternita di San Nicandro, per la sua ubicazione detta anche della Madonna di piazza, ce la presentano gli inventari degli archivi del Monte di Pietà e, appunto, delle antiche confraternite a Terni, pubblicati nel 1986. Eccola: «Quaranta Confrati, tutti del ceto patrizio, componevano la Venerabile e Nobile Confraternita di San Nicandro. Il Capitolo XVII de’ suoi Statuti, riformati nel 1822 sopra le antichissime costituzioni ospitaliere della città di Terni, stabilisce che nel numero dei Confrati non possa essere ammesso che non avrà l’onore del Patriziato di Terni... Si avverte di andare alle due processioni della domencia delle Palme e del Corpusdomini in abito nero colla Spada (da ciò anche Confraternita degli Spadiferi, ndr) come si pratica in altre città ragguardevoli». Per insegna aveva una Madonna che copre con il manto un Papa, un Re, un Cardinale (San Bonaventura) e devoti che portano le insegne della Confraternita. A parte il fatto che, sempre per riscoprire il nostro passato e pro turismo, sulle 20 confraternite laiche avute da Terni torneremo con un servizio apposito, ecco, ancora dagli Inventari Carit, alcune testimonianze sull’importanza e il peso di quella di San Nicandro ai suoi tempi. Terni, 11 settembre 1291: «Andrea Cittadoni, chierico e rettore della Chiesa di San Nicandro, col consenso del Vescovo fra Tommaso, concede in enfiteusi a Giovanni Andree Rinaldi Madij e Pietro Jannucci e priori della Fraternita della Beata Vergine Maria, totum inclastrum et ortum della chiesa di San Nicandro ad uso della Confraternita, per la somma di 15 libre di denari cortonesi, da impiegare per il restauro della chiesa». 1309: «Andriyetus quondam Angeloni Agresti, facendo testamento, lascia alla Confraternita della Beata Vergine Maria, alla quale il testatore appartiene, uno staio di canapina nel vocabolo Galleto». 1351: «Cicchollus Clarichti de Interapne, facendo testamento elegge la sepoltura presso la Chiesa di San Francesco, e tra le altre disposizioni lascia all’Ospedale di Sant’Angelo «Porte Ricone» due letti per i poveri, alla fraternita di Santa Maria layicorum de San Nicandulo 25 soldi cortonesi, ecc... 1366: Handreictus Cole dopni Andree e Angelus Francischitti, da Terni, sindaci e procuratori della Confraternita della Beata Vergine, quesolet congregati in ecclesia santi Nicandoli dee Interapne, come da testamento di Tristano Jovanucci; fondano nel palazzo lasciato da sopradetto Tristano dopo l a morte della moglie Gragnetta, l’ospedale di Santa Maria per i poveri di Cristo, allestendo 4 letti. Eleggono come rettore dell’ospedale Fra Santoro jovannicti, da Terni, del terz’ordine di San Francesco». Mentre tutti conosciamo Via dell’Ospedale, rileviamo che ora il Santa Maria attuale non è meno individuabile.

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