MISNA
ITALY 10/12/2003 12:31 |
GIORNATA
DIRITTI UMANI:
PAPISCA
“FERMARE VIOLENZA ARMATA DEI PAESI
COSIDDETTI CIVILI”
(a
cura di Emiliano Bos)
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Peace/Justice, Standard |
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“La
sfida alla legalità internazionale spetta alle democrazie più
mature, che hanno il compito di dare l’esempio e non di far
arretrare il cammino dell’umanità. È necessario riconsiderare
alcuni metodi: i diritti umani, come la democrazia, non si impongono
ma si propongono. Lo afferma anche il Papa”. Sono parole di
Antonio Papisca, 67 anni, direttore del ‘Centro
interdipartimentale di ricerca e servizi sui diritti della persona e
dei popoli’ dell'Università di Padova, uno dei massimi esperti
italiani di diritto internazionale e di diritti umani. Oggi, in
occasione del 55esimo anniversario della Dichiarazione universale
dei diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea generale delle
Nazioni Unite a New York il 10 dicembre 1948, Papisca – che vanta
una vasta esperienza come docente universitario e consulente presso
istituzioni italiane ed internazionali - ha rilasciato questa
intervista alla MISNA.
DOMANDA: Oggi si celebra in tutto il mondo la giornata
internazionale dei diritti umani. Ma è sufficiente sfogliare un
giornale – si pensi all’Iraq, all’Afghanistan, al Medio
Oriente - per avere la sensazione che qualcuno voglia sbarazzarsi o
comunque fare a meno dei principi sanciti 55 anni fa. È
d’accordo?
RISPOSTA: Qualche leader e anche alcuni governi sentono il peso
della responsabilità che discende dal diritto internazionale, il
quale si basa sui diritti umani affermati nella Dichiarazione del
1948. Ma ci sono anche persone che si stanno appropriando della
norma internazionale che riconosce i diritti della persona. La
partita non è persa. Pensiamo al fatto che i diritti umani sono
entrati nelle Università: si studiano non solo in Italia, ma anche
all’estero, dove esistono corsi, master e dottorati. Tutto questo,
impensabile solo fino a qualche anno fa, è indice di sviluppo di
una cultura consapevole dei diritti e personalmente mi rallegra. Si
prepara una nuova generazione che avrà maggior coscienza dei
diritti umani.
D: Professore, non c’è il rischio di eccessivo ottimismo? Mentre
gli ‘human rights’ vengono studiati negli atenei rimangono
ampiamente disattesi in molte parti del mondo.
R: Non è ottimismo. Quando venne approvato dall’Onu, quell’importante
pezzo di carta era solo una raccomandazione. Oggi siamo nell’era
del diritto giuridico: la Dichiarazione universale è stata fatta
propria dal diritto internazionale in modo specifico. Questo
riconoscimento giuridico è un fatto epocale, fonda l’importanza
della norma e ne garantisce la tenuta.
D: In altre parole, il principio etico ‘auspicato’ dalla
Dichiarazione universale è diventato legge…
R: Sì, oggi è una norma giuridica condivisa a livello
internazionale. Esistono anche delle Corti di giustizia per i
diritti umani: in Europa, a Strasburgo, e per le Americhe, a parte
gli Usa, in Costa Rica. Non dimentichiamo tuttavia che siamo solo
agli inizi, 55 anni non sono molti. Siamo passati dalla
‘dichiarazione’ al corpus giuridico come base per garantire il
diritto alla vita e alla pace.
D: Quali sono gli obiettivi attuali della lotta per la difesa dei
diritti umani?
R: C’è molto ancora da fare. Abbiamo uno strumento in più per
proseguire sulla via del perfezionamento umano, ma dobbiamo comunque
riconsiderare i metodi. Non è possibile imporre questi diritti,
come anche la democrazia. Si devono invece proporre, lo ha affermato
anche il Papa. Servono metodi non violenti, informazione, formazione
delle coscienze critiche, consapevolezza dei propri diritti.
D: Professor Papisca, oggi però vi sono casi clamorosi in cui i
diritti umani sembrano ignorati persino da chi li ha promossi in
passato. Quali sono le priorità?
R: Innanzitutto fermare la violenza armata da parte degli Stati
cosiddetti civili: dal 1991 sono state gestite guerre al di fuori
del diritto internazionale. Questo non è un buon servizio alla
causa dei diritti umani. Occorre rientrare all’ovile delle Nazioni
Unite e tornare nella casa comune ‘multilaterale’. Non dobbiamo
dimenticare che la Dichiarazione universale è scaturita dal
pensiero di alcuni leader come Franklin Delano Roosvelt, sua moglie
Eleanor, da personaggi sapienziali come Jacques Maritain. Ho la
sensazione che oggi i loro ‘nipotini’ (cioè chi guida il
governo degli Usa, ndr) vogliano ‘buttare alle ortiche’ questo
lavoro.
D: Come è possibile tornare nella casa comune dell’Onu se oggi lo
stesso Palazzo di Vetro a New York, invece di rappresentare le
istanze della comunità internazionale, è il luogo-simbolo dello
scontro degli interessi nazionali che prevalgono sul bene supremo
della pace?
R: Per questo motivo una delle priorità per i diritti umani è il
potenziamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite. Servono
istituzioni di garanzia e un’Onu che funzioni davvero. Attenzione,
però: il sistema delle Nazioni Unite in quanto tale non ha
responsabilità. La ‘colpa’ ricade invece sui singoli Stati che
compongono la comunità internazionale. Se si rendono necessarie
azioni robuste per ristabilire la pace, deve essere la legittima
istituzione internazionale ad assumersi questo carico. Qui entra in
causa il multilateralismo e la presunzione di legittimità
dell’organismo internazionale, l’unico che può decidere l’uso
della forza, magari delegandolo poi a organismi regionali.
D: Quali le altre urgenze sul fronte dei diritti umani?
R: Oltre alla centralità dell’Onu che ribadisco, ritengo
indispensabile, senz’altro sono necessari l’applicazione dei
diritti economici e sociali, già sanciti internazionalmente nel
1966, lo sviluppo umano e la sicurezza, il diritto
all’alimentazione e all’acqua. Sono termini ormai entrati nella
terminologia comune. Credo, in sintesi, che il futuro dei diritti
umani risieda nella sfida alla legalità da parte delle democrazie
più mature, cui spetta il compito di far progredire i diritti
fondamentali di ciascuna persona e non di far arretrare il cammino
dell’umanità. (a cura di Emiliano Bos)
dal
sito www.misna.org
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