Rapporto sulle persecuzioni

 

2002, ecatombe strisciante e silenziosa

 

di Andrea Riccardi

Le religioni appaiono oggi le grandi protagoniste della scena mondiale. Spesso emergono come elemento costitutivo dell'identità di Stati, che si fondano sul dominio di una determinata religione. Si producono allora legislazioni che non solo mettono le minoranze religiose in posizione di netto svantaggio ma legittimano anche abusi sul piano dei fondamentali diritti umani.
Come conciliare la salvaguardia della religione tradizionale con la piena libertà religiosa? Problema, questo, che si pone in relazione soprattutto al mondo musulmano, ma non solo. Più in generale, ci stiamo allontanando dalla stagione in cui la secolarizzazione sembrava condannare la dimensione religiosa al suo esaurimento (gli Stati comunisti puntavano invece alla sua soppressione totale). Non è un caso dunque che le religioni diventino un elemento strutturante l'assetto sociale di molti Paesi. E tutto questo rende fatalmente più interessante il rapporto 2003 sulla libertà religiosa nel mondo stilato dall'Aiuto alla Chiesa che soffre. Questioni nuove affiorano accanto a quelle antiche. Nel mondo tuttora comunista, la Corea del Nord è dove la vita religiosa è maggiormente compressa nell'idolatria al capo e allo Stato. Ricorda l'Albania di Enver Hoxha, la prima ateocrazia totale del mondo. Ma quanto potrà durare un simile sistema in un mondo globalizzato?
Ci sono regioni dov'è interdetto ogni culto differente da quello ufficiale, come nel regime wahabita dei sauditi, nonostante la forte presenza di immigrati cristiani e la storica alleanza con l'Occidente. Altro caso irrisolto è il Sudan, dove la mancanza di libertà religiosa è anche connessa alla guerra civile che da tempo insanguina il Paese. Si spera che il processo di pace porti finalmente alla libertà. In Pakistan, la minoranza cristiana è il bersaglio di sentimenti antiocc identali. Qui l'elevato numero delle vittime cristiane ha ridotto del 20% la frequenza ai servizi domenicali. Anche i musulmani sciiti peraltro sono nel mirino del terrorismo pakistano.
Sempre in Africa si rischia che i conflitti tra etnie si colorino come scontro islamo-cristiano. È il caso della Costa d'Avorio con il confronto tra Nord ribelle e Sud governativo. In Nigeria la shari'a è stata introdotta in dodici zone esasperando le tensioni. Il Rapporto opportunamente ricorda come in tre anni di scontri etnico-religiosi siano morti circa 10 mila nigeriani. In Somalia, d'altra parte, con la fine dello Stato, non esistono garanzie di alcun tipo. Condizione estrema, che si prospetta come tragico destino da scongiurare per altri Paesi del continente nero. Dove c'è l'assoluta necessità che le religioni ritrovino la loro funzione pacificatrice. Le Chiese (da quella cattolica all'anglicana di Tutu) hanno spesso assolto questo ruolo negli anni Novanta. Ma oggi, nel continente subsahariano, c'è un'enorme parcellizzazione di organizzazioni religiose: in Togo, ad esempio, se ne contano ben 97.
I fondamentalismi rappresentano un problema decisivo per la libertà religiosa, non solo quelli islamici, ma anche di matrice induista. Nel grande mondo indiano, al di là della legge contro l'attività missionaria, sono da segnalare la tendenza all'induizzazione delle istituzioni e vere fiammate di violenza contro le minoranze. Sanguinosi scontri si sono verificati tra musulmani e indù.
Il problema della libertà religiosa insomma, a dispetto di ingenue previsioni, rimane di fiammante attualità. Un dato per tutti. Solo tra i cristiani, nel 2002, ci sono stati 938 uccisi, 629 feriti, oltre 100mila arrestati a causa della fede religiosa. Un'ecatombe strisciante e silenziosa, che non può non premere sulla coscienza di ogni cittadino. Non può non inquietare tutti, come indice di una disumanità infettiva.