4.
L’UOMO È COME L’ERBA (Salmo 90) Egidio Palumbo 1.
Esistenza esodale dell’uomo Il Sal 90 apre il IV Libro dei Salmi (Sal 90-106). Si suppone che questo libro sia stato composto dopo l’esilio in Babilonia (538 a. C) come testo-base per la Festa delle Capanne, la quale ricorda il cammino del popolo di Dio nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù di Egitto, cammino esodale nella libertà segnato dalla precarietà esistenziale, da vari fallimenti umani, sociali e di fede (poiché la libertà costa fatica e interpella la responsabilità, mentre è più semplice, vivere sotto un padrone il quale “fa tutto lui” e ti libera da tante responsabilità...), ma anche da un rapporto con Dio intenso e vivace (il Signore vuole che cresciamo e maturiamo come uomini e donne liberi e responsabili). Il dono della libertà dalla schiavitù di Faraone (in Esodo spesso è scritto che si “scende in Egitto”) e il faticoso cammino nel deserto (così pure è scritto che si “sale dall’Egitto”) è un evento che rimarrà sempre scolpito nel ricordo e nella memoria liturgica d’Israele, come anche nella memoria liturgica cristiana. Per questo il Salmo 90 viene idealmente attribuito a “Mosè, uomo di Dio”, come recita il titolo. Non è Mosé l’autore, ma ci si ispira agli eventi dei quali lui fu protagonista; infatti molti contatti lessicali e teologici troviamo, per esempio, con Es 32-33, Dt 32-33, Nm 13-14, ecc.. Altri contatti o affinità possiamo individuarli con Gen 2-3 per la relazione morte-peccato, con Isaia e con il Sal 51 per l’appello alla conversione, con Giobbe, Qohelet, Sir 40,1-17, Sap 2,1-5, Sal 37; 39 per la tipica riflessione sapienziale sulla fragilità effimera dell’uomo. Il Sal 90, allora, è una preghiera che ci insegna a riflettere davanti a Dio sul cammino della vita: l’esistenza dell’uomo è un esodo. La preghiera assume così un particolare movimento: parte da una introduzione (vv. 1-2) che evidenzia la fedeltà di Dio; si apre al lamento per l’esistenza fragilissima dell’uomo che spesso diventa insopportabile (vv. 3-10); dopo il lamento, la preghiera si apre alla supplica, affinché il Signore ci doni un cuore sapiente che ci permetta di vivere con maturità spirituale la nostra fragilità esistenziale (vv. 11-16); la preghiera si conclude con l’invocazione della grazia/bontà del Signore che dà senso al cammino della fragile vita dell’uomo (v. 17). 2.
Dio, fondamento dell’esistenza (vv. 1-2) Il movimento della preghiera del Sal 90 parte con la confessione di fede nel Dio fedele: egli è stato, è e sarà per noi un rifugio (v. 1), meglio, una dimora rocciosa, ferma, stabile e sicura, nella quale possiamo abitare e riporre la nostra speranza (cf. Sal 91,1-2.9; 71,3). Tutta storia dell’uomo, attraversata da generazioni, da secoli, fino a noi oggi, e caratterizza da svolte epocali che la rilanciano verso il futuro..., tutta la storia ha il suo fondamento in Dio ed è guidata da Lui. Tutta l’evoluzione del pianeta terra ha il suo “prima”, il suo fondamento in Dio, Signore del cosmo e della storia (v. 2; cf. Is 41,4; 44,6; 48,12; Ap 1,8.17; 2,8; 21,6; 22,13; Gv 1,1). Riguardo alla fedeltà di Dio, l’orante del nostro salmo non resterà nell’astrattezza, ma nel v. 12 saprà qualificare la fedeltà di Dio nella linea della compassione; come a dire: la nostra storia e il nostro mondo stanno in piedi sulla compassione di Dio (cf. Sap 11,22-26; Sal 86,15; Eb 4,15; Gv 1,1.18; Mt 5-7 = Mt 7,24); se essa viene a mancare, la storia cade nel caos, il mondo “crolla”... Una particolarità non ci deve sfuggire: il v. 1b si apre con “Signore/Adonai”, il v. 2 si chiude con “Dio” che in ebraico è scritto ’El, il quale etimologicamente significa “il Forte”: la forza di Dio sta nella compassione, ed è proprio questa forza che è posta a fondamento della nostra esistenza. 3.
La fragilità della nostra vita (vv. 3-10) Lo sguardo si rivolge ora alla fragilità dell’umana esistenza. L’uomo è un “essere-che-si-può-ammalare” ed è un “essere-fatto-di-terra-e-di-polvere” (v. 3, cf. Sal 8,5). La sua esistenza è mortale, non immortale: viene dalla polvere della terra e ritorna alla polvere della terra (cf. Gen 3,19). Il tempo dell’uomo è caratterizzato da questo cammino esodale verso la morte. La consapevolezza della “mortalità” dell’uomo affiora ancora di più da un duplice confronto: — Dal confronto dialettico del tempo dell’uomo con l’eternità di Dio (vv. 4-6, cf. Sir 18,8-9; 41,4; Sal 102,25): un millennio, che per l’uomo è come un grande monumento innalzato nella storia cui dedica anche solenni celebrazioni, per Dio invece è come se fosse un giorno (cf. 2Pt 3,8) o una di quelle ore della notte che nello stato di incoscienza del sonno volano via. Il tempo dell’uomo, dunque, è un tempo destinato alla morte, evocata simbolicamente nei vv. 5-6 dall’immagine del sonno e dell’erba che germoglia e fiorisce al mattino e dissecca alla sera per il sole preso durante il giorno (cf. Sal 102,12; 103,15-16; Gb 14,1-2; Is 40,6-8; Mt 13,5-6; Gc 1,9-11).
— Dal confronto dialettico dell’ira di Dio con il peccato dell’uomo (vv. 7-10): il peccato è il fallimento dell’uomo nella relazione con Dio, con gli altri uomini, con gli altri esseri viventi della terra, e fallimento anche nell’uso delle cose (cf. Gen 3-4); l’ira di Dio è lo sdegno di Dio per il male che l’uomo commette sulla terra. Ecco il confronto: se l’uomo è indifferente di fronte al male e all’ingiustizia, Dio no. E la sua ira — che è l’altra faccia del suo amore e della sua compassione (Es 34,6-8; Sal 103,8-14; Eb 12,4-11 — è per la nostra salvezza, perché è come il sole che fa luce anche nei lati più oscuri della nostra esistenza, smaschera tutto quanto viene coperto dalla maschera del nostro orgoglio e della nostra autodifesa. L’orante del nostro salmo ha il coraggio di andare fino in fondo nel confronto, quando afferma nei vv. 9-10 che l’ira di Dio è posta al servizio della nostra vita mortale: siamo esseri mortali che spesso e volentieri, attraverso le nostre scelte e decisioni, produciamo morte; l’ira di Dio ci fa prendere coscienza di questo nostro peccato. E questo per noi diventa insopportabile... Ecco perché il salmo in questi versetti ha assunto il tono del lamento. 4.
Richiesta di tre doni (vv. 11-17) Se l’uomo in quanto “essere-per-la-morte” produce morte, se la sua vita è un fallimento, come “sopravvivere”? come uscire da questo cammino arido e deserto? A questo punto il Salmo da lamento diventa supplica. L’orante chiede al Signore tre doni: — un cuore sapiente (v. 12), cioè guidato dalla sapienza di Dio (cf. Mt 6,21; Lc 12,21), affinché ognuno possa accettare e vivere il limite della vita con maturità umana e di fede, come parte del progetto che Dio ha su ogni uomo; — la Sua compassione (v. 13): la compassione di Dio è la manifestazione della sua Signoria sulla storia, per questo ridona all’uomo gioia e speranza, e lo rende capace di saper discernere nella storia, nello scorrere del tempo e dei giorni, le opere di Dio (v. 16); — la luce della Sua Grazia (v. 17), perché dia senso “alle opere delle nostre mani”, affinché le nostre mani lavorino per la vita e non per la morte...
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