IDEE

Pubblispettatori in televisione

La commercializzazione si è via via estesa anche alla tv pubblica e il risultato è che ormai

esiste soltanto a «televisione pubblicitaria», salvo qualche eccezione,che non vive di spot.
È nata una vera disciplina, la scienza della pubblicità tv, fondata sul principio che il successo

 di un messaggio è legata alla quantità di persone che lo vedono. E ciò dipende dal contenitore tv.

di Vittorino Andreoli

 

Una componente di grande significato per la storia e le attuali caratteristiche del sistema televisivo è la pubblicità. Da quando si è intuito che la televisione poteva essere un veicolo efficace di messaggi pubblicitari, la sua vicenda è cambiata radicalmente. Un nuovo destino l'ha spinta conducendola alla condizione di oggi: un sistema che vende telespettatori alle aziende, il che equivale a dire che mette a disposizione potenziali compratori dei loro prodotti.
C'è stato un periodo, a partire dal 1954 - anno di avvio della tv in Italia - in cui il piccolo schermo era esclusivamente strumento di informazione e di castigato spettacolo. Anni in cui la Rai era un'azienda parastatale, l'audience ridotta e lo schermo in bianco e nero. Seguì un periodo in cui esibiva i messaggi pubblicitari esclusivamente a ridosso dei telegiornali (Carosello). Fino alla nascita della cosiddetta televisione commerciale, la quale non solo con questo nome si differenziava da quella di Stato, ma si imponeva come scopo primario di promuovere la vendita di beni di consumo. Un passaggio decisivo, una vera metamorfosi favorita dal colore, che ha permesso di fare della televisione un "testimone" della realtà, della visione colorata che l'uomo ha del quotidiano e del mondo in cui è immerso.
L'interesse per il marketing ha rappresentato la condizione del suo grande successo, le ha permesso di migliorare i propri programmi, di trovare formule di grande attrazione e dunque di raggiungere un vastissimo pubblico che da quel momento avrebbe tenuto in casa l'apparecchio, il quale ormai non si limitava a dare informazioni ma soprattutto faceva spettacolo.

Da quando si è scoperto che anche l'informazione poteva veicolare pubblicità, il sistema televisivo ha cominciato ad investire pure in questo genere di servizi. Il processo di commercializzazione si è quindi esteso alla tv di Stato, e il risultato è che ormai esiste soltanto un tipo di televisione, e che la Rai ha il canone ma a nche un monte pubblicitario che non si distacca sostanzialmente da quello delle televisioni private.
Insomma negli anni Sessanta, la stagione del boom economico e della logica dell'«usa e getta», con la filosofia che la vita è consumo di cose e che il successo si mostra attraverso una voracità di oggetti e di acquisti, cambia un po' tutta la televisione che diventa commerciale senza più distinzione e mira sostanzialmente solo a rispondere alle esigenze degli inserzionisti.
Nasce una vera disciplina, la scienza della pubblicità televisiva, fondata sul principio che il successo di un messaggio dipende dalla quantità di persone che lo vedono. E ciò dipende a sua volta dal "contenitore" entro cui viene messo. Da questo momento tutti i programmi sono contenitori di messaggi promozionali. Ogni contenitore - a parità di fascia oraria - ha un potere trainante differenziato e un dato inserzionista paga a secondo del tipo di traino. Di conseguenza occorre produrre programmi che tirano pubblicità. Questa - in soldoni - la filosofia della televisione "pubblicitaria", il resto sono chiacchiere.
Il sistema della televisione commerciale mostra come si continuano a fare "omelie" pietose se non false. E ciò accade tutte le volte in cui si parla di una televisione di qualità, di un servizio per i bisogni dell'uomo o per quelli dei giovani o dei bambini.
La cosa è molto più semplice e cinica: la televisione - ripeto - deve vendere telespettatori agli inserzionisti, e dunque deve saper tenere in poltrona le persone, e lisciarle con programmi qualsiasi (specchietti delle allodole) per somministrare loro pubblicità. Il contenuto del programma è del tutto secondario, e il produttore lo sceglie sulla base dell'audience che assicura in quella fascia oraria. Se tira nella vendita di prodotti per bambini e giovani si può persino parlare di una televisione per giovani.
L'audience misura quanti telespettatori sono davanti al video in un dato momento e misura l'indice della forza pubbli citaria in quella fascia, su quel contenitore. Tutto ciò viene tradotto in costo per unità di spot, che aumenta in proporzione alle persone catturate. E per catturarle si è disposti a mostrare qualsiasi cosa, non certo per amore della gente stessa ma per primario interesse. Se diminuisce l'ascolto, il costo del modulo pubblicitario cala e il programma non rende e rischia di passare in perdita. Anche se si tratta di un programma magnifico che però non ha seguito, si chiude subito perché commercialmente non rende.

All'interno di questa stretta e semplice logica deve essere chiaro, poiché ne è una conseguenza, che tutti quelli che lavorano in televisione possono essere animati dai propositi più ammirevoli mentre operano per il business, sia pure confezionando contenitori di spot. Fanno un buon lavoro se riescono ad accalappiare tanti spot, e ciò è proporzionale alla capacità di attrarre spettatori. La filosofia che si vorrebbe costruire sul "sistema televisivo" è in gran parte una finzione, la verità si lega solo a ciò che il "sistema degli spot" consente. Deve esser chiaro che il telespettatore è una figura astratta, strumentale - come le allodole appunto - che ha il compito di comprare prodotti e di essere guidato negli acquisti.
Esistono delle emittenti che non sono dentro il sistema pubblicitario, eppure hanno tutte bisogno di sovvenzioni economiche. I loro palinsesti tuttavia non sono competitivi come quelli della televisione commerciale e finiscono per produrre pochi programmi, con vincoli di budget tali da non poter garantire prodotti tecnicamente eccellenti, o di poterlo fare solo in parte piuttosto che per singoli prodotti, non tali comunque da riuscire a rubare spettatori alle grandi reti.
Allo stato attuale i contenitori di pubblicità più forti sono dati dalle partite di calcio, sempre più frammentate da spot, da spettacoli leggeri, tanto più se sciocchi, da talk show, spesso gridati e volgari, e dalla violenza comunque venga propinata: dall a cronaca al film per la tv.
E poiché questi contenitori permettono di guadagnare bene nella vendita di inserzioni, non ci sarà nessuno, nessun principio, nessun comitato etico, nessun imperativo morale che li modificherà. Li cambierà solo la logica del mercato pubblicitario, attento a non perdere i target acquisiti e implementare semmai il portafoglio clienti. La grande paura di perdere clienti (riduzione del fatturato pubblicitario) fa sì che se un conduttore funziona lo si tiene, anche se sul piano dello spettacolo e del gusto raffinato - di qualche critico televisivo - è considerato un incapace. Produce e solo ciò conta.
Insomma, se la televisione cambierà, ciò avverrà solo perché le aziende inserzioniste lo imporranno e allora la struttura televisiva obbedirà, con buona pace di autori, di capi struttura e conduttori. In tale cornice si può facilmente ribaltare il sistema e dire che «va in onda la pubblicità», il vero prodotto televisivo. Esso infatti è di altissima qualità e viene immesso in qualsiasi programma che risulti di gradimento agli spettatori. Il perché non conta, basta contare quanti sono i telespettatori ai quali si riesce a propinare l'ottimo prodotto pubblicitario.
E ciò è vero, lo spot è veramente un capolavoro di comunicazione e di convincimento. In pochi secondi riesce a raccontare una storia, a far identificare lo spettatore in un personaggio che acquista qualcosa e quindi gli impone di uscire subito e di fare altrettanto, in un'imitazione di enorme efficacia. Gli spot sono dei mini capolavori e basterebbe ricordare i tre che Fellini ha realizzato per il Banco di Roma. Ma gli esempi sono molti.

In sintesi la tecnica e la qualità televisiva vanno valutate sugli spot, che sono il linguaggio più specifico, il resto serve a intrattenere la gente aspettando non Godot, ma lo spot. Questo è il sistema televisivo, a questo sono finalizzate la sua anatomia e la sua struttura. Il resto è decorazione. E le decorazioni possono nascondere la realtà, ma solo a prima vista.
Vince sempre la pubblicità, e pertanto una straordinaria dialettica può giustificare anche la scelta di programmi persino osceni nei quali includere spot. E per legittimarli si può giungere a chiamare in causa la libertà, la libertà dell'osceno e della violenza. Ma non dimentichiamo che l'etica di un'impresa è il profitto: essere in perdita è il grande peccato, un peccato mortale

 testo integrale tratto da "Avvenire" - 1 luglio 2003