Libero

IL VIAGGIO
Una riconciliazione attraverso il riconoscimento delle colpe reciproche ma anche l'invito a sentirsi parte del cammino verso l'unità del Vecchio Continente al centro della domenica di Giovanni Paolo II a Banja Luka

«Bosnia, in Europa col perdono»

In più di 60 mila di ogni etnia sotto un sole cocente ad ascoltare parole di speranza pronunciate in una terra ferita

Dal Nostro Inviato A Banja Luka

Mimmo Muolo

Sono bastate poco più di dieci ore, al Papa, per "riconsegnare" la Bosnia-Erzegovina all'Europa. Dieci ore impiegate per ricordare al piccolo Paese balcanico, visitato per la seconda volta a distanza di sette anni, che la strada da percorrere è il perdono e la riconciliazione. Ma anche per mandare un chiaro segnale alla comunità internazionale, perché accolga non solo le «aspirazioni» unitarie di questa composita nazione, ma anche il suo bisogno di «giungere presto a una situazione di piena sicurezza nella giustizia e nella concordia». In sostanza, nella domenica trascorsa a Banja Luka, Giovanni Paolo II non si è limitato ad appoggiare il desiderio dei bosniaci di entrare in Europa, ma in un certo senso ha anche fissato i nuovi "criteri di ammissione", non solo della Bosnia, ma di tutti i Balcani. E questi criteri sono il «reciproco perdono» nella terra che reca ancora ben visibili le ferite della "pulizia etnica"; la «riconciliazione», laddove l'odio tra croati, serbi e musulmani non è del tutto sopito; la «pace» in una regione che è stata sovente la polveriera del Vecchio Continente, e la «giustizia e la libertà» in una nazione che ha conosciuto l'oppressione comunista. Su tutte queste ferite, l'anziano Pontefice (che ha superato abbastanza bene anche la prova del caldo torrido) è venuto a spargere l'olio del perdono: dato e chiesto, dal momento che tra le altre colpe, non ha dimenticato di citare anche quelle dei cattolici (chiaro il riferimento ai crimini commessi sotto il regime degli Ustascia fascisti, nel corso della seconda guerra mondiale). «Da questa città, segnata nel corso della storia da tanta sofferenza e tanto sangue - ha detto, infatti, nell'omelia della Messa - imploro il Signore Onnipotente affinché abbia misericordia per le colpe commesse contro l'uomo, la sua dignità e la sua libertà anche da figli della Chiesa cattolica e infonda in tutti il desiderio del reciproco perdono. Soltanto in un clima di vera riconciliazione - ha aggiunto - la memoria di tante vittime innocenti e il loro sacrificio non saranno vani». E in tal modo si potranno «costruire rapporti di comprensione e di fraternità». Era, del resto, un luogo di questa memoria anche il sito scelto per la solenne celebrazione, nel corso della quale è stato beatificato un "figlio" di Banja Luka, quell'Ivan Merz che con la sua vita e il suo esempio si candida a diventare il santo della pacifica convivenza tra le diverse anime culturali ed etniche dell'Europa. Davanti al Convento francescano di Petricevac (distrutto e ricostruito due volte) sorgeva la parrocchia di Sant'Antonio di Padova, fatta esplodere con un atto di sfregio dall'esercito serbo la notte del 7 maggio 1995. Domenica su quella spianata, ad attendere il Papa sotto un sole implacabile, c'erano invece più di 60mila fedeli. Bosniaci delle diverse diocesi, ma anche polacchi, ungheresi, croati e serbi, tutti uniti - quasi a sottolineare il desiderio di chiudere con il passato - dal colore bianco e giallo di magliette, cappellini e palloncini. Con la loro presenza, nel corso di una Messa durata più di due ore, in certo senso hanno cancellato gli atti di odio etnico e riconsacrato il luogo «alla pace e alla riconciliazione», valori tanto cari pure al nuovo beato. La cronaca delle dieci ore, del resto, ha registrato diverse volte queste parole che il Papa ha trasformato in "criteri di ammissione" all'Europa e che aveva pronunciato 15 giorni fa anche nella visita "gemella" in Croazia. Ai giovani, in particolare, prima di consegnare la croce venerata presso l'altare durante la Messa, Giovanni Paolo II ha detto: «Non cercate altrove una vita più comoda (secondo una recente indagine, infatti, il 70 per cento degli studenti verrebbe emigrare all'estero, ndr). Ma moltiplicate le iniziative perché la Bosnia ed Erzegovina torni ad essere terra di riconciliazione, di incontro e di pace». Poi, rivolto agli adulti, ha aggiunto: «Non vi rassegnate. Siate voi stessi i costruttori del vostro futuro. La ripresa non è facile, ma è comunque possibile». Infine ai politici ha raccomandato di «non lasciarsi sopraffare da interessi di parte». Il segreto per cambiare davvero, in fondo è semplice: «Rifare l'uomo dal di dentro, operando un'autentica purificazione della memoria mediante il reciproco perdono». La strada per l'Europa comincia da qui.

  testo integrale tratto da "Avvenire" - 24 giugno 2003