"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
Sanità, tra mafia e inettitudine
Le morti di questi giorni
non sono frutto della fatalità ma di un sistema che crea carriere in base a
lobby e correnti di partito. Per uscirne occorre che
tutti facciano la loro parte. Evitando che la denuncia
costi più che delinquere Ovviamente
la mia è un’affermazione che non tiene conto del fatto che il più
delle volte per essere politici in Sicilia occorre avere rinunciato a
pensare come una persona normale, essendo dai noi qualsiasi carica
elettiva un mestiere da difendere a tutti i costi e con tutti i mezzi. Non
importa con quali perdite. Esattamente il contrario di quello che dovrebbe
fare un rappresentante dei cittadini. Il
professor Marcelletti commentava gli ultimi tragici episodi di malasanità
che nell’Isola si sono portati via, nell’ordine, Angela Pagano,
Francesco Paolo Spoto,Davide Campo e Miriam Bucolo. Tutti
in meno di un mese. Se sommando le età delle 4 vittime si superano i 60
anni, è perché una di loro ne aveva 39. Gli altri 3 sono bambini, figli
di genitori inconsolabili. Le
parole dell’insigne cardiochirurgo non sono quelle limate e criptiche in
uso nel mondo parallelo della politica o quelle solenni ma del tutto prive
dei seguito delle omelie che suggellano queste morti destinate
a restare impunite, come accade sempre quando ci sono di mezzo la
politica, i poteri malavitosi e le categorie professionali potenti. No,
quelle parole sono dirette e senza possibilità di interpretazione. Sono
e basta. Se ci fossero politici siciliani non compromessi con il modello
denunciato da Marcelletti,
dovrebbero alzare senza indugio la loro voce e ammettere che tutti i
partiti, tutti senza esclusione alcuna, al massimo con qualche sfumatura,
partecipano da sempre al lauto banchetto piazzando
primari e portaborse per amicizia o contiguità politica. Così il
primario: “Tanti
medici vengono assunti o fanno carriera grazie a lobby, correnti di
partito o mafia. Di questo occorre parlare, interrogarsi,non tacere” e
ancora: “…si capisce che ci muoviamo nelle sabbie mobili, tra
mafia e inettitudine”. Le
morti di questi giorni non sono il frutto della fatalità, ma del predetto
mercato, della cui esistenza tutti i cittadini siciliani e tutti i
soggetti istituzionali portano responsabilità, inclusa la chiesa locale
che non
sempre riesce a rendere intelligibile, ma soprattutto concreta, la propria
denuncia. Nei
giorni scorsi abbiamo sentito i vertici della Cei rammentarci che la
chiesa italiana non si lascerà intimidire dai fischi e dai politici. Meno
male. Di certo c’è che in Sicilia chi non si lascia intimidire sono
la magistratura e le forze dell’ordine, che pagano in solido il loro
impegno e
per giunta senza dare spettacolo. Può anche darsi che per un pastore la
Sicilia sia terreno di applicazione tremendo, ma registriamo che il
martirologio ecclesiastico isolano è fermo al solo don Pino Puglisi. Per
il resto aspettiamo che monsignor Giuseppe Betori, segretario del
Conferenza Episcopale Italiana, magari lontano dai flash e dalle
telecamere, venga a ripetere nei quartieri, nelle piazze e nelle chiese
siciliane che lui e la chiesa non si lasceranno intimidire. Lo attendiamo
con ansia. La sanità è materia troppo “umana” perché si faccia
combriccola con i suoi impresentabili manovratori, c’è in gioco la vita delle
persone, ma parallelamente c’è in gioco un potere inaudito grazie ai
fiumi di milioni di euro che la attraversano e che sono suscettibili di
corrompere non solo la politica ma interi gruppi professionali, deviandone
l’originaria vocazione. Citando il procuratore Grasso, sempre nella
stessa intervista, il professor Marcelletti rammentava che dalle nostre
parti sono inquisiti 8 medici su 10. Se si tratta di un caso è davvero un
caso curioso. Ognuno faccia la sua parte, secondo il proprio ruolo e la
propria carica, associazioni di cittadini, partiti, ordini professionali,
confessioni. Questo giornale c’era quando si è trattato di aprire il
grandangolare sugli abusi nella sanità siciliana. Non ci siamo limitati a denunce di circostanza, ma abbiamo cercato i fatti senza guardare il colore politico dei soggetti, per questo sappiamo quale costo abbiano le prese di posizione, in Sicilia. Scomode per i destinatari, scomodissime per i mittenti, giacché in questo posto unico al mondo denunciare continua a costare assai più che delinquere. Con la
complicità di tutti. Testo
integrale tratto da “Centonove” 30
settembre 2005
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