IDEE

Il video ha cambiato completamente il rapporto necessario e continuo tra elettori ed eletti I messaggi sono diventati pubblicitari, tendono non ad informare ma solo ad imbonire,a colpire le emozioni, non ad attivare il pensiero e i criteri di una valutazione. Così l’educazione civica finisce per perdere dignità e diventa uno spettacolo ridotto a slogan, privo di contenuti e di programmi

La politica spot fa salotto in tv

Essenziale è la scelta del look, la posa, la frase studiata per restare nella mente dello spettatore Il candidato ideale dev'essere elegante, prova il trucco più volte e appare spesso sul piccolo schermo

Di Vittorino Andreoli

La politica è cosa troppo seria per fiondarsi dentro una televisione malata. Finisce per perdere di dignità e diventare non politica-in-televisione, ma politica-da-televisione: spettacolo ridotto a slogan, privo di contenuti e programmi che ogni impegno politico deve avere e realizzare.
La televisione ha certo cambiato completamente il modo di dare conto ai cittadini delle cose fatte e da fare, ha cambiato il rapporto necessario e continuo tra politici e elettori. I messaggi sono diventati di tipo pubblicitario, tendono non a informare ma semplicemente a imbonire, a colpire le emozioni, non ad attivare il pensiero e i criteri di una individuale valutazione. Si limitano a suggestionare, e pertanto la politica si colloca più o meno sul piano delle cose, di una pignatta da mostrare e da magnificare.

Sono cambiate - per dire - le campagne elettorali che sono il punto di partenza della politica o di una sua stagione. Non c'è più nemmeno il comizio che, pur nella sua limitatezza, portava il candidato in piazza e lui poteva mostrare almeno un aspetto della sua personalità, se non altro la capacità di parlare, di sostenere un argomento, di convincere e di saper stabilire un legame di simpatia o di antipatia. Il comizio durava almeno un'ora e prevedeva uno scambio di battute con persone che approvavano e altre che dissentivano. Ora la campagna elettorale si riduce a pubblicità sui giornali, e a spot sullo schermo televisivo girati da un regista che fa del politico un attore, ben truccato, senza il sudore del comizio, senza lo scomporsi nei gesti delle mani e delle braccia.
Non si tratta necessariamente di uno spot soltanto commerciale, tuttavia include forme camuffate di pubblicità con un candidato elegante, che pronuncia una sentenza o una battuta, studiata per rimanere nella mente dell'elettore. Più importante è vederlo con insistenza sullo schermo e ciò dipende dalla sua disponibilità economica, e magari dalla possibilità di accedere ad una via privi legiata, fino al possesso di televisioni, che possono clonare le immagini e insistere su uno slogan elettorale fino a renderlo automatico.
Essenziale è la scelta del look, la posa, la frase ad effetto, e allora si prova il trucco più volte e lo slogan lo si ripete all'infinito fino a che sembri sgorgare spontaneamente dalle corde vocali del candidato. Esiste una tecnica pre-elettorale per rendere visibile il candidato oltre lo spot, per questo occorre che venga visto a manifestazioni di rilievo e magari fotografato con un personaggio caro alla gente: con il Papa, o almeno in prima fila durante una celebrazione sacra in San Pietro. Insomma il numero dei voti si lega ad abilità di gestione e ripetizione delle immagini televisive.
Una tappa della vita politica è il dibattito televisivo in cui si devono fronteggiare uno o più candidati di altri partiti o schieramenti. Si fonda sullo schema del nemico, e quindi ciascuno tratta l'avversario come se fosse il demone, l'ignorante, l'incapace di governare a confronto del proprio amore e della propria spassionata vocazione al governo in nome della giustizia, della libertà e del bene comune. Insomma, in televisione la contrapposizione è quella tipica della lotta, quindi si tratta di opporsi alle affermazioni dell'altro senza badare ad un contributo specifico, senza l'obbligo di spiegare in positivo. Anzi ogni spiegazione si allontana dallo stile-spot e non riesce ad impressionare: per ragionare deve entrare in azione il pensiero e non l'emotività, e questo richiede tempi di esplicazione che non sono disponibili e che comunque sarebbero subito interrotti dall'avversario poiché interrompere significa, in linguaggio televisivo, coraggio, decisione e non certo maleducazione e violenza.
Nel caso di un confronto tra due candidati premier si parte dai trucchi di ripresa e si giunge alla scelta del conduttore, di chi dovrebbe limitarsi a fare l'arbitro, e magari tifa nascostamente per un candidato. Creduto indipendente, ma di fatto di parte. Si arriva a giocarsi l'ultima parola, quella che chiude la trasmissione.
Importantissimo è sorridere, non mostrarsi preoccupato poiché può significare paura. Non spiegare nulla perché molti - nel migliore dei casi - non capirebbero; è sufficiente assicurare che con la propria vittoria si avrà benessere, che i figli avranno futuro e l'Italia diventerà un gigante nella vita internazionale.

Al di fuori della competizione, il conflitto elettorale continua e tutto si ripete: non si spiega mai il perché di una critica dell'opposizione alla maggioranza, mai i termini per difendere una legge o un decreto, presentato comunque come vantaggioso sempre per gli elettori e per la loro libertà. Continua la cultura del nemico: l'opposizione recita la giaculatoria dell'incapacità di governare di chi sta al governo, la maggioranza proclama continuamente i risultati straordinari raggiunti e ciò nonostante l'opposizione che sempre fa ostruzionismo e sarebbe contenta di gettare nell'indigenza e nella miseria un Paese solo per sconfiggere la controparte e quindi incurante del bene del Paese.
Occorre tenere presente che ancor più importante dell'audience, nella battaglia politica elettorale o di gestione del mandato di governo, sono i rilievi di gradimento sul governo nel suo insieme e sul leader nello specifico. Rilievi di opinione possibilmente settimanali se non giornalieri per misurare la «temperatura» governativa; un buon leader deve controllare le curve di opinione ogni mattino al risveglio e in base a esse prendere le decisioni. Se la tendenza è in discesa e dunque il governo o il leader risultano meno amati, allora bisogna subito mettere in scena uno spot che spinga la gente a «comprendere» il governo, e a valutare "adeguatamente" le difficoltà che il leader incontra. Si tratta della risposta per contrario.
Se si afferma che esiste un contrasto tra il capo del governo e il presidente della Repubblica, si provvederà subito a stilare un comunicato per dire che il leader di governo è andato al Quirinale su invito del capo dello Stato il quale l'ha ringraziato per qualche iniziativa rilevante per l'Italia.
Questa tecnica è possibile con la televisione che ha sostituito la cosiddetta dialettica del confronto di idee e di soluzioni politiche. Questi interventi sono tesi solo a mantenere i sondaggi di opinione favorevoli e ciò significa che, se in quel giorno gli italiani dovessero esprimere la preferenza per il premier, lo sceglierebbero ancora.

Le indagini serie di opinione sono naturalmente più complesse e vengono divise per strati o fasce di popolazione. Se gli industriali sono critici e negano il loro supporto, bisogna fare un decreto e dare qualcosa. Analogamente se sono i pensionati a esprimere insoddisfazione. Il principio che sostiene questo atteggiamento (politica della politica) è che veramente uno spot è in grado di spostare l'opinione e di mutare un rilievo di affinità. Non esiste più una politica di governo, una strategia delle scelte operative, ma un frammentarsi di interventi a correzione dei trend di sostegno o di perdita di credibilità nell'opinione pubblica.
Comunque, non bisogna mai mollare la denigrazione dell'avversario: definirlo un poveretto e un incapace, identificarlo come nemico e quindi attribuirgli tutti i vizi possibili. Non avere nulla da condividere con lui e quindi alcuna possibile collaborazione, in alcun caso.
Il sondaggio come il fulcro della politica, e la risposta fornita alla gente sulla base del sondaggio è la vera manovra politica. Utile allo status quo e quindi al restare in sella. Importante è il sondaggio di opinione, il resto non conta. Poiché governare significa stare al potere e al potere si rimane con il voto, condizionato dai sondaggi.
È fin troppo facile rilevare che la politica televisiva è un vero meccanismo di gestione del potere e che, poiché non impegna le elaborazioni di pensiero e di programmi ma solo l'emotività, può diventare uno strumento che inibi sce l'esercizio della libertà e porta a scegliere un candidato semplicemente per induzione del marketing. Chi avverte con drammaticità la possibilità che la politica in televisione mascheri l'assolutismo da democrazia e che la scelta si riduca a un condizionamento da spot, non è un allucinato, ma semplicemente un cittadino che riesce ancora a pensare nonostante la televisione.
Chi è meno pessimista non può comunque negare che la politica da televisione ha impoverito fino a ridurre a gioco di parole e strategie di furbizia uno dei compiti che dovrebbero mostrare la grandezza dell'uomo, la sua socialità, il vivere insieme entro l'orizzonte del bene comune.

Della storia europea dei partiti democratici cristiani si sa poco e manca persino la curiosità di conoscere. Ma a chi termina di leggere il libro di Pierantonio Graziani viene senz'altro la voglia di saperne di più. Graziani non è un narratore neutrale. È un testimone e anche un protagonista. Prima da giornalista e poi da parlamentare democristiano, sia nazionale che europeo. Le sue valutazioni possono non essere condivise, ma non è agevole contestare il fondamento della sua analisi critica. Che parte, in verità, da molto lontano, cioè dai tentativi compiuti, da Lamennais a Sturzo e oltre, di aprire la cultura cattolica ad un approccio laico verso una modernità in larga misura ostile. Stabiliti comunque i confini entro i quali questi «figli di secondo letto» (come Graziani chiama i cattolici democratici) hanno operato lungo tutto il Novecento, c'è da riconoscere che fin dai primi incontri degli anni Trenta un ideale europeo circola esplicitamente nelle loro file. Conrad Adenauer, sindaco di Colonia prima dell'avvento di Hitler, lo enuncia con chiarezza. E dopo di lui, finito l'incubo della guerra, quel progetto è ripreso in tutta l'area devastata dal conflitto, in cui i partiti democristiani svolgono un ruolo di grande rilievo. A dire il vero, e l'autore lo sottolinea, l'impulso europeista viene più dalle perso nalità dei governi a guida democristiana che non dai rispettivi partiti, sempre troppo invischiati nel cabotaggio interno, i quali tuttavia figurano in prima linea nell'impresa dell'unificazione continentale e nella polemica contro gli avversari comunisti, fascisti, gaullisti e tatcheriani. Il grande mutamento avviene nel 1976, quando, per impulso della Cdu tedesca, nasce il Partito Polare Europeo, una struttura nella quale, a giudizio di Graziani, contano di più i numeri che le coerenze culturali, con il seguito di inclusioni di forze decisamente periferiche sia rispetto ai valori d'origine che alla stessa vocazione europeista. Ci sarebbe insomma - ed è la provocazione che invoglia ad indagare - anche una responsabilità democristiana (e in senso lato «cristiana») nell'affievolimento della linea federalista, sancito nel compromesso di Maastricht e ben visibile nei testi successivi, compresa la Costituzione in corso di definizione, che, per fare un esempio, offre all'Est un mercato ma non l'Europa del suo desiderio. Con all'orizzonte i fantasmi della xenofobia e del neopaganesimo che anticipano le linee di una nuova destra funzionale alle istanze del «maglio liberista». C'è insomma una pressante domanda di cultura politica. Ed urge che qualcuno si assuma il rischio laico della risposta?

Pierantonio Graziani
Laicato cattolico e cultura politica Una vicenda europea di due secoli
Portalupi Editore Pagine176. Euro 9,50

 

testo integrale tratto da "Avvenire" -  22 luglio 2003