I. BEATO L’UOMO A CUI È PERDONATA LA COLPA (Salmo 32) Alberto Neglia Pregare i salmi “Che cosa di più dolce di un salmo? Per questo lo stesso Davide dice splendidamente: “Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene ” (Sal 146,1). Davvero! Il salmo infatti è benedizione per i fedeli, lode a Dio, inno del popolo, plauso di tutti, parola universale, voce della Chiesa, professione e canto di fede, espressione di autentica devozione, gioia di libertà, grido di giubilo, suono di letizia. Mitiga l’ira, libera dalle sollecitudini, solleva dalla mestizia. È protezione nella notte, istruzione nel giorno, scudo nel timore, festa nella santità, immagine di tranquillità, pegno di pace e di concordia che, a modo di cetra, da voci molteplici e differenti ricava un’unica melodia. Il salmo canta il sorgere del giorno, il salmo ne fa risonare il tramonto. Nel salmo il gusto gareggia con l’istruzione. Nello stesso tempo si canta per diletto e si apprende per ammaestramento. Contesto È questo un salmo che la Chiesa considera penitenziale, ed ha uno sfondo di ringraziamento per essere stato perdonato e liberato dal peccato, che, chi prega considera come il nemico più radicale e più insidioso che inquina la sua coscienza e condiziona le sue scelte. L’apostolo Paolo riprende questo salmo nella lettera ai Romani (4,6-8):“Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere: Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate e i peccati sono stati ricoperti; beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!”. Paolo cita il salmo in un contesto in cui canta la gratuità della salvezza in Cristo, offrendoci così l’ermeneutica del salmo: la gratuità del perdono. Chi prega il salmo canta la misericordia di Dio: certo in lui è presente l’amarezza per il peccato ma anche la gioia del perdono. Chi prega, confida nella hesed di Dio, ed è accompagnato dal convincimento che nel momento in cui confessa il suo peccato è perdonato. Più tardi Giovanni nella sua prima lettera (1,8-9) ci ricorderà: “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa”. Il salmo riceve luce anche da Lc 15, soprattutto dal v. 18: “Mi leverò e andrò da mio Padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te”. Struttura del salmoIl salmo si presenta come posto in una cornice, che dà il tono al salmo, formata dal Prologo (vv. 1-2) canta la beatitudine per aver sperimentato la gioia del perdono. Epilogo (v . 11) riprende il tema della gioia per il perdono. È chiara l’inclusione tematica. All’interno di questo orizzonte possiamo dividere il salmo in due strofe: vv. 3-7 Si canta il perdono, non a partire da una astratta riflessione teologica, ma dalla propria esperienza. All’interno della strofa è presente questa dinamica: a. la miseria del peccato (vv. 3-4); b. confessione e perdono (v. 5); c. Pace e serenità (vv. 6-7) vv. 8-10 Con stile sapienziale, a chi è stato perdonato, viene proposta la via da seguire.
Lettura del testoPrologo (vv. 1-2): La beatitudine della vita Esprime la gioia per aver ritrovato la libertà di spirito dopo il perdono dal peccato e l’esperienza della comunione con Dio. I motivi della felicità sono legati all’azione di Dio espressa con tre verbi. Il primo è nasa’ = levare, portar via. Come l’uomo “porta’ su di sé” il peso opprimente del peccato, così Dio “porta via” dall’uomo il peccato rendendolo libero e felice. Il secondo è kasah = coprire. Coprire il peccato significa ignorarlo, e questo concretamente significa liquidarlo (Gb 31,33) e cancellarlo. Il terzo verbo è chashab = imputare, accreditare. Avviene che scoprendo (svelando) i propri peccati a Dio si ottiene che egli li “copra” perdonandoli. Quindi la sincerità è condizione previa ed espressione del risultato. Si entra, così, nella vicenda interiore dell’uomo, si entra nel cuore stesso della fede e della salvezza. Il destino dell’uomo si gioca su questa scelta di confessione e di abbandono in Dio. Prima strofa (vv. 3-7): Il canto del perdono Il penitente traccia quasi autobriograficamente l’avventura della sua conversione-confessione. Essa comporta tre fasi distribuite sul filo del tempo. l passato (vv. 3-4) – L’esperienza del peccato È il tempo del peccato e della miseria. Il peccato dilaga anche nel corpo di chi lo commette, devastandolo. Il peccato è una presenza sotterranea nella persona, si decompone come un cadavere e decompone la persona che l’ha commesso. Le ossa sono la sintesi dell’intero organismo umano. Esse si sfaldano, si logorano, si consumano. È la devastazione del peccato che dilaga nella persona e intacca tutto l’organismo, anche la parte più solida, le ossa. L’uomo si trova così, sotto l’irrompere di una tempesta. Il verso 3 offre un vivace ossimoro, il peccatore taceva e ruggiva: tutto il giorno, silenzio disperato e grido lacerante sono sinonimi della stessa situazione sventurata. Inoltre il v. 4 calca la mano su questa devastazione interiore. All’incubo continuo del giudizio di Dio che schiaccia inesorabilmente il peccatore con la potenza della sua mano si aggiunge l’inaridimento interiore. Così, malattia e aridità interiore, tempo (giorno e notte) e spazio (arsura estiva) sono associati in questa grande maledizione che è il peccato, sindrome di morte. Dal canto di gioia della beatitudine (vv. 1-2) si è passati al ricordo dell’oscurità, una oscurità che però può essere squarciata. Il presente (v. 5) - L’esperienza della confessione È il presente della conversione, segnato da una grande svolta che salva. Il presente si caratterizza per la capacità di fare verità nella propria vita. Qui c’è una seria presa di coscienza simile a quella del figlio prodigo di Lc 15 e quindi una decisione solenne di fare una scelta. Sono presenti qui alcuni termini teologici che illustrano, ci fanno capire il senso del peccato: chatta (peccato) = fallire la meta, il bersaglio. ‘awon (errore) = l’errare su strade sbagliate, la colpa.Pesha (la trasgressione). Ma anche un lessico che esprime il desiderio di uscire da questa situazione di peccato:jada’ (far conoscere), si tratta della conoscenza piena in senso semitico, è un riconoscere confessante.kasah = coprire, ritorna questo verbo. Adesso è l’uomo che non copre il suo peccato ma lo presenta a Dio perché lo copra col suo perdono. Ritorna il verbo nasa’ = levare, rimettere, per celebrare l’intervento liberante di Dio. Questo lessico raccoglie l’itinerario della conversione e del perdono che muove dalla decisione del ritorno a Dio passa attraverso la confessione del peccato e arriva alla accoglienza-consapevolezza del perdono. Qui è come se il salmista che prega sentisse la chesed di Dio scendere sulla sua esistenza come acqua abbondante: “Ritorna Israele ribelle, dice Jhwh. Non ti mostrerò la faccia sdegnata perché io sono pietoso, dice Jhwh. Non conserverò l’ira per sempre. Su, riconosci la tua colpa perché sei stato infedele al Signore tuo Dio” (Ger 3,12-13). In questo v. 5 la CONFESSIONE non avviene per una umiliazione degradante, ma per la verità-consapevolezza-convinzione del proprio peccato. Il salmista spiega come è arrivato all’esperienza della confessione: non è riuscito a resistere al tormento, ma soprattutto non è riuscito a resistere alla luce di Jhwh che ha illuminato la sua coscienza. E, nella sua fedeltà alla verità che libera (Gv 3,21), si è trovato di fronte a un’unica scelta mossa dalla fede ( e quindi non dal bisogno di uno sfogo e di una terapia tranquillizzante): l’onestà di riconoscere davanti a Jhwh il suo tradimento personale. Perciò qui è presente: non rimorso, né senso di colpa, né ripiegamento su se stesso che paralizzano, né immolazione sacrificale per placare Jhwh, ma confessione. Un parlare da persona a persona con Jhwh e lasciarsi perdonare-liberare da lui. Il futuro (vv. 6-7) – Una nuova comprensione della vitaAlla luce della fedeltà di Jhwh che libera dal peccato, l’uomo che ha saputo riconoscere e confessare il suo peccato al Signore, guarda in modo nuovo la sua situazione. Egli, ormai libero, non ha più paura e, davanti alla comunità, testimonia la sua gioia profonda e la sua profonda riconoscenza, perché il perdono di Jhwh e la gioia che gli è venuta, sono stati dono completamente gratuito del Signore. La preghiera e la fiducia sono l’antidoto che può liberare l’uomo perché mettono in movimento Dio che perdona. L’immagine è suggestiva. La marea montante dell’angoscia e della distruzione avanza sempre più, ma Dio prende chi ha confessato il suo peccato e lo porta in luogo elevato e protetto così che il diluvio non lo raggiunga. Anzi il tumulto furioso delle acque caotiche fa subentrare un mare di gioia per la salvezza. Così l’itinerario iniziato nella sofferenza e l’amarezza si conclude con la gioia. Dio ha incontrato l’uomo che lo cercava e l’ha trasformato. Nello spirito della teologia biblica, potremmo dire che Dio stesso per primo s’è messo sulla strada del peccatore per offrirgli il suo amore. Il perdono più che frutto della volontaristica ricerca di Dio da parte dell’uomo è puro dono di Dio. Seconda strofa (vv. 8-10): L’istruzione sapienziale. Educati a vivere diversamente L’uomo convertito e perdonato è divenuto ormai un chasid (v. 6) un giusto desideroso, a partire dalla sua esperienza, di offrire un insegnamento sapienziale a tutti coloro che come lui stanno attraversando l’oscura prova del peccato. Il caso personale, così, si trasforma in insegnamento universale. Il v. 8 è scandito da tre verbi caratteristici della sapienza: istruire (skl), insegnare (jrh) e consigliare (j’s). Il peccatore convertito, divenuto saggio, si rivolge al suo ascoltatore proponendogli una nuova derek , cioè una via di vita, un comportamento esistenziale. L’orante, che ha sperimentato la presenza di Dio invita l’uomo ad abbandonare la sua bestialità e a capire. Il credente, a differenza delle bestie (degli uomini testardi, irresponsabili, chiusi al volto del Signore) che obbediscono solo per paura o per costrizione, il credente si apre e accoglie con spontaneità e gioia la Parola del Signore. Nel v. 10 viene messo a fuoco quale è il destino dell’oppressore e quale il destino di chi si affida al Signore dopo aver sbagliato. E viene chiarito che l’empio è attraversato da dolori, gli stessi provati dal salmista nel suo passato di peccatore, il convertito che si affida (btch) alla misericordia divina trova invece la chesed di Dio. Il salmo presenta l’uomo perdonato come “circondato” non più dalle acque del male e della devastazione ma dalla gioia e dal chesed di Dio. Epilogo (v. 11): Invito alla gioia Il versetto conclusivo richiama il tema iniziale della gioia. I retti-puri di cuore sono invitati ad associarsi nel canto festoso a Dio. Si tratta di quella gioia che poi darà il ritmo a tutto il c. 15 di Lc. Le parabole della misericordia sono certamente il miglior commento cristiano al Sal 32. L’acclamazione sale dai szaddiqim (i giusti), cioè dall’assemblea liturgica, a cui ormai partecipa anche il peccatore assolto. La sua voce si unisce coralmente a quella di tutto Israele fedele e diventa grido gioioso contrapposto al “ruggito-gemito” che veniva fuori nella situazione di peccato. Considerazioni conclusiveQuesto salmo sembra testimonianza della lotta e dell’angoscia dell’uomo, quando gioca con la sua coscienza per negare le sue responsabilità. Ma sembra anche testimonianza dell’uomo che comprende che il suo gioco non ha senso: urge onestà nel riconoscere il proprio tradimento al Patto di Alleanza e urge confessarlo al Signore e alla propria comunità, perché solo “la verità ci fa liberi” (Gv 3,21). Questo salmo, ancora, sembra la testimonianza dell’ “io” che prima faceva tacere la propria coscienza e poi l’ha aperta al suo Signore e alla sua comunità; ma tale “io” non può essere un “io” isolato, solitario e chiuso nella sua gioia, come prima era ripiegato su se stesso e prigioniero del suo silenzio; deve essere un “io” che vive sempre in solidarietà con tutto il popolo del Signore. In questa luce, intuiamo che la storia della liberazione e della salvezza degli uomini non può essere compresa come semplice storia di altri, passata e confinata. Né la storia della liberazione e della salvezza degli uomini può essere compresa e vissuta come storia di liberazione e salvezza privata e intimistica, ma come storia che è presente, qui, ora in me che faccio parte di questo mio nostro popolo continuamente liberato e salvato dal Signore, che siamo solo un anello di una lunga catena che continuerà fino alla realizzazione del Regno che durerà per sempre. Questo salmo, assieme ad altri, è detto salmo penitenziale. Ed è vero, ma è anche una meditazione sapienziale, di uno che attraverso l’esperienza si è fatto saggio. Questo carattere sapienziale è espresso già nel titolo del Salmo: Le Dawid maskil che potremmo tradurre: Di David che istruisce. Sembra di avere in mano un Salmo che colpisce alla radice l’angoscia del senso di colpa che paralizza una persona che ha sbagliato, perché ci invita alla gioia per il dono della comprensione del peccato e per quanto il Signore ama l’uomo. Sembra che chi ha pregato per primo questo salmo, ha talmente compreso il cuore di Dio, da anticipare profeticamente quanto poi ci dirà Gesù: “… in cielo si fa più festa per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti ” (Lc 15,7). S. Agostino, a cui questo salmo era particolarmente caro, fattane trascrivere una copia, l’aveva affissa sul muro della sua camera, davanti al suo letto. La leggeva tra le lacrime e vi trovava grande pace e conforto soprattutto durante l’ultima sua malattia.
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