PREGHIERA DA RITROVARE

DACCI OGGI LA PIOGGIA NECESSARIA

di Enzo Bianchi

"O Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo, concedici la pioggia di cui abbiamo bisogno": sono queste le parole dell'oremus che la Chiesa ripete da secoli, quando si prolunga la siccità in una regione. Chi ha una certa età anagrafica, ed è di origine contadina, le ricorda a memoria - e in latino - tante erano le occasioni in cui venivano pregate, così come ricorda le invocazioni che chiedevano di allontanare la grandine dai campi e dalle vigne. In quei tempi si recitavano con fede in massa, sicuri di essere esauditi, riponendo tutte le speranze in Dio, dal quale ci si attendeva la liberazione dalla miseria. Sì, perché negli anni del dopoguerra, siccità e grandine nelle nostre campagne significavano non solo povertà, ma vera e propria miseria. Oggi - è vero - la siccità provoca danni, ma questi si limitano a una riduzione dei consumi e a qualche rinuncia nello stile di vita con i suoi bisogni e le sue comodità. A chi vive del lavoro della terra, poi, i sussidi, la previdenza e le assicurazioni consentono anche di non essere più esposti alla fame.
Ora, tornare a pregare per il dono della pioggia, in questo contesto mutato, nell'epoca della tecnologia in cui si crede solo alla scienza, è operazione infantile o regressiva? Forse che Dio interviene per spostare un po' di nuvole dal cielo della Francia, dove invece stanno procurando alluvioni, per distribuire l'acqua tanto attesa nell'Italia arida? I credenti che pregano per la pioggia sono allora degli ingenui da compiangere? Taluni lo penseranno, e irrideranno per questo i cristiani, ma forse bisognerebbe leggere più in profondità questa preghiera.
Anzitutto, la preghiera cristiana non dovrebbe mai essere disgiunta da un agire coerente, fatto di giustizia e di rispetto della natura, di condivisione della terra e dei suoi beni, di qualità della vita umana e di uso intelligente delle risorse mondiali. Quando i credenti pregano per chiedere il dono della pioggia non compiono una banale operazione, rischiando di "affaticare gli dèi perché siano propizi", come sentenziava Lucrezio. I credenti, infatti, sanno che il loro Dio non esaudisce qualunque loro desiderio ma adempie tutte le sue promesse, sanno che Egli conosce ciò di cui hanno bisogno, sanno che quando pregano pongono tra loro stessi e il bisogno il "Terzo", e questo li porta a elaborare i desideri, a pesarne l'autenticità, a mantenersi in un atteggiamento di gratuità e di non abuso verso la realtà.
I credenti così riacquistano anche consapevolezza di non essere determinati solo dal bisogno, tanto meno dalla logica del mero consumo. Nel contempo, sanno di dover chiedere ogni giorno a Dio il pane quotidiano, come ha insegnato Gesù, manifestandogli pure il bisogno della pioggia. Se la preghiera resta autenticamente cristiana, pregare per il dono della pioggia allora non è un riflesso magico, bensì fiducia in un Padre misericordioso. Se un tempo pregare per la pioggia era volto a essere liberati dalla miseria, oggi significa recuperare la propria - ontologica - condizione di povertà, che è anche condizione di verità: non tutto ci è immediatamente disponibile, non siamo noi i signori del mondo e della vita.
Ma supplicare per la pioggia è anche l'occasione per interrogarsi sul rapporto con l'acqua, sul modo di usarne e abusarne, sul rispetto verso quella creatura che san Francesco chiamava "sorella umile, preziosa e casta". Sì, solo chi ha lo sguardo purificato è capace di un atteggiamento eucaristico che rende grazie per ogni cosa e libera dalla logica del possesso come dello spreco, per aprire a quella della domanda semplice e della condivisione.

 

testo integrale tratto da "Avvenire" -  19 luglio 2003