CONTROMANO

DI COSA SI VANTANO GLI USA

di Curzio Maltese

La mattina dell'11 settembre 2001 i giornali americani accusavano George W. Bush di non avere una politica estera e una politica economica efficaci, il consenso nei sondaggi era sceso sotto il 40 per cento, la paura della disoccupazione era tornata dopo gli anni dell'era Clinton . Prima o poi,  da qui bisognerà ricominciare. L'amministrazione Bush ha ragione a concentrare l'attenzione delle opinioni pubbliche sulle guerre. Non ha altro da vantare, ammesso che la guerra sia un vanto. Durante la sua presidenza gli Stati Uniti hanno perso due milioni e mezzo di posti di lavoro, sono crollati il prodotto nazionale, Wall Street, la bilancia commerciale con l'estero ed é esploso il debito pubblico, con nuovi tagli al welfare che hanno aumentato il numero dei poveri senza assistenza. Il presidente ha reagito con un piano economico che il nostro Nobel per l'Economia  Modigliani ha giudicato «una follia» e che consiste nel diminuire le tasse ai più ricchi. Il mitico governatore Greenspan ha escluso che l'economia USA possa tornare la locomotiva dell'Occidente , almeno a breve. Il clima di terrore permanente sul quale si fonda la propaganda della Casa Bianca non é fra l'altro l'ideale  per restituire fiducia ai consumatori. Sono in crisi i grandi gruppi industriali, l'automobile, le telecomunicazioni, le compagnie aree che riaschiano la chiusura, i gruppi finanziari travolti dallo scandalo Enron, nel quale é coinvolta mezza amministrazione Bush e che ha bruciato cento miliardi di dollari, togliendo la voglia ai piccoli azionisti di rimettere piede in Borsa. L'unica industria che ha beneficiato dell'inquilino di Washington è quella delle armi. La vendita delle armi ai privati  é cresciuta nel 2002 dell'80 per cento, con un esponenziale aumento degli omicidi.

Con questi risultati é prevedibile che i bombardieri americani non si fermino a Bagdad. Dopo questa guerra  non ci sarà una pace ma un'altra guerra e poi un'altra ancora. La politica, scriveva Carl Schmitt, é anzitutto l'individuazione del nemico. Lo sa anche il nostro Bush della Brianza che ormai attribuisce al defunto comunismo anche le sconfitte del Milan. La farsa del presidente guerriero che arringa la nazione in tuta mimetica é destinata  a durare. Ai suoi tempi, in pieno Vietnam, il nostro eroe s'era imboscato nella guardia texana. Ma la memoria dei popoli dura poco e la guerra conserva un suo maschio fascino, soprattutto quando a farla sono gli altri. Proseguirà anche la farsa al fantasma Bin Laden. Leggo una bella inchiesta del francese  Enric Laurent, La guerra dei Bush, che Osama e George junior  avrebbero avuto per anni lo stesso finanziatore, il banchiere saudita Bin Mahfouz, cognato del principe del terrore. Come é piccolo il mondo, eppure quanto é facile nascondere la verità.                 

 testo integrale tratto da "Il Venerdì" - 28 marzo 2003 n.784 supplemento "La Repubblica"