Le
feste natalizie sono ormai terminate ed è tempo di bilanci.
Intendiamoci: non mi riferisco a quanti soldi della tredicesima
siamo riusciti a risparmiare, quanto piuttosto al senso che, come
credenti, abbiamo dato a tutto quello che è stato vissuto e
celebrato. Mentre scrivo ho sulla mia scrivania alcuni appunti di
una recente campagna dal nome alquanto provocatorio: ‘Meno
Beneficenza Più Diritti’. Si tratta di un’iniziativa rivolta a
tutti i cittadini, alle istituzioni, al mondo politico ed economico.
Le quattordici associazioni e Ong italiane che promuovono la
campagna - tra cui figura ‘Mani Tese’ - intendono sostenere
regole, a livello italiano ed europeo, che inducano le imprese ad
adottare comportamenti socialmente responsabili in tutto il mondo.
L’obiettivo è fare in modo che la produzione estera controllata
direttamente o indirettamente dalle aziende europee si realizzi nel
pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona e delle
comunità locali e garantisca il rispetto e la protezione
dell'ambiente. A questo proposito il ministro Roberto Maroni ha
avanzato recentemente una proposta alquanto controversa: ai governi
europei è stato proposto di riconoscere come ‘etiche’ le
imprese che autocertificano di avere comportamenti corretti e che
usano una piccola parte del loro profitto per finanziare il welfare
nazionale. La campagna ha lo scopo immediato di rendere evidente
l'inconsistenza di questo approccio che lega l'etica alla
beneficenza anziché al rispetto dei diritti. Al contrario, anche i
più recenti documenti della Sottocommissione Onu sui diritti umani
riconoscono la necessità di un quadro giuridico vincolante per i
comportamenti delle imprese in tutto il mondo. Sempre sulla mia
scrivania ho un ritaglio di giornale: un articolo apparso su
Repubblica dell’11 novembre scorso a firma Umberto Galimberti. Il
titolo riassume una questione cruciale alla quale il mondo cattolico
e altrettanto quello laico sono chiamati a dare una risposta:
‘Dov’è finita l’etica nel mondo del dio denaro?’ La
risposta a cui giunge Galimberti costituisce, a mio avviso,
un’amara verità: “Non disponiamo di un’etica all’altezza
della tecnica e dell’economia globale”. La verità è che noi
occidentali siamo preoccupati del terrorismo di Osama Bin Laden (che
va sempre e comunque condannato) e poi di fatto siamo responsabili
dell’inquinamento che minaccia il nostro povero pianeta impedendo
a tre quarti della popolazione mondiale ogni forma di sviluppo
sostenibile. Consideriamo gli americani, indiscussi leader della
classifica mondiale dello spreco con un consumo di energia
quotidiano pari a quello di 4 italiani, di 160 tanzaniani o di 1100
ruandesi. Non solo: ogni cittadino Usa produce 27 volte più
anidride carbonica della quota che è stata calcolata come
sostenibile: 20 tonnellate all’anno contro le 7,4 di un italiano o
le 0,2 di un cittadino dei Paesi in via di sviluppo. Se pure
avessimo la bacchetta magica e riuscissimo a sollevare le sorti
dell’Africa consentendo ai suoi abitanti di raggiungere lo
standard occidentale di benessere, nel mondo succederebbero
disastri: non ci sarebbero più foreste, il buco dell’ozono
diventerebbe una voragine e soprattutto non ci sarebbe più ossigeno
per respirare. A questo punto sono certo che qualcuno dirà:
“questo è un ragionamento catto-comunista”. A questi signori
vorrei ricordare che le politiche solidaristiche sono anche
nell’interesse del mercato. E sì, perché se i morti di fame
aumentano da mattina a sera, a chi venderanno le loro merci, i loro
prodotti i Paesi industrializzati? È indiscutibile che nel mondo il
numero dei poveri è in crescita esponenziale – tutti sanno che la
recessione penalizza i mercati finanziari, ma soprattutto mette in
ginocchio le economie dei Paesi poveri - e il fenomeno riguarda
paradossalmente anche il Nord del Mondo. Il 16 dicembre scorso la
Commissione europea ha pubblicato una comunicazione sulla povertà e
l’esclusione sociale negli stati membri dell’Unione, secondo la
quale un giovane su quattro in Italia, così come in Spagna e in
Portogallo, è a rischio povertà. Secondo il rapporto, in tutta
l'Unione la minaccia riguarda il 15 per cento della popolazione con
grandi differenze tra Paese e Paese: dal 10 per cento della Svezia
al 21 per cento dell'Irlanda. Per l'Italia, invece, il rischio
povertà, secondo i dati del 2001, riguarda una percentuale del 19
per cento, così come per la Spagna. Ma il dato sale al 25 per cento
per la fascia di età dai 18 ai 24 anni. Viene alla mente quello che
scrisse il grande Blaise Pascal: “Il mio posto al sole. Ecco
l'inizio e l'immagine dell'usurpazione di tutta la terra”.
(di
padre Giulio Albanese)[GA]