Le profonde radici della guerra di Bush
Da Reagan Nel degrado sociale la chiave delle scelte di guerra

diJOSEPH HALEVI


Secondo il New York Times il vice presidente Dick Cheney è pronto ad abolire le tasse sui redditi per sostituirle con un'imposta sulle vendite - paragonabile all'Iva - con funzioni fortemente regressive. Già nel regime fiscale varato nel 2003 la riduzione delle aliquote favorisce appena lo 0,2% più alto dei contribuenti! Questo strato sta ricevendo tagli fiscali quindicimila volte maggiori della media percepita dai contribuenti i quali dovranno anche sostenere il costo e il peso dell'ulteriore sfascio dei servizi pubblici. Il londinese Independent dell'8 novembre riassume un articolo non firmato di un alto funzionario del dipartimento di stato pubblicato sulla rivista elettronica statunitense Salon accessibile solo per abbonamento. Pare che il programma della seconda presidenza Bush preveda, in stretto coordinamento con Israele, l'eliminazione del regime baathista in Siria nonchè delle installazioni nucleari iraniane. Il tutto condito anche dalla promessa fatta apertamente da Bush agli anticastristi di Miami di «liberare» Cuba. Certo, in questo caso si tratta piuttosto di aumentare le azioni di strangolamento a di sabotaggio contro l'Avana, perché la regola principale di Washington, dopo le esperienze della Corea e del Vietnam, è di non impegnarsi mai direttamente contro un avversario che possiede la capacità di aggirare la superiorità tecnico-militare americana. Riconquistata la presidenza e assicuratosi il controllo del senato, il gruppo al potere negli Usa si sta lanciando a capofitto nella trasformazione del paese in un buco nero, il cui effetto, come sappiamo, è quello di dilaniare la materia che incontra nel suo cammino. Tuttavia il processo inizia da lontano. L'elemento di maggiore continuità risiede nella politica estera. Ha ragione Gabriel Kolko quando nel suo ultimo libro sostiene che dal 1945 in poi il governo Usa ha sempre visto la politica in funzione di interventi militari e che a questi viene affidato il compito di risolvere le questioni politiche (Another Century of War? New York: The New Press, 2002). Per Kolko tale visione comporta un ciclo infernale che di guerra in guerra ha finito per far approdare il fronte sul territorio americano: il 9/11/2001 appunto. Non vi è forse continuità tra Brzezinski e Wolfowitz quando il primo sostenne, in un'intervista al Nouvel Observateur del 15 gennaio del 1998, che, sotto suo consiglio, Carter fece intervenire la Cia in Afghanistan prima dell'intervento sovietico per costringere l'Urss a impantanarsi in un suo Vietnam? E quando il giornalista francese fa notare che ciò ha alimentato il fondamentalismo islamico Brzezinski risponde: «cos'è più importante nei confronti della storia del mondo? I talebani o la caduta dell'impero sovietico? Qualche islamista agitato, o la liberazione dell'Europa centrale e la fine della Guerra Fredda?». La continuità è non solo idoleogica ma concreta e da Brzezinski ci porta a Clinton e da lì a Bush. Kolko sottolinea come l'intero armamentario dell'Afghanistan venne tenuto al caldo e catapultato poi verso la Jugoslavia fino al Kosovo sempre per effettuare guerre volte a impedire agli europei qualsiasi coordinamento nella politica estera, e a isolare i russi.

Assieme alla totale irresponsabilità dei dirigenti Usa, emerge anche la piena consapevolezza dei servizi di Washington circa gli effetti di tali politiche. Il termine «blowback», la fiamma che soffia verso chi l'ha attizzata, fu coniato dalla Cia stessa dopo aver effettuato il golpe contro Mossadegh in Iran nel 1953 in un rapporto segreto che articolava la possibilità di sviluppi inattesi e contari. Ma queste consapevolezze non portarono ad alcuna critica riguardo la validità delle azioni intraprese. Ed è qui che si manifesta la continuità della politica di Washington, solo che ora, e passiamo ai cambiamenti, essa si espleta sia in uno schema di guerra permanente sia contro la popolazione statunitense.

Il mutamento avvenne con Reagan. Non si potrà mai capire cosa stia accadendo negli Stati uniti se non si coglie il significato della reazione reaganiana. Distruzione dell'apparato industriale, inizio del grande sbando della popolazione, allora prevalentemente di quella operaia e declino mortale del sindacalismo. Oggi il processo investe anche i colletti bianchi, Secondo un'inchiesta del Boston Globe del novembre 2003 i posti di impiegati e tecnici in pericolo, passibili di spostamento verso paesi esteri come l'India, sono circa 14 milioni. Il fenomeno fu anticipato nella sua dimensione politico-istituzionale, prima che si manifestasse, da Bertram Gross, un politico democratico che nel 1980 pubblicò un libro eccezionale, Friendly Fascism («Fascismo amichevole»). La tesi di Gross consisteva nell'enucleare la riorganizzazione delle oligarchie economiche statunitensi diretta a creare «una struttura di potere integrata tra il Big Business ed il Big Government tramite ideologie tecnocratiche e metodi avanzati per governare e confondere il pubblico», nonché «sovvertimento sottile delle pratiche democratiche» e «uso diretto del terrore attuato con violenza di bassa intensità, con un escalation poco costosa, con terrore indiretto attraverso conflitti etnici, vari capi espiatori e disordine programmato» (p. 170). L'assioma su cui poggiava la ristrutturazione oligarchica era secondo Gross «la spinta a mantenere l'unità dell'impero del mondo libero».

Rileggendolo oggi il lavoro di Gross fa risaltare la crisi indotta negli Usa dallo sfascio dell'Urss. La Cina non era trasformabile ipso facto in un nemico frontale credibile perché l'uso della carta cinese contro l'Urss aveva costituito la condizione per avviare Pechino a una accelerata integrazione economica con le multinazionali Usa dopo l'ascesa di Deng Xiao Ping. Si ricade quindi sul modo con cui Kolko caratterizza la strategia Usa post-sovietica: la ricerca di nemici credibili, cioè da sposare come dice il sociologo e collaboratore della rivista ebraica Tikun, Charles Derber (Regime Change Begins at Home, San Francisco: BK, 2004).

Chi cerca trova e con il «blowback» attizzato da decenni, il risultato è certo. Sposare il nemico è per Derber la condizione essenziale al fine di ottenere la coesione di ciò che egli chiama la corpocrazia, cioè il potere delle corporations, mantenendo il grande pubblico all'oscuro e nella paura. Il grande pubblico, che non ha più gli strumenti di coagulo politico-sociale ma vive chiuso negli infiniti sobborghi, senza sindacati sul posto di lavoro e soprattutto senza posto di lavoro. La devastazione reaganiana, la bolla dot com, hanno obbligato la gente a lavorare tanto con posti di lavoro vieppiù evanescenti. E' il job stesso che sta sparendo, osserva acutamente Dreber. Questa è la chiave per interpretare la trasformazione degli stati socialdemocratici del Midwest - ove, si ricordi, il radicalismo operaio era spesso accompagnato da una forte fede religiosa - in zone dominate dal radicalismo politico neoconservatore.

Fra un po' sparirà anche la Social Security, ultimo rimasuglio rooseveltiano, i cui fondi privatizzati saranno gettati in pasto a Wall Street.

Testo integrale tratto da "Il Manifesto" - 21 novembre 2004