Sulla carretta arrivata a Siracusa 72 superstiti. Il ministro Calderoli parla di “regole d’ingaggio” contro gli immigrati: è bufera.

La traversata della morte

L’odissea dei clandestini dalla Libia: 28 corpi gettati in mare

SE QUESTI SONO UOMINI

di MICHELE SERRA

Per passare da uomo a bestiame, ci vuole pochissimo. Basta imbarcarsi in cento sopra una barca lunga come un camion. È il passaggio inverso, da bestiame a uomo, l’impresa impossibile. Riavere un’identità, un nome,un’età quando si approda, quando il carico fitto dei corpi infreddoliti, stremati, si scioglie e prova a chiedere aiuto, voce per voce, storia per storia, diritto per diritto.

Sull’ennesima carretta arrivata ieri, ennesimo “giorno del grande esodo” secondo la facile iperbole che dedichiamo alle nostre cose, ventotto erano già morti e finiti in mare durante la traversata dalla Libia alla Sicilia. Un quarto del carico.

Pare che, come i sopravvissuti fossero ivoriani o ganesi o liberiani, nazionalità africane con le quali ci stiamo impratichendo soprattutto grazie a qualche calciatore di successo.

Un quarto del carico, si diceva: perché quanto all’identità, cioè agli esseri umani che corrispondevano ai tonfi dei corpi nell’acqua nera, è già arduo darne una ai vivi, figuriamoci ai morti.

L’immigrazione deve essere soprattutto questo spavento, per noi inimmaginabile: non riuscire più a dire di sé, avere un racconto – e che racconto – e non trovare più lingua né orecchie per raccontarlo. Essere all’arrivo, dopo averla scampata, solo uno del mucchio, merce indesiderata.

Intuire che ogni eventuale diritto – o briciola di diritto – si regge sul concetto di persona, di individuo, e annaspare nel numero vago e indistinto di un problema, quello dei “clandestini”. Così vago e indistinto, quel numero, che mentre il ministro dell’Interno Pisanu lancia l’allarme sul cataclisma sociale e antropologico imminente, paventando “due milioni di clandestini alle porte”, il suo sottosegretario Mantovano annuncia che nei primi sei mesi di quest’anno gli sbarchi sono dimezzati rispetto al 2003 e ridotti a un quarto rispetto al 2002: da dodicimila  a ottomila a tremilacinquecento. Forse i milioni diventano migliaia, e viceversa, con speciale disinvoltura, proprio quando i conti non si fanno più con le persone, con gli individui, ma con “la piaga dell’immigrazione clandestina”.

Così vago e indistinto questo numero, e così innominate le storie e le vite di quei vivi e di quei morti, che il neo-ministro delle Riforme Calderoli – uno che ogni volta che parla comunica disagio e imbarazzo – non trova di meglio, commentando quest’ultima tragedia mediterranea, che proporre “nuove regole di ingaggio” per la nostra marineria contro i navigli in arrivo, come se si stesse giocando a battaglia navale, o come fosse una guerra vera, con qualcuno che ci vuole invadere e distruggere.

Le parole di Calderoli cadono, al solito, contro oggetti non identificati.

Ciascuno portatore muto di incredibili storie, mezza Africa attraversa su camion sgangherati, mezzo mare scavalcato a dorso di barche pazzesche, la morte di stenti o di malattia di quello che ti respirava accanto, l’arrivo in una terra della quale non sai niente, non le leggi, non la lingua, non il modo con il quale ti chiederanno chi sei e dove vai.

Tanto difficile è, per gli immigrati clandestini, ritornare uomo e smettere di essere bestiame, che alcuni di loro non sapranno mai di avercela fatta, sia pure virtualmente: per quattordici degli arrivati sulla penultima nave, quella dei finti sudanesi, il Tribunale di Roma (nel disinteresse generale) ha dichiarato illegittima l’espulsione, perfino nei termini di quella strettoia che è la legge Bossi-Fini. Avevano il diritto di restare, quei quattordici, ma non lo sapranno mai perché erano già stati rimpatriati in grande fretta.

Persone pazienti, qui in Italia, erano riuscite a dare loro un nome, una nazionalità ed un diritto ad personam. Troppa grazia per chi è rassegnato a non contare nulla, a non raccontare nulla e non essere raccontato.

testo integrale tratto da "La Repubblica" - 9 AGOSTO 2004