MISNA |
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AFRICA 14/5/2003 2:03 |
LE
‘GUERRE DIMENTICATE’ CONTINUANO A RIMANERE DIMENTICATE
di
Padre Giulio Albanese
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Peace/Justice, Standard |
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Durante
le tragiche settimane che hanno preceduto la guerra in Iraq e nel
corso di quello stesso sanguinoso conflitto, non poche voci si sono
levate in Europa e negli Stati Uniti contro il movimento pacifista
accusato di scendere in piazza solo in funzione di certe ideologie
anti-americane, affette dal solito trito e ritrito
‘catto-comunismo’ anni ‘70. Senza voler polemizzare più di
tanto con chi si ostina a difendere il ‘nuovo disordine
mondiale’, per amore alla ‘Verità’, credo sia doveroso
richiamare certi signori al buon senso, ammesso che ne abbiano
ancora. Dire "no alla guerra" per loro significava
legittimare un dittatore del calibro di Saddam Hussein e,
paradossalmente, esserne complici. A questi benpensanti, che oggi
parlano senza pudore di "disfatta pacifista" e hanno
l’ardire di difendere ad oltranza l’operato delle forze alleate
contro obiettivi civili in terra irachena, sarebbe opportuno
rammentare che da anni il mondo missionario cattolico è in prima
fila, assieme ad altre chiese e a tante componenti del volontariato
internazionale e della cooperazione, nel denunciare le numerose
guerre dimenticate che affliggono il nostro povero mondo. È di
questi giorni la tragica cronaca di Bunia, città congolese dell’Ituri,
epicentro di cruenti scontri tra milizie delle etnie rivali dei
Lendu e degli Hema nei quali sono stati uccisi decine di civili
inermi, tra i quali tre sacerdoti, padre François Xavier Çateso,
padre Aimé Ndjabu, e padre Raphael Ngoma. Gli interessi in gioco,
per chi tra loro non lo sapesse ancora, sono in gran parte legati
alla spartizione del potere per il controllo delle immense risorse
minerarie della regione. Ebbene, in queste tragiche circostanze, la
stampa occidentale, inclusa quella nostrana, ha quasi del tutto
ignorato questi tragici avvenimenti dando spazio ad
un’informazione a dir poco ‘casareccia’ farcità di gossip,
cronaca rosa e altre fanfaluche. Se le grandi testate giornalistiche
fossero più sensibili e puntuali nel raccontare i drammi che
affliggono certe periferie del mondo, forse oggi assisteremmo ad
un’informazione meno spettacolarizzata e soprattutto capace di
rispondere alle esigenze solidaristiche del ‘villaggio globale’.
Potremmo disquisirne all’infinito, ma tutti i conflitti - poco
importa se di liberazione, preventivi, umanitari o patriottici che
dir si voglia - causano sempre ammassi di macerie, dove il rancore
cova da mattina a sera, dove non v’è legge, dove i 'Signori della
Guerra' fanno affari a bizzeffe, mentre i loro clienti, mercanti di
pepite, sono pupazzi del dio denaro che - dopo averli ipocritamente
sostenuti e finanziati - hanno l’ardire di considerarli mortali
nemici. È difficile, ammettiamolo, raccontare quello che accade sui
fronti africani, come anche nei campi di raccolta disseminati nel
grande continente. In fondo, alla stragrande maggioranza dei nostri
illustri direttori di testata, quello che accade nel Sud Sudan, dove
si combatte dal 1983 un conflitto che ha causato oltre due milioni
di morti, non interessa più di tanto; non foss’altro perché il
‘business’ del petrolio, che soggiace alla sanguinosa guerra, è
meno rilevante (per loro, s’intende!) del caso di Leno o del
delitto di Cogne. Per non parlare della Repubblica Democratica del
Congo (ex Zaire ai tempi di Mobutu Sese Seko) di cui sopra, una
sorta di grande miniera a cielo aperto fatta di oro, coltan, niobio,
diamanti, rame e quant’altro. Qui si combatte ancora, dal 2 agosto
del 1998, nonostante gli accordi di pace pare abbiamo messo
formalmente d’accordo le numerose bande armate che infestano il
Paese. I bilanci ufficiali parlano di oltre tre milioni di morti in
meno di 5 anni. Intanto nel nord Uganda, l’Esercito di resistenza
del signore (Lra), un movimento armato nato alla fine degli anni
’80, continua a perpetrare quotidianamente disastri per interessi,
almeno in parte, legati al vicino Sudan. Come se non bastasse, in
Burundi, piccolo e grazioso Paese nel cuore della regione dei
‘Grandi Laghi’, nonostante gli sforzi negoziali di uomini del
calibro di Nelson Mandela, si spara quasi tutti i giorni sulle
colline che circondano la capitale, Bujumbura. È dal 1993 che i
burundesi sperimentato un calvario fatto di mattanze quotidiane. Nel
Paese del cacao, la Costa d’Avorio, il governo del presidente
Laurent Gbagbo sta tentando di salvare la faccia nei confronti di
ben tre movimenti ribelli, nati con i quattrini di poteri occulti e
non certo della società civile. La Liberia è ostaggio di banditi,
primo fra tutti - per inciso, non è un mistero! - il presidente
Charles Taylor, principale sobillatore dell’Africa Occidentale. La
Somalia, nel frattempo, è senza Stato, dal lontano 1991. Con la
caduta del regime di Siad Barre il Paese si è frantumato in una
galassia di potentati in lotta tra loro. Nella Repubblica
Centrafricana il golpista François Bozizé, autoproclamatosi
presidente nel marzo scorso, fa il bello e il cattivo tempo con la
benedizione di padrini che pare siano guarda caso interessati
all’oro nero. Ma laddove non c’è guerra, spesso in Africa si
muore di fame. Basterebbe pensare ai 15 milioni di persone a rischio
nel Corno ed ad altrettante in Africa australe. A parte
l’Osservatore Romano, Avvenire, il Manifesto e le rubriche
religiose di Radio Rai, queste guerre dimenticate e le tragedie di
milioni di civili inermi sono solo nel cuore del Santo Padre, delle
chiese e della società civile. Come vorremmo che i nostri
telegiornali, delle reti pubbliche e private, raccontassero alla
gente certe verità sottaciute, lasciate di proposito nel cassetto,
per rispondere alle esigenze di un presunto mercato massmediale che,
quanto ad ascolti e tirature, sembra andare di male in peggio. Se
qualcuno cominciasse davvero a parlare del profondo Sud del
‘villaggio globale’, siamo certi che milioni di persone
tornerebbero in piazza per dire "no alla guerra e alla povertà!".
Per carità, tutti sanno che la Champion league buca il piccolo
schermo, ma siamo certi che anche l’Africa, con le sue tragedie e
la sua straordinaria voglia di vivere, farebbe lo stesso.
dal
sito www.misna.it
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