COOPERAZIONE
La guerra al
terrorismo affama i più poveri
La denuncia di
Christian Aid: aiuti contro la miseria dirottati su esigenze di sicurezza
di STEFANO
LIBERTI
Tra gli effetti
perversi della guerra globale al terrorismo lanciata dagli Stati uniti e
dai loro alleati non ci sono solo le torture venute alla luce in questi
giorni. L'ossessione militarista che ha investito alcuni paesi occidentali
ha avuto almeno un'altra drammatica conseguenza: l'aumento generale delle
povertà. A quanto denuncia l'organizzazione non governativa (Ong)
britannica «Christian Aid» in un rapporto reso pubblico ieri, i due
sviluppi appaiono strettamente correlati: gli aiuti per la lotta alla
miseria vengono ormai distribuiti in funzione di imperativi di sicurezza e
sono normalmente convogliati verso quei governi che hanno risposto con
prontezza all'appello lanciato da George W. Bush all'indomani dell'11
settembre 2001: «O con noi o contro di noi». Il rapporto dell'Ong
britannica, corredato dall'analisi di due casi studio - l'Uganda e
l'Afghanistan -, denuncia un ritorno alle prassi tipiche della guerra
fredda, quando il mondo era diviso in due campi ed era l'appartenenza a
l'uno o all'altro a definire la priorità dei donatori. Così, enormi
quantità di fondi già destinati alle popolazioni affamate o alla
cooperazione allo sviluppo sono oggi dirottati verso il rifornimento
militare di alleati improvvisamente divenuti strategici.
In questa nuova guerra fredda, paesi dal dubbio rispetto dei diritti umani
vengono foraggiati costantemente dai governi occidentali, in cambio della
semplice garanzia che si prodigherranno a contrastare non meglio precisati
«pericoli terroristici». Il caso dell'Uganda - per quanto poco noto -
appare emblematico. Nel nord di questo paese, è attiva da 18 anni la Lord
resistance army (Lra), movimento messianico guidato dal santone Joseph
Kony, che mira a instaurare un regime basato sui dieci comandamenti. Per
combattere questo gruppo ribelle, le cui prassi sono particolarmente
crudeli, il governo di Yoweri Museveni ha «riallocato» il 23 per cento
dei fondi originariamente destinati ai servizi sociali sulle spese
militari. Da allora, altri aiuti sono arrivati copiosi: l'Uganda e gli
altri alleati principali degli Stati uniti nel continente africano
(Tanzania, Kenya, Etiopia e Gibuti) hanno ricevuto nel luglio 2003 un
finanziamento di 100 milioni di dollari dall'amministrazione Bush, che ha
invece ridotto sensibilmente i programmi di lotta alla povertà.
Stesso discorso per l'Afghanistan: a quanto denuncia l'Ong britannica «i
2.2 miliardi di dollari di aiuti per il 2004 sono stati dirottati su
progetti militari e interventi d'emergenza piuttosto che su progetti di
sviluppo a lungo termine». Con una sfumatura in più: in Afghanistan,
come in tutte le crisi internazionali più mediatizzate, l'azione
umanitaria sembra esposta a un'altra forma di deriva. Le Ong vengono
spesso usate come braccio benevolo per le operazioni militari e la linea
di demarcazione tra azione umanitaria e azione bellica tende a sfumare,
tanto che il personale delle organizzazioni finisce per confondersi con
quello in divisa dell'esercito.
In questo scenario da nuova guerra fredda, l'occupazione dell'Iraq non fa
altro che confermare questa regressione: lo stanziamento del governo
britannico di 544 milioni di sterline (poco più di 800 milioni di euro)
per programmi da attivare in questo paese si ripercuoterà negativamente
su altri stati meno rilevanti, nei confronti dei quali il rubinetto è
stato chiuso.
testo integrale tratto da "Il
Manifesto" - 11 maggio 2004