Teleclick
e vendi l’intimità
di
Walter Siti
Sta diventando un gioco molto diffuso. Gli adolescenti si riprendono
coi telefonini mentre fanno l’amore; qualche volta sono un branco di
maschi, costringono una ragazzina sprovveduta e poi la ricattano; qualche
altra volta sono effusioni da fidanzatini, con la ragazzina che si lascia
andare a una performance più spinta e il ragazzetto non resiste alla
tentazione di mostrare le immagini agli amici. Gliele invia per Mms,
magari finiscono su Internet e per la ragazzina comincia un calvario. Più
raramente la ragazza è consenziente e il telefonino diventa un modo per
realizzare del porno casalingo.
La tecnologia appaga desideri antichi, di supremazia maschile o
voyeurismo-esibizionismo. Ma la facilità cambia qualcosa negli equilibri
e nei rapporti: la cultura è anche un faticoso bilanciamento tra gli
impulsi della libido e le regole sociali. L’impulso a consumare, alla
base della nostra economia, sta dalla parte del piacere, della
soddisfazione immediata dei desideri; tendiamo a ottenere più
gratificazioni possibili acquistando ciò che ci piace, gli unici limiti
sono dati dalla mancanza di denaro o dal rischio o dalla difficoltà. C’è
anche la morale, naturalmente, ci sono le regole; e ci sarebbe l’idea di
sacrificare il piacere immediato in vista di piaceri più grandi, e magari
meno effimeri. Ma sono idee controcorrente, che intralciano gli imperativi
della tecnologia e del consumo: il nuovo modello, la connessione veloce,
meglio qui e subito che dopo. Di qui l’impulso a fotografare col
telefonino: l’attimo di piacere, un tramonto o una fellatio o la moto
appena avuta in regalo, ecco, basta un click a immortalarli, a non farli
svanire, a darci notorietà in Rete. Il consumismo non ci spinge soltanto
a comprare oggetti ma a produrre oggetti, a immetterci nel mercato
universale con la maggior dotazione possibile di oggetti da scambiare o da
vendere.
La prima cosa che anche il più povero di noi ha a disposizione, è il
proprio corpo: la riserva più immediata di oggetti parziali con cui
possiamo intrattenere e stupire gli altri, con il look, la stranezza,
l’audacia. Gli uomini e le donne che usano il proprio corpo per ottenere
favori non considerano prostituzione il loro comportamento, pensano al
corpo come a un legittimo prodotto, si definiscono ragazzi o
ragazze-immagine. Mostrarsi seminudi accanto a un potente significa
promozione. Studenti e studentesse, con disinvoltura, si organizzano per
arrotondare le magre rendite vendendo il proprio corpo: è un modo per
sentirsi indipendenti e protagonisti. Che si riprendano o no col
telefonino, il loro è comunque un gesto da reality. Anche nella
mercificazione del corpo è in atto un principio di facilità, perché se
consideriamo il corpo (il nostro o quello amato) una merce non saremo
ossessionati dai suoi misteri, la merce non ha profondità. Una volta si
diceva che l’amore era qualcosa di intimo e prezioso; tra i due
aggettivi è prevalso il secondo, e la preziosità si tende a
monetizzarla. Quanto vale, per i giornali di gossip, l’amore di un vip?
E perché non dovremmo ambire a diventare tutti dei vip? L’intimità,
per definizione, non può essere commerciata, e quindi è messa ai margini
del circuito economico; per questo, lentamente, rischia di atrofizzarsi.
testo
integrale pubblicato da "La Stampa - 10 gennaio 2007