CULTURA E
SOCIETÀ
intervista. Da avventurieri a professionisti della sicurezza, ben
pagati e molto ricercati Parla la studiosa Gabriella Pagliani
Mercenari,
guerra chiavi in mano
Di
Antonella Mariani
Una volta
si chiamavano mercenari. Oggi sono i manager
della guerra. Professionisti
superqualificati e superpagati, assoldati dai governi nazionali per
gestire la sicurezza e combattere in posti lontani al posto o a fianco dei
soldati in divisa. La guerra chiavi in mano, insomma. Soltanto un film?
Non proprio: si calcola che in Iraq ogni 100 soldati americani
combattenti vi siano 10 moderni mercenari. Uomini di «società
militari private» (la Private
Military Companies, Pmc), impegnati nella logistica, nel controllo di
installazioni militari e pozzi petroliferi, nel pattugliamento di
obiettivi «sensibili». La studiosa
Gabriella Pagliani, docente alla
facoltà di Scienze politiche della Cattolica di Milano, si spinge a
chiamarla la «privatizzazione della
politica estera», in un libro
avvincente e molto documentato (Il mestiere della guerra. Dai mercenari ai
manager della sicurezza, con la collaborazione di Aldo Pigoli) in uscita
nei prossimi giorni per FrancoAngeli.
Professoressa Pagliani, come è avvenuta la trasformazione da mercenari a
manager della guerra?
«I soldati di ventura hanno avuto il loro periodo di gloria attorno agli
anni Sessanta nel continente africano, dopo l’abbandono degli imperi
coloniali da parte dei Paesi europei. Il fenomeno si è ripresentato
sempre in Africa negli anni Novanta: guerre civili efferate fecero
affiorare una richiesta diffusa di protezione. Alcuni governi e gli
ambienti legati allo sfruttamento delle risorse minerarie e petrolifere
– in Sierra Leone come in Congo e in Angola – ingaggiarono armate
private per combattere la guerriglia e per proteggere i loro impianti.
Sono nate allora le prime operazioni
belliche chiavi in mano affidate a professionisti della guerra».
Tratteggi l’identikit del moderno mercenario.
«I neomercenari sono preziosi polispecialisti civili e non solitari
avventurieri, come i loro predecessori degli anni Sessanta. Uomini con
forte esperienza militare si sono adeguati ai tempi grazie a una
sorprendente capacità imprenditoriale e hanno saputo creare una vasta
rete economica. Essi operano in società ben strutturate e legalmente
riconosciute, che possono fornire servizi specializzati nel settore della
sicurezza in tutto il mondo e a qualsiasi cliente, pubblico e privato,
istituzionale e non. I loro compiti vengono sanciti nei contratti
stipulati con l’organizzazione per la quale operano: sono dipendenti e
la durata del loro impegno può variare da un mese a più anni. Una delle
clausole più dure è il vincolo della segretezza: in caso di fuga di
notizie la pena è grave e prevede il licenziamento immediato. Quando non
sono in missione sono privati cittadini, richiamati in servizio attraverso
database aggiornatissimi. I loro stipendi sono alti e variano a seconda
delle prestazioni e della pericolosità della missione intrapresa. I
piloti di aviazione, di solito ucraini o russi, sono i più pagati e
possono guadagnare anche 100 mila dollari l’anno».
L’accresciuta esigenza di sicurezza nel mondo vedrà nel prossimo futuro
un boom della società militari private?
«Le società private militari e di
sicurezza sono in continuo sviluppo.
Il ricorso a queste società è senz’altro più conveniente per gli
Stati, in quanto il numero dei dipendenti impegnati in azione si riduce a
poche centinaia e il loro intervento sul campo limitato nel tempo. Ciò a
differenza delle pletoriche missioni Onu che prevedono migliaia di uomini,
con costi giornalieri esorbitanti. Altro fattore determinante è che i
neomercenari sono e rimangono civili e il governo non deve rendere conto
all’opinione pubblica di eventuali loro "perdite". Basti
pensare all’attuale sindrome dei bodybags: gli oltre 400 soldati
americani morti in Iraq dall’inizio delle operazioni mette in crisi il
governo e mina la popolarità del presidente degli Stati Uniti. I soldati
privati costano meno di quelli pubblici: niente divise, né pensioni né
assistenza sanitaria né funerali pubblici».
Si stima che 15-20 mila agenti privati abbiano af fiancato gli Stati Uniti
nella preparazione della guerra in Iraq. Eppure se ne parla pochissimo...
«Dati certi sulla presenza degli agenti privati in Iraq non ci sono,
proprio per la segretezza delle loro missioni. Quello che è certo è che
le stime indicano 10 civili ogni 100 soldati, mentre nella prima guerra
del Golfo erano stati impiegati due civili ogni 100 soldati regolari.
Spulciando le varie notizie di agenzie si può essere sicuri che civili
specialisti stanno operando attivamente in Iraq in vari settori. La
texana Halliburton, la società di servizi e impianti petroliferi di cui
era presidente l’attuale vice di Bush, Dick Cheney, ha il monopolio
della sicurezza dei pozzi petroliferi,
un obiettivo ottimale per i fedeli di Saddam, ma che sono riusciti a
colpire soltanto due volte e in maniera limitata. Nel
settore delle sicurezza sta operando anche Control Risk, una famosa società
britannica».
Le società militari private in America svolgono attività di lobbying; in
genere sono guidate da alti ufficiali a riposo. Non si creano pericolose
commistioni con la politica?
«In effetti l’attività di lobbying per ottenere le commesse più
prestigiose è fortissima. Le 35
principali società contrattiste risiedono territorialmente in Virginia, a
pochi passi dal Pentagono. Ultimamente
sono state messe sotto accusa varie società, legate a importanti uomini
politici, che hanno ottenuto appalti in esclusiva senza gara. Queste
società, cui il Pentagono subappalta incarichi per non avere problemi e
sottrarre certe operazioni dall’esame del Congresso, sono diventate in
pratica la longa manus della politica estera americana.
Il fatturato complessivo di questi contractors raggiunge i 100 miliardi di
dollari l’anno, ossia un quarto del bilancio del Pentagono».
testo integrale tratto da
"Avvenire" - 9 dicembre 2003
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