FONTE: MISNA

 

ITALIA   21/10/2006   0.39

CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE DI VERONA: COMMENTI

Chiesa e Missione, Standard

Sul convegno ecclesiale nazionale concluso ieri a Verona, la MISNA ha ricevuto i commenti che seguono:

1- "Nelle parole di Papa Benedetto XVI c'è non un segnale di ritirata dalla politica, ma un forte appello alla mobilitazione del laicato cattolico nell'azione politica, secondo la migliore e più fruttuosa tradizione della Chiesa in Italia. In queste parole, mi pare di leggere, sottinteso, un ulteriore messaggio di Benedetto XVI ai politici italiani: non aspettatevi né assist e né crociate politiche dalla Chiesa sulle scelte politiche e partitiche, perché ''la Chiesa non è e non intende essere un agente politico" accanto ad altri".E' il commento di Don Flavio Peloso, superiore generale dell'Opera Don Orione in merito al discorso di Benedetto XVI pronunciato alla Chiesa italiana riunita nel Convegno di Verona. "Il Papa - prosegue Don Peloso - chiama tutti i fedeli laici alle proprie responsabilità di pensiero, di testimonianza e di azione politica, ancor più necessarie oggi per poter influire cristianamente sul bene pubblico nella dinamica democratica della politica. Tutt'altro dunque che ritirata dei cattolici dalla politica! Anzi, "i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi all'agire politico con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo". "Personalmente - aggiunge Don Peloso - penso al valore politico di tante iniziative e istituzioni educative e assistenziali dell'Opera Don Orione, una "piccola opera", come la definiva Don Orione, parte della grande opera sociale della Chiesa. Avanti, dunque, con la carità della politica e con la politica della carità".



2- Ho fatto un test - scrive Gerolamo Fazzini, segretario della Fesmi (federazione stampa missionaria) e condirettore di "Mondo e Missione" - del tutto artigianale: praticamente nessuno dei delegati al convegno ecclesiale di Verona sa che ieri in Thailandia ha preso il via il primo Congresso missionario asiatico: un evento ecclesiale di grande rilevanza per il continente più popoloso e complesso del mondo. Peccato veniale, si dirà: i delegati avevano altro a cui pensare.... Può darsi. Ma il sondaggio, pur nella sua modestia, conferma che quella radunata a Verona è una Chiesa italiana un po' troppo preoccupata della sua situazione, del suo futuro e che rischia di ripiegarsi su di sé, dimenticando gli orizzonti del mondo. Una tavola rotonda con a tema l'Europa, l'altra sera, ha provato a dilatare gli spazi dell'ascolto e della riflessione. Ma, pur uscendo dai confini nazionali, il flusso delle idee e delle prospettive emerse è rimasto pressoché totalmente dentro lo scenario occidentale. Non vuol, il mio, il lamento di chi non trova adeguatamente rappresentata una componente - il mondo missionario - tutt'altro che marginale nella Chiesa italiana. Le rivendicazioni corporative sono sterili e danno luogo a polemiche inutili. Il punto è ben altro: la Chiesa italiana ha un tesoro di "testimoni della speranza", rappresentato dai missionari e da quanto e quanti essi hanno incontrato e incontrano nel sud del mondo. E tale tesoro non può restare patrimonio solo delle riviste Fesmi, dei gruppi missionari, degli addetti ai lavori. Al Convegno questo tesoro è rimasto, come la pietra preziosa del Vangelo, sepolto nel campo. Senza che (quasi) nessuno che andasse a disseppellirlo. Un peccato di omissione grave della nostra Chiesa, anche se una parte di responsabilità - a giudizio di chi scrive - sta nella ancora scarsa capacità dei missionari di rendere sufficientemente eloquente la loro esperienza in missione e a tradurla in termini "pastoralmente rilevanti" alle orecchie dei fedeli italiani. Un altro aspetto, passato in secondo piano. La Chiesa italiana deve "aprire il libro delle missioni" anche - e soprattutto - per imparare dalle Chiese del Sud del mondo. Sì, imparare. L'impressione, infatti, è che la nostra sia una Chiesa molto generosa, pronta a dare aiuti economici, strutture (ma sempre meno persone.), e tuttavia assai poco - ancora - disposta a ricevere, a lasciarsi interpellare e cambiare dall'incontro con altre realtà. Non si tratta di cadere in terzomondismi ingenui e senza senso, immaginando di adottare acriticamente modelli altrui per risolvere i problemi italiani. No. Sarebbe già molto adottare nelle assemblee come questo convegno ecclesiale, uno stile di ascolto delle realtà geograficamente lontane da noi, ma assai più vicine di quanto possiamo immaginare in termini di problematiche pastorali (penso a temi "classici" della missione come l'iniziazione cristiane, il catecumenato, la ministerialità della Chiesa, il dialogo con le altre religioni.) che oggi appaiono altrettante sfide anche per l'ultima delle parrocchie della nostra Penisola. Infine. Il Papa, chiudendo l'omelia allo stadio Bentegodi, ha inviato i cattolici italiani così: "Andate nel mondo". È un appello inequivocabile, che chiede di essere tradotto a tutte le latitudini. Perché la Chiesa italiana, essendo parte della Chiesa universale, è responsabile anche della fede e del cammino delle altre Chiese. Non ha solo da pronunciarsi su Pacs, scuola cattolica, bioetica (tutte priorità scottanti che meritano il giusto impegno), ma deve farsi carico, in qualche misura, di ben altre questioni che travalicano i suoi orizzonti geografici. Venisse meno a questo impegno, ne andrebbe del suo Dna di "cattolica". Un bel guaio, no?


3 - Vittorio Bellavite, portavoce nazionale di “Noi Siamo Chiesa” : “Il quarto Convegno ecclesiale di Verona, oggi concluso, ha mostrato nella sua preparazione e soprattutto nel suo svolgimento, la sua insufficienza come sede di elaborazione collettiva e di decisioni per la vita ed il rinnovamento della Chiesa cattolica italiana. Dopo il primo positivo Convegno del 1976, i cui esiti -che volevano continuare la linea del Concilio- sono poi stati disattesi, e dopo i convegni di Loreto e di Palermo, siamo, mi sembra, arrivati al capolinea di un’esperienza. I fatti sono chiari : il Convegno è stato preparato con un forte controllo da parte della gerarchia sia nella selezione dei delegati che nelle relazioni, nella sua struttura “spettacolare”, nell’esclusione -di fatto- dalla partecipazione di una consistente area di cattolicesimo “conciliare”, nel poco tempo lasciato alla discussione e soprattutto nel divieto di votare sulle proposte emerse dai gruppi di discussione che, considerate tutte sullo stesso piano, saranno accettate o bocciate tra qualche mese dalla Conferenza Episcopale. Nonostante questi limiti, a quanto si è potuto sapere, nelle discussioni si è manifestata, a volte con forza, una realtà vivace, critica e concreta nella sua volontà di un nuovo impegno sociale e politico e di un vero rinnovamento della pastorale. Il complesso discorso di Benedetto XVI meriterà una riflessione approfondita. A una prima lettura esso (e, a ruota, quello del Card. Ruini) mi sembra abbia sostanzialmente ignorato l’ avvio di una nuova ricerca ed i problemi posti durante il convegno. La posizione del Papa poi, mi sembra, sia intrisa del consueto pessimismo sulla cultura europea ed occidentale, sul suo relativismo e preoccupata di una rinnovata presenza cristiana che non rifiuti l’abbraccio con i "teocon" ; essa ignora problemi come quello degli extracomunitari o dell’illegalità violenta e diffusa (mafia) emersi nel convegno, accenna solo ed in modo rituale alle questioni della guerra, della pace, del rapporto Nord-Sud del mondo e ripete con enfasi la rigidità “non negoziabile” sulle questioni della vita, della famiglia, dell’omosessualità, dei Pacs, ignorando la ricca elaborazione teologica e pastorale degli ultimi anni in merito. Infine mi sembra che il Papa debba spiegare meglio cosa intende per “secolarizzazione interna alla Chiesa” di cui ha parlato. I responsabili di questo peccato siamo forse noi, cristiani critici, che ci richiamiamo sempre, con determinazione e pazienza, al Concilio Vaticano II, che veniamo esclusi da questi incontri e che siamo fermamente convinti che, invece di proclamarsi cristiani bisogna cercare di comportarsi da cristiani ?” (“Noi Siamo Chiesa” fa parte del movimento internazionale We Are Church-IMWAC, fondato a Roma nel 1996. Esso è impegnato nel rinnovamento della Chiesa Cattolica sulla base e nello spirito del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). IMWAC è presente in venti nazioni ed opera in collegamento con i movimenti per la riforma della Chiesa cattolica di orientamento simile.)[CO]

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