COMUNICATO STAMPA
11 settembre 2003
Da New York le vittime della violenza
dicono basta con la guerra
“Parteciperemo alla Marcia per la
pace Perugia-Assisi del 12 ottobre”
Perugia, 10 settembre 2003 - Nel
secondo anniversario degli attentati di New York, i familiari delle
vittime dell’11 settembre lanciano insieme alla Tavola della Pace
un appello contro la guerra e la violenza. “I nostri morti non
giustificano le guerre di Bush. La guerra non risolve i problemi. Il
terrorismo si vince con altri mezzi. La ricostruzione dell’Iraq
deve essere affidata alle Nazioni Unite. Riportiamo a casa i nostri
soldati. ”
I familiari delle vittime dell’11 settembre annunciano che
parteciperanno alla Marcia Perugia-Assisi “per un’Europa di
pace” e alla 5a Assemblea dell’Onu dei Popoli che si svolgeranno
dal 9 al 12 ottobre 2003 a Perugia.
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Messaggio dell’Associazione dei familiari delle vittime
dell’11 settembre “Peaceful Tomorrows” (New York) in
occasione del secondo anniversario della tragedia - 11 settembre
2003
L’Associazione dei familiari delle vittime dell’11
settembre “Peaceful Tomorrows” di New York ha inviato alla
Tavola della Pace un messaggio in occasione del secondo
anniversario degli attentati perché venga diffuso in tutto il
nostro paese. I fondatori di “Peaceful Tomorrows”
parteciperanno alla Marcia Peugia-Assisi “per un’Europa di
pace” e alla 5a Assemblea dell’Onu dei Popoli che si
svolgeranno dal 9 al 12 ottobre 2003 a Perugia.
Due anni fa, in questo giorno, i nostri cari hanno perso
tragicamente la vita nell’atto terroristico cha ha scosso gli
Stati Uniti e il mondo intero. Dal momento della loro morte,
mentre proseguiamo il nostro percorso di dolore, siamo stati
confortati dalla partecipazione solidale e premurosa di persone
di tutto il mondo che hanno dato il loro sostegno alle vittime
di questo terribile attacco. Eppure, l’approccio del nostro
governo in risposta alla morte dei nostri cari è in forte
contrasto con il buon senso e con le azioni confortanti della
gente comune. In occasione di questo secondo anniversario, ci
fermiamo a riflettere sulla pericolosa direzione intrapresa
dall’attuale politica statunitense e sulla necessità di un
nuovo approccio agli eventi dell’11 settembre volto a produrre
reale giustizia e sicurezza.
La morte dei nostri cari ha spinto il governo statunitense ad
attaccare l’Afghanistan e a rovesciare il governo talebano con
lo scopo di catturare Osama Bin Laden e altri membri di Al Queda,
considerati responsabili dell’attacco. Sebbene, inizialmente
le azioni militari abbiano avuto successo, Bin Laden è ancora
ricercato e recenti sviluppi rivelano il ritorno dei talebani e
di Al Queda nonostante il governo centrale continui a fare
richiesta di ulteriori fondi per la ricostruzione e la
stabilizzazione del paese. Di sicuro la nostra campagna militare
in Afghanistan un risultato lo ha avuto: ha aumentano il numero
delle famiglie che come noi sono in lutto. Afgani innocenti sono
stati uccisi da ordigni statunitensi, feriti da bombe a
grappolo, sfollati a causa dei combattimenti. Tutto ciò si è
aggiunto a 23 anni di guerre precedenti. Nei nostri viaggi in
Afghanistan abbiamo incontrato alcune di queste famiglie e sono
entrate nei nostri cuori come altre vittime della tragedia
dell’11 settembre.
Poco dopo l’11 settembre 2001, il Congresso americano ha
approvato la legge “Patriot” con lo scopo apparente di
rafforzare la sicurezza negli Stati Uniti, senza però prestare
troppa attenzione alle conseguenze. In questo clima di paura e
di panico, la legge Patriot e altre misure adottate, hanno eroso
le libertà civili americane minacciando soprattutto le comunità
degli immigrati. Ancora oggi, persone senza nome languiscono in
luoghi sconosciuti a causa di colpe ignote in nome della
giustizia americana. Ad oggi, non c’è nessuna prova che
queste misure ci abbiano reso più sicuri. Allo stesso tempo,
l’amministrazione statunitense ritarda l’avvio di
un’indagine aperta e onesta sugli eventi dell’11 settembre.
Lo scorso anno, di questi tempi, il presidente Bush durante la
commemorazione del primo anniversario della morte dei nostri
cari, colse l’occasione per iniziare la campagna per invadere
l’Iraq. Nonostante l’assenza di un collegamento provato tra
Saddam Hussein e gli eventi del 11 settembre, le insinuazioni
dell’amministrazione Bush, alimentate dalla paura pubblica di
nuovi attentati, hanno condotto il nostro paese verso una guerra
inutile, illegale e immorale, giustificata dalla morte dei
nostri cari defunti. Mentre le menzogne che nascondevano le
reali motivazioni di questa guerra stanno lentamente venendo
alla luce, i soldati iracheni e statunitensi continuano a
soffrire, con il bilancio dei morti che cresce ogni giorno. Oggi
ci fermiamo per onorare i morti iracheni e tutte le vittime
della guerra e per chiedere ai nostri leader di riportare a casa
sani e salvi i nostri soldati che hanno messo a repentaglio la
propria vita in questa incauta missione e di restituire il
controllo della ricostruzione dell’Iraq alle Nazioni Unite.
Uno dei nostri membri, il 14 settembre 2001, ha scritto al New
York Times: “Prego che questo paese che è stato così
profondamente ferito non dia libero sfogo a forze che non
avrebbero il potere di restituirci ciò che abbiamo perduto.”
E’ stato dato libero sfogo a queste terribili forze? Dopo
l’11 settembre l’America ha ricevuto la solidarietà del
mondo intero. Con la guerra in Iraq il sostegno e la solidarietà
internazionale si sono tramutati in odio e disperazione. Il
sentimento antiamericano sta crescendo in tutto il mondo: quale
migliore strumento per il reclutamento del terrorismo?
Come membri delle famiglie colpite, sappiamo che sentimenti di
paura e rabbia fanno parte di un processo di guarigione. Abbiamo
imparato però, che non è salutare agire spinti da queste
emozioni. La risposta del governo all’11 settembre ci ha
intrappolato nella paura e nel panico che abbiamo condiviso dopo
gli eventi scioccanti dell’11 settembre. Piuttosto che basare
la nostra politica sulla paura e la rabbia, chiediamo che il
governo agisca nel miglior interesse del popolo americano
riunendosi alla comunità delle nazioni per lavorare insieme
costruttivamente alla soluzione dei problemi mondiali del
terrorismo e della guerra.
Mentre l’11 settembre rappresenta una tragedia unica
nell’esperienza americana, è triste riconoscere che altri
popoli hanno avuto il loro 11 settembre senza alcun clamore. I
membri di Peaceful Tomorrows hanno incontrato altre vittime
della violenza nel mondo che sono diventate il punto di
riferimento dei nostri sforzi per trasformare il nostro dolore
in azioni di pace. Dai genitori palestinesi e israeliani che
hanno perso i propri figli nella violenza, alle vittime
dell’ambasciata americana in Kenya, alle madri delle persone
scomparse nell’America Centrale e in Sudamerica, ai
sopravvissuti della violenza più estrema - le bombe atomiche
buttate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki - i membri di
Peaceful Tomorrows si sono trovati ad esser parte di una
famiglia mondiale che ha conosciuto il terrore e che ha risposto
con la pace.
L’11 settembre ci ha insegnato che gli esseri umani possono
commettere violenze terribili gli uni contro gli altri. Ci ha
anche insegnato però, che il cuore umano è capace di superare
la paura e l’odio per costruire un mondo in cui non si
ripetano mai più altri “11 settembre”, in nessun luogo del
mondo. Questa è la speranza che ci deve far crescere come
persone e come nazioni.
Il 15 febbraio 2003 ha evidenziato un enorme cambiamento
mondiale, tanto che il New York Times lo ha messo in prima
pagina. Milioni di persone nelle strade di tutto il mondo hanno
marciato contro la guerra in Iraq dimostrando che ci sono due
superpotenze nel mondo: l’amministrazione Bush e l’opinione
pubblica globale. Siamo onorati di essere a fianco delle sorelle
e dei fratelli che nel mondo sanno di dover cercare un altro
modo di vivere insieme su questo pianeta.
Così, oggi, mentre piangiamo i nostri cari, riflettiamo e
ricordiamo, vi chiediamo di unirvi a noi per cercare insieme la
pace vera, la sicurezza e la giustizia. Lo dobbiamo ai defunti,
ne abbiamo bisogno per i vivi e dobbiamo farlo per le
generazioni che verranno. Camminiamo insieme verso un futuro di
pace.
Peaceful Tomorrows, New York, 11 settembre 2003
Traduzione a cura di Emilia Mastropierro, segreteria della
Tavola della Pace |
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