Le
diseguaglianze nella distribuzione del reddito
Un disagio
eccessivo senza mobilità sociale
di Ernesto Geppi
La distribuzione dei rediti in Italia è
tutt'altro che equa. Non a caso l'Istat titola il capitolo dedicato a
questi temi «diseguaglianze, disagio e mobilità sociale». Anzi,
bisognerebbe parlare di «immobilità sociale», visto che il «sogno
americano» da noi è di dificile realizzazione e appartiene solo alla
propaganda berlusconiana.
Siamo fra i paesi più diseguali d'Europa: peggio di noi fa solo il
Portogallo, mentre siamo appaiati nelle disuguaglianze alla Grecia e della
Repubblica slovacca. La Svezia e il resto dei paesi scandinavi, ma anche
la Francia e la Germania, sono invece per noi modelli assai lontani. La
fotografia dei redditi e delle condizioni di vita della popolazione
italiana contenuta nel rapporto annuale dell'Istat è abbastanza impietosa
e mette bene a fuoco le iniquità e i disagi che hanno attraversato questi
ultimi anni e che ormai si possono definire strutturali.
Un dato molto importante emerge ad esempio nel capitolo 5: la
disuguaglianza distributiva è parecchio maggiore nelle regioni del sud
rispetto a quelle del centro e del nord. Anzi, secondo l'Istat, l'elevato
livello che la disuguaglianza dei redditi raggiunge nel nostro paese
dipende proprio dalle disuguaglianze all'interno delle tre ripartizione
piuttosto che dalle differenze di reddito che si registrano tra le
ripartizioni: il grosso delle disuguaglianze proviene dalla eccessiva
distanza fra i troppi poveri e i pochi ricchi del meridione.
Nel nostro paese metà delle famiglie vivono con meno di 20 mila euro
all'anno (1.670 al mese), una soglia che si abbassa a 16.500 euro per le
famiglie del meridione, a 12 mila euro per i single, a 13 mila euro per le
famiglie con un solo percettore, a 15.400 per le famiglie che vivono
principalmente di pensione, a 15 mila se il capofamiglia è donna.
La distribuzione diseguale è ben visibile in una delle misure più
classiche: il 20% delle famiglie più ricche assorbe infatti il 40,3% del
reddito familiare, mentre il 20% più povero accumula poco più del 7%. Si
collocano nel 20% più povero, quasi il 40% delle famiglie meridionali,
quasi il 40% di quelle con almeno 5 figli, il 30% di quelle con un solo
percettore di reddito. Nel 20% più ricco troviamo invece una ampia fetta
del lavoro autonomo, e in particolare il 35% dei lavoratori autonomi e il
40% delle famiglie con almeno due percettori di redditi da lavoro
autonomo: fra i più ricchi troviamo poi il 30% delle coppie senza figli
con meno di 65 anni, il 27% delle famiglie con almeno tre percettori di
reddito e il 54% dei laureati. In generale, la distanza fra popolazione
maschile e femminile non è elevata, ma il divario fra i sessi è invece
notevole al crescere dell'età, ed è attribuibile al forte divario che
caratterizza i redditi pensionistici.
E' interessante inoltre la relazione fra bassi redditi e lavoro. Fissata
un soglia di «basso reddito» di poco inferiore agli 800 euro, l'Istat
nota come oltre il 20% dei lavoratori del settore privato si colloca al di
sotto di essa, mentre lo stesso accade solo al 5,4% dei dipendenti
pubblici: alle donne dipendenti dal settore privato va anche peggio, visto
che oltre un terzo di esse si colloca al di sotto della soglia. A
connotare la povertà del lavoro dipendente del settore privato sono
soprattutto le piccole imprese con meno di dieci addetti, dove l'incidenza
dei bassi redditi supera il 25% dei lavoratori. Il basso reddito è
inoltre una condizione che riguarda quasi il 40% di quanti lavorano con un
contratto a termine, il 41,7% dei lavoratori non qualificati, il 46,7% di
quanti lavorano meno di 30 ore alla settimana, il 31,4% di quanti hanno
meno di sei anni di anzianità, la metà dei lavoratori agricoli.
Verrebbe quasi da dire che un tassello fondamentale è stato aggiunto
all'analisi della povertà e del disagio in Italia: sarebbe molto
interessante però completare adesso il quadro e studiare bene chi, quanto
e come si è arricchito in questi anni. Non sono queste le cose che
dovrebbero riguardare di più le manovre del nuovo governo?
testo
integrale pubblicato da "Il Manifesto" - 25 maggio 2006