LA MINORANZA PIÙ NUMEROSA

ZINGARI NEO-CITTADINI D'EUROPA

 

 di Ulderico Bernardi

Un popolo. E non dei minori. Quattro volte gli sloveni, il doppio degli irlandesi, più degli austriaci, tanti quanti gli svedesi. Sono i nove milioni di zingari sparsi per l'Europa. Nel mondo ce ne sono in tutto diciotto milioni, ma è qui, nel Vecchio Continente, che la loro storia si è accumulata da quando, nel quindicesimo secolo, raggiunsero il suolo europeo provenendo dall'India. Due terzi vivono tutt'ora nei Paesi dell'Europa Orientale, destinati a essere più o meno presto inseriti nell'Unione Europea. Con grandi concentrazioni in Slovacchia, dove sono circa mezzo milione, altrettanti in Ungheria, la Repubblica ceca ne conta trecentomila, quattrocentomila la Serbia, quasi ottocentomila la Bulgaria, tra un milione e un milione e mezzo la Romania. In Macedonia costituiscono il 10 per cento della popolazione. A Occidente sono numerosi in Spagna, Portogallo, Francia. In Italia si stimano intorno ai centomila. Il termine politicamente corretto, e ormai accettato dalla generalità, li designa come Rom. Che poi vuol dire «uomini liberi» nell'antica radice sanscrita. Tali in verità non sono mai stati. Infinite sono le grida, le ordinanze, i decreti, che ne bandiscono la presenza, ne ordinano la cattura o lo sterminio. Come tentò di fare Himmler, con il suo Zigeunerlass del 12 dicembre 1938, disponendo l'internamento degli zingari tedeschi nei campi di concentramento nazisti. Dove li raggiunsero altri infelici della stessa etnia, mano a mano che la svastica ricopriva l'Europa. In una sola notte, il primo agosto 1944, ad Auschwitz ne furono gassati quattromila. Alla fine, cinquecentomila dei loro erano finiti nei forni crematori. Seconda etnia dopo il popolo ebraico. Oggi, i discendenti di quei deportati conoscono altre forme di marginalizzazione. Meno cruente, ma certo letali per la pacifica integrazione. Moltissimi sono gli analfabeti. La vita media non raggiunge i 60 anni. I rapporti con gli Stati in cui vivono da secoli sono spesso pessimi. Anche se diversa è la storia vissuta a Est, dove sono per la massima parte sedentari, o a Ovest. Sono comunque europei a pieno titolo e come tali vanno considerati, alla luce dei principi di salvaguardia e tutela dell'identità che è richiesta per tutte le culture che fanno la ricchezza del continente. Ma la sfida è tutt'altro che facile, visto che finora non si è riusciti ad andare oltre la proposta dell'assimilazione pura e semplice. E i Rom stessi stentano a mutare. Spesso divisi da dialetti, usanze, attività. Una sola cosa li unisce: la tenacia con cui hanno sempre rivendicato la loro appartenenza culturale. Più alto si è fatto lo scontro con la modernità, più è cresciuto l'auto-apartheid. Per questo è assolutamente richiesto alle istituzioni Ue di individuare nuove forme di approccio a questa che è la maggiore delle minoranze continentali. Un'opera paziente, per riconoscere in concreto i loro diritti: alla famiglia allargata, a pratiche economiche consone alla loro antica mobilità, al lavoro artigiano. Alla conoscenza e trasmissione del patrimonio culturale che si definisce nel Romipen, il complesso delle specificità Ròmani: la lingua, gli usi, le consuetudini vitali. Restare zingari ed essere cittadini della nuova Europa. Una sfida per maggioranze e minoranze. Consapevoli, tutti, che nell'integrazione degli zingari si gioca la credibilità dell'Europa delle culture. Attenta alle vecchie minoranze (baschi, normanni, cimbri, catalani, zingari o quant'altri) ma altrettanto alle nuove minoranze che si vengono insediando con l'immigrazione di popoli d'altre provenienze. Un secolo fa, Gandhi ebbe a dire che uno Stato si giudica da come tratta le minoranze. L'Unione Europea, sempre più estesa nel continente, è davanti al giudizio del mondo.

testo integrale tratto da "Avvenire" - 6 Luglio 2003