Le
Parmalat sono tante
La Corte dei conti: «Non
c'è vigilanza sulle grandi imprese. Nessuna delle duemila vertenze che
abbiamo aperto segnalata dagli organi di controllo finanziario». Scoperti
riciclaggi e fondi distratti. Popolari e socialisti in Europa: serve un'Authority
continentale. La crisi fa altre vittime: 47 operai di Messina senza cassa
integrazione
di BEPPE MARCHETTI
Non c'è solo Parmalat
a popolare gli incubi dei piccoli investitori. I mancati controlli non
riguardano soltanto il gruppo di Collecchio, ma molte altre realtà
industriali grandi e piccole. Che sarebbero, quindi, a rischio di crack.
L'ha detto ieri il procuratore lombardo della Corte dei conti, Domenico
Spadaro. Il quale ha poi accusato gli organi di controllo finanziario,
sottolineando che nessuna delle quasi duemila vertenze aperte dalla corte
è stata dovuta a una loro segnalazione. Di un rafforzamento degli
istituti di vigilanza si è anche parlato a livello europeo. Popolari e
socialisti hanno anticipato che - durante il dibattito sul «caso Parmalat»
di mercoledì prossimo - proporranno la creazione di un'Autorità europea
che controlli i mercati finanziari del vecchio continente.
Il fronte giudiziario, intanto, è sempre più ampio, e ieri l'atmosfera
ha risentito anche di voci infondate sul suicidio in carcere di Calisto
Tanzi. Anche la magistratura svizzera ha aperto un'indagine su quattro
cittadini italiani, accusati di riciclaggio di denaro. A Milano sarebbe
imminente l'iscrizione di nuovi indagati. E a Parma c'è stato
l'interrogatorio di Fausto Tonna, potente ex direttore finanziario del
gruppo di Collecchio. Di solito molto loquace con i magistrati, Tonna non
ha detto più di un «Sto bene, grazie» ai cronisti. Ma agli inquirenti
potrebbe essere utilissimo per completare un puzzle di magheggi contabili
che ha sempre più tasselli al posto giusto.
In Svizzera, come si legge in un comunicato stampa del pubblico ministero
federale, i giudici hanno bloccato diversi conti correnti. Il sospetto è
che servissero per riciclare denaro sporco e creare fondi neri. E un caso
esemplare del meccanismo con cui questo è avvenuto in passato potrebbe
essere l'acquisto di Carnini, l'azienda lombarda di cui i pm hanno
disposto il sequestro un paio di giorni fa.
Ieri fonti investigative di Parma hanno annunciato d'aver ricostruito
questa vicenda. Secondi gli investigatori, Parmalat ha acquistato Carnini
allineando una serie di distrazioni di denaro. I fatti risalgono al 2001.
Parmalat voleva comperare Carnini, ma l'Antitrust bloccò l'operazione. A
questo punto, sostengono gli investigatori, Tanzi creò dei fondi
sfruttando gli «sconti» di Tetrapak (l'azienda che fornisce a Parmalat i
contenitori del latte). Questo fiume di denaro - decine di milioni di euro
- sarebbe poi finito alla famiglia Carnini seguendo un percorso quanto
meno contorto: dalle solite isole Cayman a una società americana, la
Boston Holding Corporation (che per i magistrati è riconducibile a Tanzi).
Infine, questi fondi sarebbero serviti ad acquistare una quota di Carnini
(il 55%), aggirando così il divieto dell'Antitrust.
Da un punto di vista contabile e produttivo, Carnini appare comunque
un'azienda sana. Non altrettanto si può dire delle sette società del
gruppo Parmalat che il tribunale civile di Parma ha ieri dichiarato
insolventi. Si tratta delle cosiddette società Olux, finanziarie olandesi
e lussemburghesi di cui il commissario straordinario di Parmalat, Enrico
Bondi, evidenzia il «ruolo chiave» per reperire fondi «attraverso
prestiti obbligazionari». Vale a dire per le distrazioni di denaro. Una
di esse, Parmalat Capital Netherlands, aveva debiti per 2,8 miliardi di
euro.
Una buona notizia per Bondi è invece venuta da Unicredito. La banca
guidata da Alessandro Profumo ha infatti concesso un prestito di 10
milioni che servirà - insieme ad altri, per un totale di 150 milioni - a
finanziare il piano di Bondi e a garantire la normale operatività del
gruppo di Collecchio. Sembra poi che, dopo le incertezze iniziali, anche
gli altri 18 istituti di credito siano orientati ad aderire al prestito,
pur riservandosi di quantificare l'impegno.
Ma la crisi di Parmalat continua a mietere vittime. Le ultime, in ordine
di tempo, sono 47 operai di un'azienda di Messina, la Cosal, che non hanno
ottenuto la cassa integrazione. La Cosal fino al 2002 si chiamava
Ciappazzi ed era di proprietà di Giuseppe Ciarrapico (ex patron della
Roma). Tanzi l'acquistò attraverso una società (la Cosal, appunto)
inattiva da tempo. Ieri un gruppo di operai della Cosal ha occupato per
protesta la sala consiliare della provincia di Messina. Da quattro mesi
tutti i dipendenti della Cosal sono senza stipendio. Venerdì una loro
delegazione incontrerà Bondi
testo
integrale tratto da "Il Manifesto" - 5 febbraio 2004