Ciampi: atti disgustosi, ora processi pubblici

Il presidente: torture intollerabili per una democrazia, 

sia fatta piena luce su tutte le responsabilità

ROMA - Misura le parole. E sceglie le più sferzanti, evocando «comportamenti disgustosi, lesivi della dignità della persona umana, intollerabili per una democrazia» e che «turbano profondamente il sentimento degli italiani, eredi dell’insegnamento di Cesare Beccaria». Il presidente della Repubblica affronta il caso dei prigionieri iracheni seviziati, e la sua denuncia suona come l’ultimo appello per quella politica - dell’amministrazione Usa, ma non soltanto di quella - che sembra non comprendere la gravità dello scandalo e che sottovaluta i riflessi della crisi davanti all’opinione pubblica internazionale, compresa quella del nostro Paese.
Non tenta di edulcorare i termini del problema, Ciampi, che ne parla sette ore prima delle rivelazioni fatte dalla vedova del maresciallo dei carabinieri Massimiliano Bruno, ucciso a Nassiriya. Utilizza un’espressione cruda, eppure correttissima, su quanto è successo: «torture», altro che «abusi», «errori» o «pressioni improprie», secondo certe letture minimaliste. Anzi, il diluvio di foto choc costituisce per lui un atto d’accusa così sconvolgente da richiedere subito «piena luce su tutte le responsabilità» e che «sia fatta giustizia in pubblici processi».
Insomma: le scuse scandite fra imbarazzati distinguo da Bush e da Blair, per il capo dello Stato non bastano. Servono atti concreti, tali da restituire alla coalizione impegnata nel sanguinoso dopoguerra di Bagdad (e dunque pure all’Italia) l’onore messo a rischio. Atti concreti, domanda. Il che significa risalire l’intera catena di comando (investigando «tutte le responsabilità»), a costo di arrivare alle dimissioni del segretario alla Difesa americano, Donald Rumsfeld. Altrimenti sarà impossibile che la forza militare Usa in Iraq, così come la nostra, sia percepita come una presenza di garanzia e di tutela dei diritti umani.
Sono queste alcune delle precondizioni per assorbire uno sdegno che non è solo del mondo islamico. Ciampi ne discute al Quirinale con il presidente tunisino Ben Ali, che guida un Paese tra i più tolleranti e aperti a letture evolute del Corano. Un esempio, la Tunisia, che lo induce a distinguere «fra l’autentica tradizione di dialogo, dignità e pace che fa capo all’Islam, e il terrorismo frutto deteriore del fondamentalismo estremista».
«L’attuale situazione in Iraq, già difficile, si è ora drammaticamente aggravata» dice il capo dello Stato. Ora, siccome non si può fingere che nulla sia accaduto, «l’auspicio» è che si faccia «piena luce» attraverso «pubblici giudizi». Mentre, con analogo pressing, va avviata la «ricostruzione delle libere istituzioni di uno Stato iracheno e delle basi della sua economia».
E proprio qui deve entrare in gioco l’Onu, sul cui ruolo un anno fa si registrò una spaccatura tra le due sponde dell’Atlantico, con la stessa Europa divisa al suo interno. Il Presidente ricorda come quei contrasti siano oggi superati e sia «convinzione largamente condivisa che l’iniziativa delle Nazioni Unite, in primo luogo attraverso una nuova risoluzione, consenta di costituire nel più breve tempo possibile un governo iracheno legittimo e sovrano».
La strada è tracciata e la sta percorrendo l’inviato Onu, Lakhdar Brahimi. Ma parallelamente, riflettono insieme Ciampi e Ben Ali, va sciolto il nodo del conflitto israelo-palestinese. Per il quale «è urgente arrivare alla costituzione di due Stati che vivano fianco a fianco, in pace e sicurezza».

Marzio Breda

 

 testo integrale tratto dal "Corriere della Sera"