5 KILOTON
Il Senato
Usa: sì alle piccole atomiche
51 voti contro 43: abolita la legge che
proibiva lo sviluppo di armi nucleari di bassa potenza
di
MANLIO DINUCCI
Il Senato degli Stati uniti, con una maggioranza di 51
a 43, ha abolito ieri la legge che proibiva la ricerca e lo sviluppo di
armi nucleari di bassa potenza, inferiore ai 5 kiloton. Il provvedimento
era stato adottato nel 1994, su iniziativa dei parlamentari democratici
John Spratt ed Elizabeth Furse, sulla base della motivazione che «le armi
nucleari di bassa potenza cancellano la distinzione tra guerra nucleare e
guerra convenzionale». In altre parole: costruire e schierare armi di
questo tipo accresce la possibilità che la guerra diventi nucleare,
provocando una reazione a catena dalle conseguenze catastrofiche. Nella
mente degli strateghi, queste sono invece armi «spendibili» anche in
conflitti regionali. Armi nucleari penetranti di bassa potenza, prevede la
nuova dottrina nucleare statunitense (Nuclear Posture Review Report),
«potrebbero essere impiegate contro obiettivi in grado di resistere a un
attacco non-nucleare, come bunker profondamente interrati o depositi di
armi biologiche». Potrebbero, in altre parole, essere usate per «decapitare»
il paese nemico, distruggendo con un «attacco preventivo» i bunker dei
centri di comando e le basi missilistiche Gli Stati uniti, però,
posseggono attualmente una sola arma nucleare di questo tipo, la bomba di
gravità B61 Mod. 11, un'arma poco precisa che non può penetrare in molti
tipi di terreno. Da qui la necessità di realizzare «un'arma penetrante
più efficiente, che permetterebbe di attaccare molti obiettivi interrati
usando una potenza nucleare molto minore di quella di un'arma che esplode
in superficie».
Quest'arma, sostengono gli strateghi del Pentagono, «produrrebbe lo
stesso danno, provocando un fallout minore».
Tale affermazione viene però contraddetta da uno studio realizzato dalla
Federazione degli scienziati americani: esso dimostra che una bomba
nucleare penetrante, anche se di bassa potenza, provoca una fuoriuscita di
radioattività dal terreno, con conseguenze distruttive per ogni forma di
vita nell'ambiente circostante. Colpendo con un'arma di questo tipo un
deposito di materiale chimico, biologico o radioattivo, si provocherebbe
inoltre la diffusione di sostanze letali non solo nel paese attaccato, ma
anche in quelli limitrofi e, in generale, nell'atmosfera terrestre, con
ricadute su scala globale.
Ora che il Senato ha dato luce verde, il Pentagono può finanziare la
ricerca per lo sviluppo di nuove armi nucleari penetranti da usare, se
ritenuto necessario, contro paesi come l'Iran o la Corea del nord,
militarmente più forti di quelli contro cui si sono fatte le ultime
guerre (Iugoslavia, Afghanistan, Iraq). Le conseguenze sono immaginabili.
Per sperimentare tali armi, gli Stati uniti dovranno riprendere con tutta
probabilità i test nucleari sotterranei, stracciando il Trattato del 1996
per la completa messa al bando degli esperimenti nucleari, che hanno
firmato ma non a caso mai ratificato, e imprimendo quindi una ulteriore
accelerazione della corsa agli armamenti nucleari.
A tranquillizzare gli animi ci pensa il segretario alla difesa Donald
Rumsfeld, il quale assicura che «studiare tali armi non significa
svilupparle, né schierarle, né usarle» (The New York Times, 21
maggio). Nessuno però ci crede. In realtà, commenta il democratico
Edward Kennedy, «i sostenitori della linea dura pensano che, facendo armi
nucleari un po' più piccole, la guerra nucleare non sarebbe poi così
brutta: allora okay a una mezza Hiroshima?»
testo integrale tratto da "Il
Manifesto" - 22 maggio 2003
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