GLI 84 ANNI DI GIOVANNI
PAOLO II |
Il Papa che
ama la vita
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di Leonardo Zega
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Dopo avere smentito tutte le previsioni
sull'inarrestabile declino, Giovanni Paolo II si appresta a
festeggiare i suoi 84 anni, senza cedimenti al male e alla fatica.
«Io amo la vita», ha risposto a un ragazzo che gli chiedeva il
segreto di tanta serenità. Non nasconde i suoi acciacchi, ma ha
inventato un nuovo linguaggio del corpo di sicuro effetto. Si lascia
trasportare su quel buffo trabiccolo, che gli hanno costruito su
misura per risparmiargli le gambe ormai usurate e consentirgli di
gestire al meglio le mani tremolanti, ancora capaci di gesti
suadenti, affettuosi o ammonitori, a dispetto del Parkinson. E
intanto programma viaggi. Ai giovani che si raduneranno a Colonia la
prossima estate per la loro Giornata mondiale, promette: «Ci sarò
anch'io».
La voce è incerta, ma le parole sono precise e taglienti come
sempre. Sulla menzione delle radici cristiane nella Costituzione
dell'Unione europea è di una sconcertante caparbietà. Ne ribadisce
l'esigenza in tutte le occasioni, incurante del fastidio di laici «illuminati»
e della rassegnata quiescenza di intellettuali e politici che pur si
dicono cristiani.
Sulla pace non demorde: la guerra è il male e le sue radici vanno
ricercate nell'ingiustizia sociale e nell'egoismo dei più forti.
Non sono i poveri della terra a scatenare i conflitti e alimentare
il terrorismo; essi forniscono la «carne» ai cannoni dei potenti e
all'orrore delle vendette incrociate. Chi tenta di «interpretarlo»,
fino a piegare il senso delle sue parole a meschini calcoli
diplomatici, dovrebbe rileggersi i suoi ultimi interventi che solo
L'Osservatore Romano ha sintetizzato efficacemente, con titoli di
prima pagina un tempo impensabili nell'organo ufficioso della Santa
Sede: «E' stato sfregiato l'uomo», «Orrore e vergogna». Si
tratti delle torture inflitte da soldati statunitensi a prigionieri
iracheni o delle truci rappresaglie del terrorismo organizzato, è
sempre la dignità inviolabile dell'uomo al centro delle sue
preoccupazioni pastorali.
Non sfugge neppure alle domande conturbanti, come quella che sale
spesso alle labbra di persone di buona volontà, sconvolte
dall'escalation di una violenza senza fine: «Ma Dio dov'era?». Il
Papa conosce il male e lo guarda in faccia. La sfida di Gog e Magòg,
i due misteriosi personaggi dell'Apocalisse, capitolo 20, simboli
dell'odio satanico estremo per Cristo e i suoi seguaci, non
scalfisce le sue certezze. Lui sa anche, per fede, che alla fine sarà
Dio a vincere nella lotta tra il bene e il male, e con lui quanti
sono rimasti fedeli nella prova.
Tanto vigore in un corpo martoriato, eppure «esposto» senza falsi
pudori nelle piazze e all'occhio impietoso delle telecamere, è un
modo affatto nuovo di essere Papa, di fare il Papa. Dopo la fine del
potere temporale della Chiesa, la svolta impressa da Papa Wojtyla al
magistero pontificio con la sua personale testimonianza farà
storia: più delle sue vittorie «politiche», più del suo
contributo al crollo del comunismo. Il terzo millennio non è nato,
come si sognava, nel segno della giustizia e della pace, e il Papa
di Roma è oggi il punto di riferimento, forse unico, per chi osa
ancora sperare contro ogni speranza in un futuro meno cupo, in un
mondo più umano.
leonardo.zega@stpauls.it
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testo integrale tratto da "La Stampa" -
17 maggio 2004 |