IL
BOSS IN MANETTE
Nel suo appello anche l’invito al vecchio padrino
a
ffinché
intraprenda «un ritorno a Dio attraverso il cambiamento di mentalità»
Mafia e
Vangelo: inconciliabili
De Giorgi: Provenzano aveva
cinque Bibbie? Ma il crimine è sempre contro Dio. La piovra «per le sue
motivazioni, per le sue finalità, per i mostruosi mezzi e metodi
adoperati, è una struttura di peccato»
Da Palermo Alessandra
Buscemi
La mafia è inconciliabile col Vangelo.
Lo ha gridato dalla Valle dei templi 13 anni fa Giovanni Paolo II, lo
ripete oggi con vigore il cardinale Salvatore De Giorgi, all'indomani
della cattura del latitante più ricercato d'Italia, sul cui capo pesano
le accuse di centinaia di stragi. Un'annotazione importante, quasi
necessaria, per sgombrare il campo da eventuali interpretazioni date ai
numerosi segni di religiosità trovati nell'ultimo covo di Bernardo
Provenzano. Il capo di Cosa nostra teneva una Bibbia aperta sul cuscino,
altre quattro sul comodino, sottolineate in più punti con un penna rossa,
e una corona di Rosario vicino al letto. Oggetti a cui qualcuno
precipitosamente ha voluto attribuire un ruolo ben preciso, magari un
avvicinamento del capomafia alla fede o addirittura una crisi mistica, ma
che rientrano nel più tradizionale dei cliché mafiosi, quello del boss
feroce con la croce al collo e le immagini dei santi nel portafogli.
Così il cardinale Salvatore De Giorgi, congratulandosi con la Polizia di
Stato per la cattura di Provenzano, coglie l'occasione per ribadire la
condanna della Chiesa nei confronti della mafia. Il fatto che il blitz sia
avvenuto durante la Settimana Santa, è «un ulteriore e importante segno
pasquale di liberazione e di riscatto della nostra Regione dal bubbone
pestifero della mafia, davanti alla quale non bisogna mai abbassare la
guardia, per debellarla e sconfiggerla, soprattutto attraverso la
mobilitazione delle coscienze, il culto della legalità e l'azione
concorde di tutte le forze culturali, sociali, politiche e religiose».
Per questo è motivo di amarezza per l'arcivescovo l'aver appreso che il
pericoloso latitante, sul quale grava l'accusa di numerosi e atroci
delitti, abbia fatto riferimento alla Sacra Bibbia, a immagini di santi,
invocando perfino la benedizione e la protezione di Dio: «Come da dieci
anni non mi stanco di ripetere - osserva il cardinale De Giorgi - la
mafia, per se stessa, per le sue motivazioni, pe r le sue finalità, per i
mostruosi mezzi e metodi adoperati, è una struttura di peccato
assolutamente inconciliabile con la fede cristiana, col Vangelo e con
l'autentica religiosità: è contro Dio perchè è contro l'uomo».
A Provenzano, come capomafia, ma anche a tutti coloro che favoriscono il
dilagare della cultura dell'illegalità, sono dirette le roventi parole
rivolte da Giovanni Paolo II ad Agrigento, minacciando il giudizio di Dio
ed esortando alla conversione. E alla conversione l'arcivescovo di Palermo
invita Provenzano, affinché intraprenda «un ritorno a Dio attraverso il
cambiamento di mentalità e di vita e con la riparazione del male inferto
a tante famiglie, alla società e anche all'immagine della nostra Sicilia».
Un richiamo duro e quanto mai opportuno, vista l'abitudine dei boss di
mescolare con naturalezza devozione e ferocia sanguinaria. Riferimenti
religiosi molto concreti ci sono anche nel tradizionale rito di
affiliazione a Cosa nostra, quando il nuovo uomo d'onore si sottopone alla
"punciuta" del dito, da cui sgorga una goccia di sangue che
viene versato su un'immaginetta poi bruciata. E un continuo legame formale
con la religiosità si nota nella biografia dei più noti capimafia. Basta
andare un po' indietro con la memoria e con le cronache degli arresti, per
averne una dimostrazione. Michele Greco, uno dei più potenti patriarchi
di mafia, soprannominato il "papa", non si addormentava se prima
non leggeva la Bibbia che teneva sul comodino. Così come, prima di lui,
il boss Luciano Liggio, morto nel '93 e capo della cosca di Corleone, al
momento del suo arresto aveva con sé "Le confessioni" di Sant'Agostino.
Mentre Totò Riina aveva in tasca le immagini sacre di san Leoluca,
patrono di Corleone. Grande stupore, nel 1997, destò la notizia che
Pietro Aglieri, detto "u signurino", avesse nel suo covo
addirittura una cappella con tanto di altare, crocifisso, statua di San
Francesco, ceri votivi e inginocchiatoi. Al momento della cattura, stava
leggend o "La via di un pellegrino" di un anonimo russo,
edizione Adelphi, uno dei duecento volumi trovati, fra cui numerosi testi
filosofici, agiografici, gli atti del Concilio Vaticano II, pubblicazioni
periodiche delle Paoline. Il tutto attorniato da centinaia di immagini
sacre.
testo
integrale tratto da "AVVENIRE" -
13 aprile 2006