3. SIGNORE, HAI FATTO L’UOMO POCO MENO DEGLI ANGELI (Salmo 8)

 

di Fr. Egidio Palumbo

 

1.         Nel grembo della Presenza di Dio

 

            Il Salmo 8 è un inno che, assieme ai Salmi 39 e 90, lodando la grandezza di Dio Creatore, medita sull’esistenza umana considerata nella sua globalità e complessità. Se si vuole guardare al mistero dell’uomo, bisogna guardare al mistero di Dio, così come si è manifestato e si manifesta nella storia degli uomini, al mistero di Dio che tutto avvolge e nel quale noi, creature umane, siamo inseriti. Se notiamo la struttura letteraria del Salmo 8, non è un caso, anzi è proprio intenzionale che il Salmo sia racchiuso a mo’ di inclusione da un versetto di acclamazione al Nome di Dio (v. 2 e v. 10); e che dentro tale acclamazione vengano inseriti il confronto tra Dio e l’uomo sulla scena del cosmo (vv. 3-5) e il canto dell’uomo, considerato come il custode del creato (vv. 6-9).

            Utilizzando questa struttura letteraria l’orante testimonia il movimento di circolarità esistente tra Dio e l’uomo: più si comprende il mistero di Dio (per quanto ci è possibile), più si comprende il mistero dell’uomo, e viceversa; per rendersi conto, alla fine, che l’uomo è avvolto dal Nome di Dio, ovvero abita dentro la Presenza di Dio che, come un grembo, tutto contiene e sostiene.

 

2. Il Nome: Dio è relazione interpersonale (vv. 2. 10)

 

            Il Salmo 8 si apre con l’acclamazione del Nome di Dio. Il “nome” dice identità, presenza  “personale” che si rivela e si comunica; dice anche relazione interpersonale. Il Dio d’Israele, che è lo stesso del Dio di Gesù Cristo, non è un’idea, né una presenza evanescente senza volto e nome. Ciò che caratterizza il Dio d’Israele è l’interpersonalità: il “Nome” indica proprio la “Persona”, ovvero una Presenza che si rivela, che comunica, che dialoga, che interpella... Per questo egli è l’ “Io sono colui che sono”: cioè una presenza. Ma anche “il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” (cf. Es 3,14.15), “questo è il mio nome per sempre” (Es 3,15): cioè una presenza che si rivela e agisce nella storia attraverso la relazione interpersonale.

            Sull’esperienza dei testimoni del Dio Vivente, la fede biblica esplicita tale relazione interpersonale di Dio con noi invocandolo con i nomi di Padre, Madre, Sposo, Pastore, Amico, Liberatore..., fino a il “Dio di Gesù Cristo”; e la tradizione cristiana invocherà Dio come Trinità di Persone: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”... È l’unico Nome che racchiude in sé altri nomi, i quali ci comunicano qualcosa della infinita e multiforme ricchezza di relazioni interpersonali che Dio ha con l’umanità.

            Ma si badi bene: relazioni mediate attraverso molteplici eventi ed esperienze storiche. Infatti il Sal 8,2 acclama alla presenza regale di Dio, alla sua signoria che risplende in tutto il cosmo: sulla terra — paese abitato dall’uomo, dove egli vive le sue esperienze ed è protagonista di avvenimenti significativi o ne è coinvolto e influenzato — e sopra i cieli, metafora per dire il “luogo dove Dio abita”, lo “spazio divino” dove viene celebrato (“I cieli sono i cieli del Signore, ma ha dato la terra ai figli dell’uomo”, Sal 115,16; anche nella preghiera del Pater noi diciamo: “Padre nostro che sei nei cieli...”).

 

3. Confronto tra uomo e Dio (vv. 3-5)

 

            Con il v. 3 inizia la prima sezione del Salmo 8 che celebra il Dio creatore (vv. 3-5).

            Lo sguardo dell’orante contempla l’azione di Dio vincitrice sul caos (v. 3). Evocando Gen 1,6, afferma che Dio ha posto stabilmente il firmamento come potenza, baluardo, linea di confine che il caos non può valicare: è l’affermazione della trascendenza di Dio, della sua irriducibile alterità che non può essere mai usurpata dall’arroganza degli avversari, dei nemici e dei ribelli di Dio. Ogni uomo, chiunque esso sia, nel momento in cui decide di voler fare il padreterno in questo mondo, diventa il satana, vale a dire l’avversario, il nemico, il ribelle di Dio; la sua azione produce solo caos e morte sulla terra.

            Ed è interessante notare che quell’uomo, che pensa di essere il “padreterno”, Dio lo riduce al silenzio, non con fulmini e saette, neppure con imponenti armate di cavalli e cavalieri, ma attraverso il “balbettio” dei bimbi e dei lattanti, cioè mediante la fede e la sapienza dei più piccoli e dei più deboli della terra (cf. Sap 10,20-21). Il v. 3 del nostro salmo sarà citato da Gesù in Mt 21,15-16 (cf. anche Mt 11,25; Lc 10,21; 1Cor 1,27-28).

            Dopo il firmamento, l’orante (del quale già ci siamo accorti che non ha la testa fra le nuvole...) contempla gli astri (v. 4), “opera delle dita di Dio” — quasi un ricamo prezioso posto nel cielo o corde di un’arpa pizzicate dalla delicatezza del tocco divino — che servono per scandire il giorno e la notte, i mesi e gli anni, e per formulare il calendario civile e liturgico.

            Ma ciò che colpisce l’orante è la “fissità” degli astri, la loro stabilità, la loro immutabile regolarità (“... che tu hai fissate”); in realtà l’orante è impressionato dalla grande e stabile fedeltà di Dio, il creatore.

            E qui l’orante non può non fare a meno di porre il confronto non tra uomo e cosmo, ma tra uomo e Dio. Ecco il v. 5 con una traduzione un po’ parafrasata: “che cosa è l’uomo-realtà-caduca-e-malata perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo-fatto-di-terra perché te ne curi?”. L’uomo, nel senso di umanità maschio/femmina, è di per sé realtà fragile, caduca, anzi realtà fatta di terra e di polvere. Eppure il Dio grande, regale, trascendente e fedele (vv. 2-4) si china sulla nostra umanità debole per natura. Ecco il confronto che desta lo stupore nell’orante.

            Qui per indicare la premura appassionata di Dio vengono usati due verbi: “ricordare”, che evoca l’Alleanza sponsale tra Dio e l’umanità (cf. Sal 105,8): di fronte ai cedimenti e alle debolezze dell’uomo, Dio si “ricorda” della sua Alleanza, ovvero del fatto che Lui per primo si è legato alla nostra umanità senza lasciarsi omologare da essa, e quando Dio si “ricorda” egli ama, salva, libera... (cf. Sal 9,13. 74,2); al “ricordo” si accompagna la “cura”, che esprime la sollecitudine paterna/materna di Dio che visita le sue creature (cf. Sal 106,4; Lc 1,68; 7,16; 19,44).

            Lo stupore dell’orante è rivolto verso ciò che rende l’uomo un essere unico e irripetibile nello scenario del cosmo: realtà fragilissima oggetto della sollecitudine, della grazia e delle preoccupazioni di Dio. Da qui, allora, può iniziare la seconda sezione del Salmo: il canto dell’uomo.

 

4. L’uomo custode del creato (vv. 6-9)

 

            L’orante canta la dignità dell’uomo, con i seguenti connotati:

            — L’uomo è stato creato “poco meno degli angeli” oppure, ed è la lettura più probabile, “poco meno di Dio” (v. 6a): cioè creato ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26-27).

            — L’uomo partecipa della stessa missione regale di Dio (cf. Sal 21,6): “di gloria e di onore lo hai coronato” (v. 6b), La sua missione regale non conosce confini: “tutto hai posto sotto i suoi piedi” (v. 7b), gli animali e tutto il creato (vv. 8-9). .

            — Ma questa regalità è soltanto dono di Dio: “gli hai dato potere sulle opere delle tue mani” (v. 7a). Alle mani fragili dell’uomo Dio affida le sue opere “buone/belle” (il creato, le altre creature umane, gli animali e le cose: cf. Gen 1,4.10.12.18.21.25.31), e le affida nella qualità di amministratore e custode, non di padre-padrone,  (cf. Gen 2,28-30; 2,15; Mt 25,14; Lc 12,42-43; 15,31;16,1-8). L’uomo è chiamato ad aver cura della creazione e ad avere sollecitudine per i poveri del paese: così egli partecipa della stessa regalità del Signore (cf. Sal 72).

            Ogni giorno Dio rischia sull’uomo, perché le mani fragili dell’uomo possono diventare mani che violentano, uccidono, rubano, inquinano...

           

            Come modello supremo di regalità secondo il cuore di Dio, noi cristiani abbiamo Cristo Gesù, il Figlio, al quale l’autore della Lettera agli Ebrei applica Sal 8,5-7 (cf. Eb 2,6-8): la sua è una regalità vissuta nella prospettiva dell’amore, del dono e del servizio.

            Di questa stessa “corona” di regalità i cristiani sono stati segnati dall’unzione dello Spirito nella cresima, gli sposi nel sacramento del matrimonio (il rito ortodosso prevede il rito dell’incoronazione degli sposi evocando proprio Sal 8,6), i presbiteri con l’imposizione delle mani, i monaci, i frati e le suore con la professione religiosa.