L'OPINIONE DI UN CREDENTE

 LA PACE E' UNA CONQUISTA DELLA COSCIENZA

di Fabrizio Scibilia

 

Un riflessione che ci spinga a recuperare le radici del nostro essere cristiani è quanto impongono le polemiche susseguite alle parole di Mons. Ruini al funerale di Stato delle vittime di Nassiriya. Una riflessione ancora più urgente, oggi che le notizie dell’uomo contro l’uomo si succedono nel piatto anonimato di un elettrodomestico che riproduce come nessun altro il senso di straniamento dell’uomo occidentale rispetto al resto del mondo. Dal nostro piedistallo dorato, chi si accorge di quante vittime miete giornalmente lo squilibrio tra i Paesi ricchi e quelli poveri, nel mondo? Chi si accorge di quanto sia ingiusto piangere solo oggi che la Morte per mano dell’uomo bussa alla nostra porta con la sua insopportabile violenza? Chi pensa a quante lacrime dovrebbe versare ogni giorno, per i morti di ogni guerra? Non se ne parla neanche oggi, che quelle notizie incombono quotidianamente, ma domani, sepolte le vittime, calmatesi le acque, fatta persino l’abitudine al pericolo terroristico (come avvenne negli anni Settanta-Ottanta, nella stagione degli “Anni di Piombo”), non ci si penserà proprio più. Tutto assumerà i toni di un’ovattata e narcotica assuefazione, ed i morti di Nassiriya, la straordinaria commozione mediatica di questi giorni, saranno ricordi masticati e digeriti, sedimentati e seppelliti come quelle diciannove bare avvolte nel tricolore. Chi penserà a quante lacrime avrebbe dovute versare mesi fa, quando partirono, da buoni “alleati” (un eufemismo…) del mai così bellicoso colosso americano, i poveri militari finiti nell’antica Mesopotamia per un po’ di denaro in più (dubitiamo non fosse questa la motivazione prevalente, per questi ragazzi ed uomini in gran parte incolpevolmente segnati dall’appartenenza ad un Sud Italia negletto ma ugualmente esposto alle facili sirene di comodità consumistiche e sicurezze economiche da “Primo Mondo”)?

Insomma, se Ruini dice “non fuggiremo di fronte al terrorismo”, esprime anche un’altro essenziale concetto, che per chi crede è prioritario sull’apparentemente mal interpretabile affermazione precedente: la pace non è un fatto politico o ideologico, ma una conquista della coscienza individuale, un momento di avvicinamento a Dio attraverso l’uomo, la fratellanza, l’incontro, l’attenzione al prossimo. Nessuna pace è possibile senza questo fondamentale passaggio. Si cerchi prima la pace in sé, e si potrà trasmettere al mondo, e si potrà essere messaggeri e costruttori di pace nel quotidiano.

Così, neanche nessuna democrazia può imporsi con la forza, come paventa il mai troppo biasimato Bush. Solo il confronto, il dialogo, l’apertura possono persuadere alla democrazia: anzi, ne possono ricavare arricchimento. Come può considerarsi paradigma di democrazia una Nazione che non concede ancora il voto alla gente di colore (avviene tutt’oggi, quasi 2004, in Alabama)? Dunque, non esistono dogmi, in democrazia, ma solo l’etica del confronto, del dialogo, della partecipazione, della condivisione.

Per questa via alla pace, alla democrazia, alla libertà, l’ultima cosa che occorre è “fuggire di fronte al terrore”. Non fuggiva Gandhi, che rovesciò un potere coloniale centenario e potentissimo con la forza della nonviolenza, non indietreggiando ma proponendosi come esempio quotidiano di pace e virtù. Non fuggì Martin Luther King, che 35 anni fa andò incontro alla morte pur di testimoniare il suo credo nonviolento fino all’ultimo giorno della sua vita, fino all’ultimo pulpito da cui parlò, quel 4 aprile 1968 a Memphis, Tennessee.

Le sue ultime parole al pubblico che lo acclamava furono “Today I saw my Lord”, “Oggi io ho visto il mio Signore”.

Chi lo ha visto, chi lo vede, non indietreggerà di fronte a nessun nemico.

                                                                                        Fabrizio Scibilia