"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

 

Sanità, tra mafia

e inettitudine

Le morti di questi giorni non sono frutto della fatalità ma di un sistema

che crea carriere in base a lobby e correnti di partito.

Per uscirne occorre che tutti facciano la loro parte.

Evitando che la denuncia costi più che delinquere

 di Domenico Barrillà

             Se fossi un politico siciliano sarei saltato sulla sedia leggendo l’intervista che il primario della Cardiochirurgia pediatrica del Civico di Palermo, Carlo Marcelletti, ha concesso al “Corriere della Sera” il 22 settembre scorso.

Ovviamente la mia è un’affermazione che non tiene conto del fatto che il più delle volte per essere politici in Sicilia occorre avere rinunciato a pensare come una persona normale, essendo dai noi qualsiasi carica elettiva un mestiere da difendere a tutti i costi e con tutti i mezzi.

Non importa con quali perdite. Esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare un rappresentante dei cittadini.

Il professor Marcelletti commentava gli ultimi tragici episodi di malasanità che nell’Isola si sono portati via, nell’ordine, Angela Pagano, Francesco Paolo Spoto,Davide Campo e Miriam Bucolo.

Tutti in meno di un mese. Se sommando le età delle 4 vittime si superano i 60 anni, è perché una di loro ne aveva 39. Gli altri 3 sono bambini, figli di genitori inconsolabili.

Le parole dell’insigne cardiochirurgo non sono quelle limate e criptiche in uso nel mondo parallelo della politica o quelle solenni ma del tutto prive dei seguito delle omelie che suggellano queste morti

destinate a restare impunite, come accade sempre quando ci sono di mezzo la politica, i poteri malavitosi e le categorie professionali potenti. No, quelle parole sono dirette e senza possibilità di interpretazione.

Sono e basta. Se ci fossero politici siciliani non compromessi con il modello denunciato da

Marcelletti, dovrebbero alzare senza indugio la loro voce e ammettere che tutti i partiti, tutti senza esclusione alcuna, al massimo con qualche sfumatura, partecipano da sempre al lauto banchetto

piazzando primari e portaborse per amicizia o contiguità politica. Così il primario:

“Tanti medici vengono assunti o fanno carriera grazie a lobby, correnti di partito o mafia. Di questo occorre parlare, interrogarsi,non tacere” e ancora: “…si capisce che ci muoviamo nelle sabbie mobili,

tra mafia e inettitudine”.

Le morti di questi giorni non sono il frutto della fatalità, ma del predetto mercato, della cui esistenza tutti i cittadini siciliani e tutti i soggetti istituzionali portano responsabilità, inclusa la chiesa locale che

non sempre riesce a rendere intelligibile, ma soprattutto concreta, la propria denuncia.

Nei giorni scorsi abbiamo sentito i vertici della Cei rammentarci che la chiesa italiana non si lascerà intimidire dai fischi e dai politici. Meno male. Di certo c’è che in Sicilia chi non si lascia intimidire

sono la magistratura e le forze dell’ordine, che pagano in solido il loro impegno

e per giunta senza dare spettacolo. Può anche darsi che per un pastore la Sicilia sia terreno di applicazione tremendo, ma registriamo che il martirologio ecclesiastico isolano è fermo al solo don Pino Puglisi.

Per il resto aspettiamo che monsignor Giuseppe Betori, segretario del Conferenza Episcopale Italiana, magari lontano dai flash e dalle telecamere, venga a ripetere nei quartieri, nelle piazze e nelle chiese siciliane che lui e la chiesa non si lasceranno intimidire. Lo attendiamo con ansia. La sanità è materia troppo “umana” perché si faccia combriccola con i suoi impresentabili manovratori, c’è in gioco la vita

delle persone, ma parallelamente c’è in gioco un potere inaudito grazie ai fiumi di milioni di euro che la attraversano e che sono suscettibili di corrompere non solo la politica ma interi gruppi professionali, deviandone l’originaria vocazione. Citando il procuratore Grasso, sempre nella stessa intervista, il professor Marcelletti rammentava che dalle nostre parti sono inquisiti 8 medici su 10. Se si tratta di un caso è davvero un caso curioso. Ognuno faccia la sua parte, secondo il proprio ruolo e la propria carica, associazioni di cittadini, partiti, ordini professionali, confessioni. Questo giornale c’era quando si è trattato di aprire il grandangolare sugli abusi nella sanità siciliana.

Non ci siamo limitati a denunce di circostanza, ma abbiamo cercato i fatti senza guardare il colore politico dei soggetti, per questo sappiamo quale costo abbiano le prese di posizione, in Sicilia. Scomode per i destinatari, scomodissime per i mittenti, giacché in questo posto unico al mondo denunciare continua a costare assai più che delinquere.

Con la complicità di tutti.

 

Testo integrale tratto da “Centonove”  30 settembre  2005