Il messaggio di Borsellino di Antonio Ingoia Ricorre domani il dodicesimo anniversario della strage di via D’Amelio, in cui Paolo Borsellino venne brutalmente assassinato con i poliziotti della sua scorta. Un’occasione in cui si torna a parlare di mafia per ricordare un passato triste, ma glorioso. Poco, pochissimo si parla invece di mafia in riferimento al nostro presente. Ci sono le brillanti operazioni di polizia, le notizie di cronaca nera e quelle di giudiziaria su questo o quel processo, questa o quell’indagine più o meno clamorosa, spesso fonti di polemiche nei palazzi, ma vissute con crescente distanza dall’opinione pubblica. E c’è l’opera silenziosa dell’associazionismo (come quella di “Libera”) e del volontariato nelle scuole e nei quartieri, ad informare e costruire una cultura della legalità, lungo una strada impervia perché contrastata dal monopolio di una cultura consumistica. Poi il nulla. Prevale il silenzio e tanta indifferenza, di cui ha profittato la solita martellante campagna mediatica ostile a qualsiasi forma di autonomia della magistratura e di indipendenza dai poteri forti. Se proviamo a fare un bilancio di quest’ultimo periodo, credo che soltanto un’iniziativa sia stata capace di richiamare realmente l’attenzione dell’opinione pubblica più distratta, di quella parte di società siciliana scesa per le strade in quell’ormai lontano 1992 per manifestare il proprio sdegno, ma poi ritirarsi del proprio privato. Si tratta di una singolare iniziativa di quei giovani palermitani, rimasti anonimi, che hanno affisso sui muri della città un manifesto con una scritta dal significato diretto e immediato: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Un messaggio che per la sua immediatezza, per la novità del mezzo di comunicazione usato e per il destinatario ricercato (il “passante”, e non il fruitore dei mass media) ha avuto un effetto deflagrante ed il merito di avere suscitato un dibattito fra i cittadini sull’accettazione supina della presunta invincibilità del sistema di potere mafioso, più di quanto non vi siano riusciti tanti “ addetti ai lavori”. Ma è certamente amaro dover constatare che questi giovani per trovare la forza di lanciare il messaggio hanno “dovuto” restare nell’anonimato, precludendosi la possibilità di partecipare al dibattito suscitato dalla loro iniziativa. Riflettiamoci bene in questi giorni di commemorazione. Commemorare: una parola chiave per una città come Palermo, che ha una storia disseminata di lutti, sangue e dolore lungo quello che con enfasi spesso ipocrita, viene definito il fronte dell’antimafia”. Che significa oggi il “commemorare” Paolo Borsellino ? L’etimologia della parola – si sa – allude al momento collettivo: cum memorare, ricordare insieme. La comunità si stringe intorno ai suoi morti, si emoziona nel loro ricordo e fa “memoria”, e cioè elabora progetti per il proprio presente e il proprio futuro che si ispiri al loro operato, additato ad esempio. Ed allora domandiamoci, innanzitutto: in questi giorni, in questi anni, si è fatta vera “memoria” nel nome di Paolo Borsellino e degli altri “caduti” (altra parola appesantita dall’uso retorico che tanti ne fanno) nella lotta alla mafia? Possiamo dire con franchezza che la giornata di domani sarà il momento solenne in cui l’intera comunità palermitana, siciliana, nazionale si stringerà intorno ad un’autentica commemorazione di Paolo Borsellino? O forse è venuto il momento, anche, del confronto franco e delle prese di distanza? Non si tratta di tirare la giacchetta dell’eredità di Borsellino, lo sport preferito di coloro i quali quell’eredità – magari – l’hanno dispersa. Dico soltanto che questo è certamente il momento della riflessione sulle alleanze per costruire un terreno comune di progetti per la legalità, ma anche del confronto. Certamente, ogni cittadino, al di là della sua collocazione politica, non può che guardare con simpatia all’iniziativa che il movimento dei “ professori” ha avviato a Palermo su questo terreno all’interno del centrosinistra. Ed anzi v’è da chiedersi come mai non vi siano intellettuali che avvertano la medesima esigenza d i rinnovo, all’insegna della cultura della legalità, anche nella galassia del centrodestra. Ma è anche il tempo delle distinzioni e dell’assunzione delle responsabilità. Paolo Borsellino nel 1988 scriveva che il nodo della lotta alla mafia è “essenzialmente politico” , Ed allora mi domando: siamo in grado di aprire oggi un serio dibattito su questa affermazione dio Paolo Borsellino? Un dibattito sulla questione cruciale della distinzione fra responsabilità penale e responsabilità politica , nel segno della separazione degli ambiti di intervento della politica e dell’azione giudiziaria, in modo tale che la politica riconquisti il suo primato sottraendosi al condizionamento di questa o quella fuga di notizia più o meno falsa, più o meno pilotata su questa o quella indagine. Ne saremo capaci? Il miglior modo di “commemorare” Paolo Borsellino non è forse quello di cercare di mettere in atto ciò che quella voce nel deserto predicò, contro l’ostilità di tanti, dentro tanti Palazzi? testo integrale tratto da "La Repubblica-Palermo" - 18 luglio 2004 |