FONTE:
MISNA
PALESTINIAN 11/11/2004 5:58 |
ARAFAT,
DALLE LOTTE STUDENTESCHE DEL CAIRO
AL
CONFINO DI RAMALLAH, VIA OSLO/1
(a
cura di Emiliano Bos)
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General, Standard |
Mohammed
Abd al-Rahman Abd al-Raouf Arafat – questo il suo nome completo
– nasce il 24 agosto 1929 al Cairo, come rivela il suo attestato
di nascita; secondo alcune fonti, il diretto interessato avrebbe
dichiarato di essere nato a Gerusalemme o a Gaza. Il legame con la
Palestina è comunque diretto: suo padre, un ricco mercante tessile
della famiglia degli Husseini, era nato nella città Santa, da cui
proveniva anche la madre, che muore quando il piccolo Yasir – come
viene chiamato in famiglia – ha solo 4 anni. Affidato a uno zio a
Gerusalemme, vi trascorre alcuni anni e per la prima volta viene a
contatto con gli occupanti della Palestina, allora protettorato
britannico. Rientrato al Cairo, non ancora ventenne prende parte
alla lotta palestinese contro il costituendo Stato ebraico, che verrà
proclamato il 15 maggio 1948. In quel periodo – secondo la
biografia pubblicata dal sito ufficiale dei Premi Nobel, di cui verrà
insignito nel 1993 per l’impegno a favore della pace – Arafat
contrabbanda armi per i palestinesi nella zona di Gaza. La nascita
dello Stato di Israele lo getta in un periodo di sconforto: si
iscrive alla Facoltà di ingegneria e fin dall’inizio della
carriera universitaria si unisce alla Fratellanza musulmana e alla
Lega degli studenti palestinesi, di cui diviene anche presidente.
Nel 1956 – dopo gli anni trascorsi come capo studentesco
palestinese - si laurea. Lavora per breve tempo in Egitto e si
trasferisce poi in Kuwait: secondo alcune fonti, cerca in questo
modo di sfuggire al tentativo di arresto da parte di Israele. Arafat
non ha ancora trent’anni, ma sta già diventando una figura di
primo piano nella resistenza palestinese. La svolta è nel 1958:
insieme ad amici ‘ribelli’, che sognano come lui
l’indipendenza della Palestina, fonda il movimento ‘al-Fatah’,
una rete di cellule segrete, che dall’anno successivo inizia a
diffondere una pubblicazione per la lotta armata contro Israele.
Sotto gli auspici della Lega araba nel 1964 nasce
l’‘Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che
raccoglie decine di gruppi a organizzazioni attive per riconoscere
autonomie a quella terra. Arafat lascia il Kuwait per dedicarsi
‘full-time’ – ancorché in clandestinità - alla lotta
rivoluzionaria, diventando per tutti ‘Abu Ammar’ (il padre di
Ammar), il nome di battaglia con il quale verrà consegnato alla
storia del suo popolo. Tre anni più tardi anche al-Fatah confluisce
nell’Olp, dopo la sconfitta nella guerra araba contro Israele nel
1967.In due anni, con abilità e destrezza Arafat si rivela come
l’uomo-forte dell’organizzazione e la smarca definitivamente
dalla tutela degli Stati arabi, creando le basi di una vera e
propria struttura indipendente con basi in Giordania. Secondo alcuni
osservatori, l’Olp diventa presto una sorta di ‘Stato nello
Stato’, dotata anche di forze militari autonome a tal punto che il
re di Giordania espelle il movimento dal suo territorio. Arafat
accresce anche le proprie responsabilità militari e nel 1973
diviene Comandante in capo dei gruppi armati palestinesi. Risale
all’anno successivo la prima decisiva svolta politica dell’Olp:
la rivendicazione del diritto all'autodeterminazione del popolo
palestinese e alla creazione di uno Stato; a novembre, in uno
storico discorso all'Assemblea dell’Onu, Arafat chiede una
soluzione pacifica e politica per la Palestina, ammettendo
implicitamente l'esistenza di Israele In pochi anni tramonta anche
il tentativo di mantenere la sede dell’organizzazione in Libano,
dove l’invasione israeliana manda in fumo i progetti di Arafat.
‘Abu Ammar’ – la cui icona di uomo con la Kefiah diviene
presto un’immagine famigliare a tutti i palestinesi profughi e a
quelli rimasti in ‘patria’ – installa il suo quartier generale
a Tunisi. Nel 1988 proclama lo Stato indipendente di Palestina,
affermando a Ginevra di rinunciare al terrorismo e di riconoscere
"il diritto di tutte le parti coinvolte in Medio Oriente di
vivere in pace e sicurezza"; pochi mesi più tardi viene eletto
presidente dal Parlamento di un Paese che ancora non esiste ma che
– da quel momento in poi – cercherà con rinnovato vigore di
ottenere riconoscimento internazionale e autonomia da Israele.
All’inizio degli Anni Novanta il Medio Oriente è infiammato
dall’attacco dell’alleanza anglo-occidentale contro il regime di
Saddam Hussein, che a gennaio del 1990 aveva invaso il Kuwait:
Arafat decide di schierarsi a fianco del Rais di Baghdad, attirando
sospetti di connivenze con cellule terroristiche attive nella
regione. La ‘solidarietà’ con l’Iraq gli viene comunque
ricambiata generosamente da Saddam, che fino alla sua caduta nel
2003 continuerà a finanziare attività e aiuti ai palestinesi.
Arafat rimane il principale interlocutore degli Israeliani – che
in parte lo considerano il nemico numero uno dello Stato ebraico.
Nel 1992 partecipa alla Conferenza di Madrid per la pace in Medio
Oriente, insieme a Siria e Israele. Negli stessi mesi si pongono -
segretamente - le basi del negoziato, che poco dopo porterà Arafat
e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin a firmare a Washington
il loro primo trattato di pace, aprendo la strada all'autonomia di
Gaza e della Gisgiordania. Per questo accordo, insieme al laburista
Shimon Peres, l’anno successivo riceveranno il Nobel per la pace.
Il suo quartier generale, intanto, si trasferisce a Gaza, da dove
guida l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), di cui nel 1996
diventa presidente. La sua guida è contestata dai gruppi radicali
come ‘Hamas’ e la Jihad islamica che – soprattutto a partire
dal settembre del 2000, inizio della cosiddetta ‘Seconda
Intifada’ – dichiarano lotta armata a Israele. È soprattutto a
Gaza che questi movimenti estremisti trovano terreno fertile: in
un’area ad elevatissima concentrazione demografica e forte
povertà, garantiscono servizi, assistenza, istruzione islamica
conducendo proselitismo a tutto campo. La responsabilità degli
attentati condotti spesso anche contro gli israeliani – alcune
delle quali sono compiute anche da gruppi armati che rivendicano
legami con al-Fatah – viene attribuita da Israele unicamente ad
Arafat, che nel dicembre 2001 viene confinato nella sede di Ramallah,
in Cisgiordania. Non lascerà quasi mai la Moqata, l’edificio che
le bombe israeliane riducono in rovine: l’anziano leader non
abbandona la sua ‘base’ nemmeno quando le forze speciali dello
Stato ebraico vi fanno irruzione nel 2003. Il primo ministro
israeliano Ariel Sharon – uno dei suoi acerrimi nemici – dà il
suo consenso per l’espulsione di Arafat dai Territori, che di
fatto non avverrà. Gli ultimi anni della sua gestione sono
caratterizzati da feroci lotte intestine tra correnti e gruppi di
potere palestinesi, soprattutto tra la leadership di Ramallah e le
spinte estremiste provenienti da Gaza. Abbandonata la kefiah, il 25
ottobre scorso Arafat lascia la Moqata su una barella e con un
berretto grigio in testa, il volto tirato e un sorriso forzato per
non demoralizzare i suoi sostenitori. Il vecchio leader lascia la
sua terra per l’ultima volta diretto a Parigi a causa di un
improvviso aggravamento delle sue condizioni, che da mesi erano
andate via via deteriorandosi. In una ridda di voci e di smentite,
la notizia della sua morte viene annunciata una prima volta il 4
novembre, nello stesso giorno in cui una mano assassina – nove
anni prima – uccideva il primo ministro israeliano Rabin,
‘colpevole’ delle aperture concesse ai palestinesi. L’immagine
che li accomuna – già consegnata alle pagine della storia – è
quella della loro stretta di mano nel giardino delle rose della Casa
Bianca il 13 settembre 1993, sotto lo sguardo soddisfatto
dell’allora presidente statunitense Bill Clinton: nessuno di
questi protagonisti ha visto avversarsi quel sogno. (a
cura di Emiliano Bos)
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dal sito www.misna.org |