LE AZIONI DELLA FEDE
«Si stanno rivelando efficaci le strutture di aiuto preventivo messe in campo prima dello scoppio della guerra, ma adesso occorre moltiplicare gli sforzi pensando al futuro»

Caritas, la solidarietà in prima linea

don Vittorio Nozza
«È partita la vivace risposta delle nostre diocesi per un’emergenza infinita»

Da Roma Pino Ciociola

Operativi. E fin da molto prima della guerra. Caritas italiana si è mossa con largo anticipo per aiutare chi avrebbe sofferto. Una "lungimiranza" che sta dando i suoi frutti, come racconta don Vittorio Nozza, direttore di Caritas Italia.
Siete aiutati dagli italiani, monsignor Nozza, nell’impegno per la gente che soffre di questa guerra?
C’è grossa attenzione per quel che riguarda le comunicazioni quasi giornaliere che mandiamo a tutte le Caritas diocesane: ne abbiamo un riscontro molto forte.
Aiuti concreti?
Quasi tutte le Caritas diocesane si sono attivate per la sottoscrizione che permette loro, per così dire, di tenere viva l’attenzione nei confronti di questa guerra. E stanno affluendo in Caritas italiana una lunga serie di offerte: da quella della singola persona a quelle della famiglia, del gruppo, della comunità parrocchiale.
Siete soddisfatti?
Stiamo cominciando ad averne solo adesso la percezione, naturalmente tramite banca e uffici postali ci vuole sempre qualche giorno.
Comunque, a sentirla, sembrerebbe di sì.
Sicuramente. Anche se abbiamo la sensazione che le tante notizie su questa guerra rendono ancora un po’ confusa la gente. Tuttavia, sì, la risposta ci pare buona.
Qual è l’impegno di Caritas italiana nella zona di guerra?
Siamo legati alla rete di Caritas internationalis.
Cioè?
Nei mesi precedenti (la guerra, ndr) si è realizzato tutto un lavoro insieme alla Caritas Iraq perché questa, con i suoi ottanta operatori più alcuni volontari, potesse predisporsi ad un’eventuale guerra. Che purtroppo è arrivata.
E operativamente?
La presidenza della Caritas italiana aveva già messo a disposizione una prima somma perché i progetti alimentari, igienico-sanitari e di depurazione dell’acqua potessero essere sostenuti anche economicamente dalla Caritas irachena.
Adesso, don Nozza?
Per esempio, a Bayzan, nel Nord Iraq, sono iniziati i servizi di "cura preventiva", mentre quelli sanitari del team mobile di Sulaymaniya e Bayzan e New Halabja comin ciano oggi (ieri, ndr) e, sempre oggi, comincia la distribuzione di coperte, tappeti, stufe e taniche di cherosene alle cinquanta famiglie che vivono nelle tende.
Esistono anche quattordici centri di accoglienza sul territorio iracheno...
E in questi si sta sostenendo tutta l’azione d’intervento. Più il sostegno, soprattutto sanitario, agli otto piccoli ospedali che erano stati attivati proprio per le prime cure, i primi interventi. Tutto questo non direttamente, perché non ci è permesso l’ingresso, ma a supporto degli operatori di Caritas Iraq, che nel frattempo da ottanta sono diventati circa centocinquanta più altrettanti volontari.
Mentre il vostro centro di coordinamento è ad Amman.
Si. Però vale la pena che ripeta come il lavoro fatto precedentemente la guerra stia comunque fruttando buone azioni, visto che proprio allora sono state individuate le persone che poi, al momento opportuno, avrebbero potuto operare dall’interno nelle strutture, negli ospedali, nei luoghi di accoglienza che erano stati predisposti.
Andando avanti cosa accadrà?
Siamo molto preoccupati del fatto che cominciamo a vedere movimenti di persone che si spostano verso le località di campagna e che di conseguenza necessitano di una lunga serie di interventi.
E quando la guerra finirà?
Bisognerà compiere un intervento vero e proprio, diretto, nell’emergenza.
Avete già un’idea di quel che dovrete fare?

Bisognerà continuare con gli interventi alimentari, igienico-sanitari e di depurazione dell’acqua. Arrivando là dove ci fossero state distruzioni, dove si dovrà riprendere la vita e le persone avranno bisogno di presenza e accompagnamento. Cercheremo di aiutare a ricucire un cammino di vita quotidiana e di lenire le situazioni di dolore.

testo integrale tratto da "Avvenire" - 6 Aprile 2003

Speciale emergenza Iraq 2003