RELIGIONE
Ambedue nei lager nazisti, il filosofo francese e il
teologo tedesco creano un presepio di parole. Mentre Efrem il Siro fa
cantare persino gli agnelli davanti alla grotta
Nella
culla con Sartre e Bonhoeffer
di
Gianfranco Ravasi
«Maria
sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e
che è Dio. Lo guarda e pensa: questo Dio è mio figlio. Questa carne
divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma
della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi
assomiglia. Nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un
Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio
caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e vive».
Di chi sono queste parole che delineano in modo così intenso il rapporto
materno-filiale tra Maria e Gesù? Di un autore spirituale? Di uno
scrittore cattolico alla Mauriac? Di un predicatore appassionato? No, è
nientemeno che Jean-Paul Sartre,
il filosofo ateo francese a dar voce, nel suo dramma Bariona
o il figlio del tuono (Christian
Marinotti, pagine 118, euro 14,50), alla madre di Cristo che stringe tra
le braccia quel Bambino che cambierà la vita del protagonista Bariona,
capo di un villaggio della Terrasanta oppressa dai Romani, «uomo di
cattiva volontà» ma col cuore aperto all'irruzione della grazia.
Opera composta per i detenuti del lager nazista di Treviri, questa sorta
di sacra e profana rappresentazione elaborata per il Natale 1940 è forse
il regalo più originale da farsi e da fare per il nostro Natale così
distante eppure così analogo a livello umano e spirituale.
Accanto a questo dono, per altro poco costoso, non avrei esitazione nel
collocare un tomo più corposo ma simile a un breviario, come lo sono un
po' i Meridiani mondadoriani: si tratta del Libro
dell'opera divina di
Ildegarda di Bingen (Mondadori, pagine 1318, s.i.p.), figura straordinaria
di mistica nata a Magonza nel 1098 e morta nel 1179, capace di intrecciare
in sé una forte esperienza visionaria con un'eccezionale acutezza
intellettuale. Strutturata in dieci visioni, l'opera è simile a un'«enciclopedia»
teologica il cui spettro tematico trascorre dalla cosmologia
all'escatologia, dall'ecclesiologia alla mistica e alla morale, sempre col
fremito dell'Apocalisse giovannea in filigrana. Lettura ardua ma
esaltante, dalla quale non si può uscire spiritualmente indenni.
Ma se vogliamo rimanere ancora immersi nell'atmosfera natalizia,
esorcizzandone però la retorica pastoral-luminaria, ecco due testi
diversi ma complementari. Da un lato, è suggestivo lasciarsi catturare
dal filo poetico-teologico del grande Efrem
Siro, poeta mistico del IV secolo,
che coi suoi Inni sulla Natività
e sul Natale (Paoline,
pagine 552, euro 32) punta anch'egli - come Sartre - spesso sulla figura
di Maria ma allarga il ventaglio tematico del suo canto all'orizzonte
teologico che il mistero dell'Incarnazione evoca, a partire dal battesimo,
non privandosi però anche di pennellate poetiche come quella
dell'agnellino dei pastori che bela di gioia perché sa che col sacrificio
del vero Agnello Cristo cesseranno le offerte cruente degli agnelli
rituali.
D'altro lato, c'è un libro che ci invita a lasciarci conquistare dal filo
musicale-teologico del Natale: è il delizioso volumetto
Cantate Domino
di Domenico
Pezzini, sacerdote e docente
universitario (Ancora, pagine 164, euro 11). Egli si muove lungo i
percorsi emozionanti ma anche spiritualmente profondi del gregoriano e di
Bach, di Charpentier e Scarlatti, di Händel e Berlioz, di Britten e di
Mendelssohn, svelando nella musica una grandiosa capacità di esegesi e di
lectio divina.
E proprio perché parliamo di esegesi, l'Incarnazione ha uno dei suoi
testi capitali di affermazione nel prologo del quarto Vangelo, gioiello
letterario e teologico. Ci permettiamo, allora, di suggerire un volume di
netta impronta scientifica ma di indole sintetica dedicato da più
biblisti all'Opera giovannea
(Elledici, pagine 556, euro 37).
L'immensa e secolare ricerca condotta attorno al Vangelo, all'Apocalisse e
alle tre Lettere di Giovanni viene quasi condensata in queste pagine che,
però, si aprono anche a prospettive inesplorate come quelle suggerite dai
nuovi approcci dell'analisi retorica, narratologica e
antropologico-culturale (non manca persino un confronto tra sindone e
testi pasquali giovannei).
Ora, uno dei temi tipici della teologia giovannea è quello dell'amore.
Vorremmo spingere, allora, i lettori più coraggiosi verso un percorso di
altura. Si tratta della lettura del saggio L'essenza
dell'amore di Dietrich
von Hildebrand, offerto in
un'esemplare edizione italiana con testo tedesco a fronte (Bompiani,
pagine 1040, euro, 30). Nato a Firenze da uno scultore tedesco, questo
filosofo ha 82 anni (siamo nel 1971) quando compone questa sorta di
trattato su una delle realtà più alte dell'esperienza umana e religiosa.
Egli è dal 1938 esule negli Stati Uniti, ove è riparato per sfuggire al
nazismo da lui osteggiato. La sua riflessione, che influenzerà la stessa
teologia morale cattolica, si allarga a tutte le iridescenze dell'amore
interpersonale (genitoriale, filiale, fraterno, amicale, personale) ma si
protende verticalmente verso l'amore divino e trascendente, in
un'esperienza umana e mistica di comunione, di gratuità, di reciprocità
e di donazione: «Nell'amore apriamo le braccia della nostra anima per
abbracciare l'anima dell'amato».
E, per concludere, un minuscolo librino di un grande teologo, anch'egli
oppositore ma alla fine martire del nazismo, Dietrich
Bonhoeffer, Il
mistero della notte santa (Gribaudi,
pagine 56, euro 6,50). Sono frammenti di meditazione: «Dio si è fatto
bambino. Eccolo nella mangiatoia, povero come noi, misero e inerme come
noi, un uomo fatto di carne e sangue come noi, nostro fratello. Eppure è
Dio, eppure è potenza. Dov'è la divinità, dov'è la potenza di questo
bambino? Nell'amore divino in cui si è fatto uguale a noi. La sua miseria
nella mangiatoia è la sua potenza. Nella potenza dell'amore supera
l'abisso tra Dio e l'uomo».
testo integrale tratto da
"Avvenire" - 6 dicembre 2003
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