EDITORIALE
Gli
occhi bendati d'Italia
di ROBERTO ZANINI
E adesso raccontiamoci pure che
la vedova del carabiniere ne sapeva più del ministro della difesa e di
quello degli esteri. Raccontiamoci che la signora Bruno ha il dente
avvelenato con chi le ha mandato il marito a farsi ammazzare, che scaltri
redattori di un telegiornale fuori ordinanza l'hanno portata là dove non
doveva, che la memoria a scoppio ritardato di una donna addolorata è
sospetta (argomento particolarmente putrido), che qualche iracheno nudo
intravisto in una spelonca non è nemmeno cugino dell'immondizia
fotografica che a Abu Ghraib si produceva con generosità. Raccontiamoci
che siamo brava gente, che i torturatori sono gli altri, alleati finché
si vuole ma sempre gli altri. Raccontiamocelo e vivremo un po' meno
peggio. Noi non siamo andati in guerra, al massimo catturavamo nemici per
conto terzi. Non abbiamo infierito contro un pacco di carne umana
incappucciata. Quel pacco l'abbiamo solo consegnato, senza aprirlo.
Soprattutto evitiamo di parlarne in pubblico o peggio in parlamento. La
partecipazione italiana alle torture in Iraq non interrompa il dibattito
al senato sull'istituzione della provincia di Monza o quello alla camera
sul mandato d'arresto europeo. Il ministro della difesa dica e ripeta che
non ne sapeva nulla, come già i suoi colleghi britannici e americani, e
prometta poi di individuare chi doveva aprirgli gli occhi e non l'ha
fatto. Siano rimossi il funzionario troppo taciturno e l'ufficiale
evasivo, l'onta li ricopra e disinfetti la piaga. Si gridi che la tortura
è ripugnante e lo si faccia in modo reiterato, come prescrive un
emendamento della Lega. Quindi si prosegua nell'esportazione della
democrazia in Iraq.
«Non sapevo nulla» è, insieme con «sono poche mele marce», la
principale - più probabilmente l'unica - linea difensiva dei torturatori
democratici di stanza a Baghdad. E' una linea malsana, trascurando il
fatto che è anche falsa. Ipotizza l'incredibile scenario di una guerra in
cui cause ed effetti non si conoscono fra loro, non si rivolgono la
parola, si evitano in ogni modo possibile. Riduce la questione, per quanto
riguarda l'Italia, a due soli ruoli possibili: quello del complice o
quello dell'utile idiota (sull'utilità si dibatte).
Gli italiani consegnavano prigionieri all'aguzzina acqua e sapone di Abu
Ghraib e ai suoi volonterosi colleghi. Gli italiani vedevamo cosa ne
veniva fatto. Gli italiani sapevano, e sopivano. L'hanno fatto per mesi,
opponendo franca indignazione a chi immaginava scenari più scabrosi. E
gli italiani (gli altri) si sono svegliati, una volta di più, davanti
alla televisione. Senza la Cbs che ha mostrato le foto delle
torture, il generale americano Taguba e il suo rapporto sulle torture
avrebbero fatto la stessa fine, sigillati nel cassetto chiuso del
segretario Rumsfeld. Senza la vedova Bruno e la sua intervista al
benedetto Tg3, avremmo continuato a ignorare ciò che i carabinieri
di Nassiriya, anche quelli ancora vivi, non ignoravano più da tempo. Se
ce ne ricordassimo ogni volta che un governo prova a mettere la sordina
all'informazione, invece di aderire alle richieste di silenzio stampa
ricoperte dalla nobile patina della vita degli ostaggi, vivremmo meglio
tutti quanti. Quanto meno più consapevoli.
Il governo italiano ha mentito, diamolo come un fatto. Difenderà la sua
menzogna perché non può e non sa fare altro, e anche questo è un fatto.
L'opposizione sembra aver finalmente posto fine alla manfrina chiamata «svolta
o ritiro». E' grottesco che la «svolta» sia rappresentata dalla signora
Pina Bruno e dai racconti del marito scomparso, ma è sempre meglio di
attendere che l'Onu, questa Onu annichilita mille volte e incapace della
più piccola reazione, tolga alla sinistra le castagne dal fuoco.
E adesso basta. Andiamo via da quel paese e dalle sue carceri prima di
perdere, insieme alla decenza, ogni possibilità di potere, più avanti,
pagare il debito tremendo che abbiamo contratto.
testo integrale tratto da "Il
Manifesto" - 12 maggio 2004