Contromano
IL TEOREMA DI MOORE di Curzio Maltese Dall’ultimo film di Micheal Moore si impara una lezione utile anche per noi italiani. Quando cala la popolarità di Bush, aumenta il grado di allarme terrorismo. E’ una legge meccanica del nuovo potere. Il nostro piccolo Cesare, come lo chiama Bocca, imita il modello. Da quando il berlusconismo ha esaurito la spinta propulsiva, ovvero la capacità di raccontare favole agli elettori, si sono scoperte decine di minacce di Al Qaeda all’Italia e al premier in persona. Il gioco è a rischio zero. Se l’attentato arriva , loro avevano avvertito. Se non arriva , vuol dire che l’hanno sventato. Così giorno per giorno muore una democrazia. Perché la differenza è che la democrazia governa le paure, il regime governa con la paura. Fahrenheit 9/11 è meno sorprendente di Bowling for Colombine, ma è altrettanto diretto ed efficace. Si capisce che l’amministrazione Bush abbia mosso tante leve per non farlo distribuire negli Stati Uniti. Non si tratta di un film ideologico, tanto meno sovversivo. Al contrario, è patriottico, nel senso autentico delle canzoni di Bruce Springsteen. Ha la forza di un teorema. Moore vuole dimostrare che la “guerra al terrorismo”, pilone di tutta la presidenza Bush, era soltanto il pretesto di una lobby di petrolieri e fabbricanti d’armi per mettere le mani sulle riserve irachene. Fin dal giorno dopo l’attentato alle Torri, il clan Bush ha fatto pressioni sui servizi segreti e sui media perché inventassero prove sull’atomica irachena e sui legami di Bagdad con Al Qaeda, entrambi inesistenti. Quindi, sono partiti alla conquista dei pozzi nella crociata del petrolio che è finita come sappiamo. Il resto, dalla caccia ai mandanti del terrore all’idea di esportare la democrazia in Medio Oriente, era ovviamente una maschera da esibire a un’opinione pubblica manipolata. La prima preoccupazione di Bush, il 12 settembre, sarà di salvare la famiglia Bin Laden, socia d’affari della sua famiglia, e di puntellare il regime saudita, uno dei più illiberali dell’area del Golfo. Il teorema di Moore ha lo svantaggio di essere troppo razionale per un pubblico ridotto dal sistema dei media allo stato emotivo di un bambino di cinque anni, incapace di pensare che papà possa essere un cattivo soggetto. Infatti, funziona soprattutto quando tocca i sentimenti popolari. Una madre legge l’ultima lettera di un marine americano in Iraq, ormai consapevole d’essere finito in una trappola assurda. Una settimana dopo il ragazzo viene ucciso e la camera segue la donna in viaggio verso Washington, per urlare il suo dolore alla Casa Bianca. Lo sguardo disperato è identico a quello della donna che raccoglie i resti del suo bimbo fra le macerie di un villaggio iracheno. George Bush dice, nel finale, che non ci si può far fregare due volte con la stessa bugia. A novembre vedremo se sarà vero. testo integrale tratto da "Il Venerdì di Repubblica" - 13 AGOSTO 2004 |