L’ASSENZA
APPARENTE: UNA TEMA CHE, DALLA MORTE DI GESÙ, ACCOMPAGNA LE TRAGEDIE
DELL’UMANITÀ DOPO la morte di Gesù
di Nazaret, avvenuta alle tre del pomeriggio vigiliare del 7 aprile
dell'anno 783 dalla fondazione di Roma, ebbe luogo una rapida sepoltura
del corpo del condannato in una tomba vicina al luogo dell'esecuzione
capitale, fuori dalle mura di Gerusalemme: con il tramonto iniziava
infatti per gli ebrei la festa della Pasqua. Per i discepoli di Gesù, che
erano tutti fuggiti nell'ora dell'arresto, e per le donne discepole, che
lo avevano accompagnato fino alla tomba, iniziava il «dopo Gesù». Gesù
- maestro, profeta, ritenuto anche messia e inviato da Dio - è morto, non
c'è più, giace sepolto in una tomba. Nei discepoli c'è sconforto, ma
anche paura: se hanno condannato a morte il maestro, come infieriranno sui
suoi discepoli? Sabato santo, giorno dopo la morte di Gesù: davanti ai
discepoli c'è solo la fine della speranza, un'aporia, un vuoto su cui
incombe il non senso, l'insopportabile dolore, la lacerazione di una
separazione definitiva, di una ferita mortale. Dov'è Dio? E' questa la
muta domanda del sabato santo. Dov'è quel Dio che sembrava così presente
nella vita di Gesù, il profeta che parlava con autorevolezza e compiva
segni guarendo e liberando dal male? Passa un giorno intero senza
intervento di Dio. Forse Dio ha abbandonato definitivamente Gesù? Forse
Dio si è nascosto, ha deciso di fare silenzio? O è addirittura in
collera, disgustato dell'umanità? Domande insensate per un credente che
aderisce al Dio vivente conoscendolo e amandolo, ma domande che purtroppo
vengono poste dagli uomini, anche religiosi, i quali, piuttosto di
interrogarsi sulla propria sordità, sul proprio non ascolto di Dio, sulla
propria opposizione rumorosa alla parola silente di Dio, preferiscono di
fatto accusare Dio e attribuirgli la responsabilità del vuoto, del nulla
che essi vivono. Il sabato santo ci riporta al tema del silenzio di Dio,
un tema percepito come assenza di Dio, morte di Dio, soprattutto nell'ora
della shoah, dello sterminio di milioni di uomini, donne e bambini,
nell'ora dei diversi genocidi che hanno segnato il secolo scorso; il
silenzio del sepolcro ci riporta alla domanda: «Dov'era Dio ad Auschwitz?».
Domande tragiche, cariche di angoscia, che nascono nel cuore di chi
vorrebbe che Dio intervenisse, lui il Signore della storia, per impedire
che il povero sia distrutto dal potente, che l'innocente sia ucciso
dall'empio! Ma non a caso questa domanda su Dio è ripetuta tante volte
nei salmi da parte degli idolatri che, soprattutto nell'ora dell'angoscia,
si rivolgono al credente chiedendogli: «Dov'è il tuo Dio?». Eppure, la
vera domanda da porsi è un'altra: «Dov'era l'uomo ad Auschwitz?». E'
l'uomo che è morto, è l'uomo che non ha saputo reagire: il grande
silenzio che avvolge i genocidi è silenzio di uomini, di popoli, di
governi, purtroppo anche di uomini che si dicono credenti… In verità,
il Dio degli ebrei e dei cristiani è contrassegnato proprio dall'essere
un Dio che parla, un Dio sempre in dialogo con l'umanità, un Dio che
costantemente rivolge il suo invito: «Shema', ascolta, ascoltate!»; non
è idolo che «ha bocca ma non parla, ha orecchi ma non ascolta». Sono
gli uomini che lo accusano di silenzio, piuttosto di riconoscere di essere
loro ad avere le orecchie aperte per altre parole, per altri messaggi, per
altri inviti. Neppure nel giorno dell'uccisione di Gesù, suo Figlio
inviato nel mondo, Dio si è disgustato dell'umanità fino ad
abbandonarla. E' vero che più volte nella Bibbia si parla della «collera»
di Dio, ma in questo linguaggio antropomorfico si deve cogliere
soprattutto il pathos di Dio: non c'è un Dio irato, cattivo, risultato
della proiezione del comportamento degli uomini, bensì un Dio che ha
passione, un Dio appassionato. In questo atteggiamento di Dio - presente
pure in Gesù, anch'egli a volte in collera durante il suo ministero - si
esprime l'amore di Dio, la sua non indifferenza al male, la sua sofferenza
di fronte all'ingiustizia, la sua volontà di riparare all'ingiustizia,
volontà che comunque si realizzerà nel giorno del giudizio. Questa non
indifferenza al male, propria di Dio e di Gesù, fa parte del Vangelo, il
quale non è solo «buona notizia», ma anche giudizio: certo Dio non
castiga qui e ora - chi commette il male si incammina lui stesso su una
strada di morte: c'è una giustizia immanente che si realizza anche quando
l'uomo non sa discernere - ma ci sarà un giudizio, e allora il castigo,
nelle forme che solo Dio conosce, cadrà su chi ha operato il male. «Dio
vuole che tutti gli uomini siano salvati», dice san Paolo, ma a questa
volontà ciascuno durante la propria vita può opporsi. Sabato santo: Dio
può sembrare assente, il male prevalere, il dolore senza senso, la
tenebra invadente. Eppure è proprio nel sabato santo che si radica
l'attesa nell'azione definitiva di Dio, è nel sabato santo che l'enigma
della morte diventa mistero… Anni fa in Cina ho incontrato un vescovo di
quella chiesa ufficialmente non in comunione con Roma, ma in realtà una
chiesa fedele al Vangelo nella persecuzione. Mi diceva: «Noi viviamo il
sabato santo, ma proprio per questo siamo in attesa della Pasqua! La
Pasqua verrà! Lo dica al Santo Padre, che noi amiamo: noi siamo in
attesa!». Nei mesi scorsi Giovanni Paolo II ha osato parlare a più
riprese commentando il profeta Geremia e il Salmo 76 che parlano di questo
«silenzio di Dio». Purtroppo su questo suo commento vi è stato un
enorme fraintendimento, non tanto da parte di non credenti meno familiari
al linguaggio forte dei profeti e del salmista, ma da parte di tanti
cristiani che sono parsi apprezzare il silenzio e il disgusto di Dio: se
Dio tace, è normale che l'uomo non lo ascolti; se Dio non interviene
perché mai dovrei giudicare io gli eventi e cercare di esserne
responsabile? Un fraintendimento non diverso da quello avvenuto quando
sulla croce Gesù ha invocato il suo Dio: «Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?». Chi lo ha sentito ha detto: «Chiama Elia perché
venga a liberarlo…». Prima o poi c'è un sabato santo per ciascuno di
noi. In quell'ora non dimentichiamoci queste parole: «Dio veramente era
qui accanto a me, ma io non lo sapevo!» (Genesi 28,16). Nell'attesa della
Pasqua, impariamo ad ascoltare il silenzio del sabato santo.
testo integrale tratto da "La Stampa" - 19 Aprile 2003
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