FAHRENHEIT 9/11», il documentario
anti-Bush sulla guerra in Iraq dell'americano Michael Moore, ha
vinto la Palma d'Oro, massimo premio del 57° festival di Cannes.
Gli altri premi sono andati divisi fra film francesi e film
asiatici. Come migliore attore è stato premiato un bambino
giapponese di dodici anni, come migliore attrice la star orientale
Maggie Cheung.
Non è un verdetto accomodato: il presidente della giuria, Quentin
Tarantino, americano, è un impolitico per natura e per scelta. Non
è un premio antiamericano francese o di sinistra: la platea che per
molti minuti ha applaudito il vincitore mentre balbettava per
l'emozione e dedicava il riconoscimento «ai soldati americani che
sono in Iraq», era una platea internazionale, come era
internazionale la giuria. Non è una vittoria sentimentale né «politica»
in senso basso: piuttosto, un altro segno di quanto ciò che avviene
in Iraq sia diventato insopportabile nella coscienza collettiva, di
come susciti ira e rifiuto.
«Fahrenheit 9/11» non offre rivelazioni, scandali né scoop:
ripercorre gli eventi americani a partire dal terribile attacco alle
Torri Gemelle di New York dell'11 settembre 2001; riesamina i
comportamenti di Bush e della presidenza dicendo con chiarezza
quello che le televisioni non dicono o avvolgono di linguaggi
fumosi; critica gli errori del Presidente (menzogne, interessi
privati, oziosità, legami con le famiglie di Osama Bin Laden e dei
reali sauditi).
E' un film molto semplice: anche per questo, forse, a Cannes è
piaciuto moltissimo, mentre l'autore conferma di non avere ancora un
distributore disposto a farlo uscire negli Stati Uniti. E' la prima
volta che un documentario di tema politico riceve a Cannes il
massimo premio (risale al 1956 l'unico precedente, «Il mondo del
silenzio» di Louis Malle e Yves Cousteau, che esplorava il mare):
sarebbe un peccato se proprio agli americani venisse impedito di
vederlo.
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tratto da "La Stampa" - 23 maggio 2004