La spirale della
barbarie
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di Igor Man
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Sino a poche ore fa Nick Berg
aveva 26 anni, ora è solo una testa stravolta dall’ultimo
istante, il suo torace giace in un angolo d’una latrina, come un
otre. Lo hanno decapitato per vendicare la tortura inflitta ai
detenuti iracheni nel carcere di Abu Ghraib dove Saddam massacrò,
torturandoli, diecimila «traditori della nazione araba».
Torturare un uomo senza difesa, un prigioniero, è cosa turpe: così
la pensano tutti (o quasi) ma i carnefici di Nick han voluto
vendicare il torto più grande, ai loro occhi, che i prigionieri
iracheni in mano americana han subito. L’arabo ha una sua dignità
che nasce con lui, fiera, che comporta la consapevolezza d’essere
«maschio». Il machismo islamico, tuttavia, non investe la sfera
sessuale e basta, no: è orgoglio, è primato sociale, è dignità,
è rispetto da parte della donna. Non c’è delitto più grande
dell’umiliare un uomo spogliandolo, esponendolo, nudo, ai lazzi
dei torturatori che gli han messo in testa una mutanda di femmina.
Se, poi, come nel caso che da giorni oramai saccheggia i giornali di
tutto il mondo, a offendere la «dignità maschile» è una donna,
la carceriera, la misura non ce la fa a contenere l’umiliazione -
ed essa straripa reclamando vendetta. Gli infami che hanno inteso
restituire l’onore agli iracheni torturati e dileggiati da «femmine»,
mozzando la testa a un povero ragazzo yankee, motivano la
decapitazione col rifiuto di Bush a uno scambio: noi vi diamo Nick,
voi ci date dieci prigionieri fratelli nostri. Bush avrebbe vietato
il baratto e Nick è morto com’è morto.
Homo homini lupus: la pagina dell’orrore è lungi dall’esser
finita. Ci tocca ancora vedere alla tv che a Gaza uno degli ennesimi
scontri pazzeschi tra israeliani e palestinesi - scontri, ahimè, di
routine -, s’è concluso con sette morti fra i palestinesi e sei
nelle file degli israeliani. I sei sono stati dilaniati da
un’esplosione, sono «andati in pezzi». Letteralmente. Alcuni
palestinesi han «rubato» quei frammenti d’uomo, li han messi in
un sacchetto di plastica esibendoli in giro per le viuzze di Zeitun.
Già visto, già successo: ricordate i due «agenti» israeliani
linciati quattro anni fa a Ramallah da un gruppo di palestinesi?
Quell’episodio si mischiò con la fine atroce del bimbo
palestinese invano protetto dal padre; piccolo, inerme, terrorizzato
bersaglio di giovani soldati corrotti dalla guerra. Per un ebreo è
«dovere» seppellire integro il corpo di una persona morta. Ebbene
quelli che hanno il sacchetto pieno dei resti dei soldati israeliani
vorrebbero scambiarlo con la liberazione di loro compagni nelle
carceri israeliane. Va detto che chi propone tanto baratto è gente
delle brigate Al Aqsa e della Jihad islamica. Gruppi vicini e simili
ad Hamas. Codesti gruppi armati irriducibili al punto da accusare
Arafat di «tradimento» vogliono, «debbono», vendicare
l’eliminazione dello sceicco loro leader. Ma tutto ciò, quello
che è stato e quello che verrà, non è soltanto terribile: è una
svolta crespa, figlia di una guerra preventiva che, appunto, avrebbe
dovuto prendere in contropiede il disordine medio orientale per
arare la terra affinché accogliesse il seme santo della democrazia.
Ma Dio tace. Il silenzio di Dio è il vero castigo. Dio tace perché
l’uomo non sa più parlare all’uomo. Parlare all’Altro
comporta non solo il perdono - esige il primato della giustizia. Non
c’è pace se non c’è giustizia. Ma chi potrà salvarci dalla
valanga che sale col suo carico di scetticismo e di cattiveria, di
orrore e di odio, visto che Dio vuole punirci? Che altro è infatti
il suo silenzio se non delusione e castigo? Che fare per bloccare
questa deriva? L’America non sa. L’Europa non può.
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testo integrale tratto da "La
Stampa" - 12 maggio 2004 |