DELLA
VITA NON SI FA MERCATO
1. Gli esseri umani non sono
merce. Ci sono stati tempi, e purtroppo non sono finiti, in cui gl
esseri umani sono stati venduti e comprati, ciascuno con la sua
valutazione; c’era chi teorizzava la bontà, pratica e anche
etica, di tutto ciò. Pochi osavano muovere obiezioni; tra i pochi
che intuivano, inorridivano e denunciavano quello che a loro
sembrava un attentato alla verità inscritta in ciascuno di noi, ci
furono i cristiani, perché l’insegnamento di Gesù Cristo,
rivelando la dignità dell’essere umano nella sua verità e in
tutto il suo splendore, non permetteva di fare distinzioni. Infatti,
come ricorda San Paolo «non c’è più giudeo né greco; non c’è
più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché
tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28) e tutti siamo figli
dell’unico Padre.
Il progressivo riconoscimento dei diritti umani non ha estirpato
completamente l’antica tendenza a considerare gli esseri umani
come una semplice merce. A volte, anzi, si arriva a legittimare
presunti diritti per sottomettere altri uomini secondo logiche di
possesso, di potere e di sfruttamento. In molti angoli del mondo, in
quelli più poveri come in quelli più ricchi, e in molti settori
della vita la tendenza perdura, adeguandosi ai tempi e alle mode.
Si va dalla stessa soppressione della vita nascente con l’aborto
al commercio di organi dei minori, ai bambini soldato, alle
prostitute schiave, ai ragazzi e alle ragazze sottoposti ad abusi
sessuali, alla speculazione sul lavoro minorile, ai lavoratori
sottopagati e sfruttati, forme tutte di autentica schiavitù. In
ciascuno di questi casi la vita umana è umiliata e sfigurata con
cinico disprezzo.
Anche talune esasperate strategie di mercato considerano gli esseri
umani dei consumatori da studiare, manipolare, usare affinché siano
docili e reattivi alle logiche del consumo, indotto attraverso
tecniche pubblicitarie sempre più sofisticate e pervasive. Per le
reti televisive gli spettatori sono oramai solo numeri, “merce”
da vendere agli inserzionisti. E anche in politica, a volte, i
cittadini sono considerati merce, voti da scambiare e piazzare.
Ancora più gravi sono gli esiti di questa logica mercantile quando
essa viene applicata direttamente alla persona umana. Da tale logica
traggono linfa molti attentati alla vita umana, in particolare
nell’ambito della vita nascente. Non ci si può appellare a falsi
diritti per cancellare i veri e inviolabili diritti del più piccolo
e indifeso tra gli esseri umani: l’embrione. Per curare alcune
malattie con le cellule staminali si giunge a proporre la
sperimentazione indiscriminata sugli embrioni, giustificandone la
creazione in vitro, la manipolazione e la soppressione. Per avere
mano libera si arriva a strumentalizzare anche il legittimo
desiderio di maternità e di paternità, fino ad affermare un
inesistente diritto ad avere un figlio in ogni modo e in qualsiasi
condizione, anche fuori del matrimonio e in contesti di omosessualità.
L’assenza di criteri etici e di regole chiare, che partano dalla
tutela dell’embrione e dai suoi inalienabili diritti, apre la
strada a forme indiscriminate di uso e abuso della vita nascente e
finisce per favorire chi pensa di poter operare in questo campo con
logiche mercantili.
2. La vita è un dono fuori commercio. Nobile, sicuramente, è il
desiderio di divenire madre e padre. Ma questo non può avvenire a
ogni costo. Un figlio esige e merita di nascere da un atto
d’amore: dall’incontro e dal dono totale e reciproco di un uomo
e una donna, uniti in un autentico e stabile amore sponsale. Il
figlio stesso è dono, amore, incontro e relazione. Nasce, in altri
termini, da un atto del tutto gratuito, sottratto a ogni logica
utilitaristica o mercantile, perché l’amore non cerca il
tornaconto personale. Così accade con i figli che, nati da un
libero gesto creativo di una sposa e di uno sposo, sono a loro volta
esseri liberi: liberi della libertà spirituale che deriva
dall'essere, in ogni caso, primordialmente figli di Dio.
C’è in alcuni la tendenza, sia pure spesso inconsapevole, a
considerare i figli che devono nascere come degli “oggetti” di
cui si sente il bisogno per poter esaudire un proprio desiderio. Si
potrebbe persino dire che il movente non è troppo diverso da quello
che ci può spingere a sentire il bisogno di un’automobile o di
una bella vacanza. Il figlio viene così pensato, da subito, come un
oggetto che sarà posseduto da chi lo avrà “prodotto”; una
merce alla stregua di altre merci.
Ma della vita non si può fare mercato! Questa affermazione non è
arbitraria, né una mera esortazione più o meno accettabile; è un
fondamento decisivo della nostra società. Negandola, si insinua che
gli esseri umani possano, tutto sommato, essere cose da possedere.
Nessuna società - tranne un’autodistruttiva società di predoni -
può reggersi sull’estensione senza limiti del concetto di
“possesso”. Non tutto si può possedere; non di tutto si può
fare mercato. Ce lo suggeriscono la ragione e il buon senso; ce lo
ricordano il Vangelo e duemila anni di pensiero cristiano. Occorre
che tutti ne facciano tesoro, a cominciare dai legislatori, dai
quali attendiamo leggi chiare nei principi etici ed efficaci nella
tutela della vita umana, nella consapevolezza - speriamo sempre più
diffusa e condivisa - che gli esseri umani non sono una merce e che
della vita umana non si fa mercato.
Come cristiani siamo chiamati ad annunciare con forza e coraggio
l’illuminante verità dell’amore del Padre che ci ha riscattati
donandoci la vita nel suo Figlio. La vita umana non ha prezzo perché
siamo stati comprati «a caro prezzo» (1Cor 7,23) dal Signore. «Ecco,
tutte le vite sono mie» (Ez 18,4), dice Dio per riaffermare che
ogni vita viene da lui e a lui anela. La comunità cristiana, «popolo
della vita», guardando ogni persona con l’occhio di Dio proclama
il Vangelo della vita non solo ai credenti ma a tutti e «gioisce di
poter condividere con tanti altri il suo impegno, così che sempre
più numeroso sia il “popolo per la vita” e la nuova cultura
dell'amore e della solidarietà possa crescere per il vero bene
della città degli uomini» (Evangelium vitae, 101).
Roma, 7 ottobre 2002