LA LITURGIA DELLA VEGLIA PASQUALE

di Giusy Calderone

1. Tre giorni in un solo giorno

La Veglia pasquale della notte santa è parte del Triduo pasquale, cioè di quello “spazio di tempo” che prende nome dall’evento principale che è la risurrezione di Gesù il terzo giorno.

Triduo non vuol dire tre giorni in preparazione alla festa di Pasqua piuttosto significa la festa di Pasqua che dura tre giorni.

Tre giorni in un solo giorno, perché nella Pasqua di Cristo morte e risurrezione sono inseparabili, e a tal proposito S. Agostino stesso lo chiama: “Il sacratissimo Triduo di Cristo crocifisso (venerdì), sepolto (sabato), risorto (domenica).

Da quando inizia il Triduo pasquale?

“Il Triduo pasquale comprende il venerdì santo, il sabato santo e la domenica di resurrezione. Dato però il carattere pasquale della “cena del Signore”, entra nella celebrazione del triduo anche la messa vespertina del Giovedì santo. La domenica è insieme l’ultimo giorno del Triduo, e il primo del tempo di Pasqua.” (dalla Liturgia delle Ore)

Il Giovedì nella Messa in Cena Domini, noi celebriamo la pasqua rituale, memoria dell’Istituzione dell’eucaristia, o, per meglio dire Istituzione della memoria, cioè celebriamo l’Istituzione del memoriale, per questo troviamo i paramenti bianchi, i fiori e si canta il Gloria.

Allora il Giovedì sera è l’anticipazione di quel processo che è durato tre giorni, da quando lo Sposo è stato preso nel Getsemani e ci è stato tolto, fino alla sua risurrezione.

Il Venerdì e il Sabato sono i giorni in cui la Chiesa non celebra i sacramenti ( un tempo neanche la Riconciliazione perché si diceva che in questi giorni la Chiesa non generava sacramenti), sono i giorni in cui lo Sposo non c’è e allora si digiuna, sostando in preghiera presso il sepolcro, in attesa del suo ritorno (Mc 2, 18-20).

2. La madre di tutte le sante Veglie

Il culmine del Triduo è la Veglia pasquale della notte santa, considerata come “madre di tutte le sante Veglie”, come dice la Lettera Circolare sulla Preparazione e Celebrazione delle Feste Pasquali: “La Veglia pasquale, in cui gli Ebrei attesero di notte il passaggio del Signore che li liberasse dalla schiavitù del Faraone, fu da loro osservata come memoriale da celebrarsi ogni anno; era la figura della futura vera Pasqua di Cristo, cioè della notte della vera liberazione, in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro.” (n° 79), quindi per antichissima tradizione questa è “la notte di veglia in onore del Signore” (Es 12,42), se Dio non ha potuto dormire per noi, perché noi non possiamo stare svegli per lui, in attesa con tutto il creato?

Vegliare è un imperativo che spesso incontriamo nel Vangelo: “Vigilate perché non sapete quando il padrone di casa ritornerà” (Mc 13,35), “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione.” (Mc 14,38), poi nella parabola delle dieci vergini  “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25,12).

Vegliare significa tenere la lucerna accesa, non farsi trovare addormentati, essere sentinelle sveglie e protese nell’attesa di Dio, tenute deste dai morsi del digiuno e dalla sete profonda dell’attesa di ciò che deve venire e che dà senso alla vita, Cristo Gesù, il Risorto.

La Veglia pasquale è composta da quattro parti: la liturgia lucernale, la liturgia della Parola, la liturgia battesimale e la liturgia eucaristica.

3. La liturgia lucernale

Il lucernario (dal latino lucernarium: ora del giorno in cui viene accesa la lucerna) che risale alla Pasqua ebraica, noi lo troviamo descritto nella Tradizione Apostolica.

In uso nella Chiesa cristiana primitiva fino al IV sec., era il rito dell’accensione della lucerna, con il quale si iniziavano quotidianamente le preghiere della sera o che si celebrava settimanalmente all’inizio della notte tra il sabato e la domenica come segno di Cristo che con la sua risurrezione accende la luce e nasconde le tenebre per sempre.

Poi in Occidente scomparve tranne che nella liturgia delle Ore ambrosiana.

Da questa tradizione nella nostra Veglia pasquale troviamo un accenno di lucernario: la celebrazione comincia fuori, si spengono le luci della chiesa che deve rimanere vuota e al buio.

Viene acceso in un luogo adatto un grande fuoco “la cui fiamma deve essere tale da dissipare veramente le tenebre e illuminare la notte” (n° 82), è il fuoco nuovo di Pasqua, che fino a qualche decennio fa si accendeva con il fuoco nascosto il Giovedì santo.

Quando tutto il popolo è radunato intorno al fuoco che divampa cantando “il Signore è la luce” o un altro canto adatto, viene il sacerdote con il diacono e gli altri ministri, uno dei quali porta il cero pasquale.

Il sacerdote saluta il popolo con queste parole: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi”, poi con una breve esortazione, che può essere anche spontanea, continua “in questa santissima notte, nella quale Gesù Cristo nostro Signore passò dalla morte alla vita, (Il cristiano non passa dalla vita alla morte ma dalla morte alla vita) la Chiesa diffusa su tutta la terra, chiama i suoi figli a vegliare in preghiera. Rivivremo la Pasqua del Signore nell’ascolto della Parola e nella partecipazione ai Sacramenti; Cristo Signore confermerà in noi la speranza di partecipare alla sua vittoria sulla morte e di vivere con lui in Dio Padre.” Questa è la monizione generale di tutta la celebrazione, poi viene benedetto il fuoco nuovo dal quale si accenderanno i carboni del turibolo e il cero pasquale.

Il sacerdote prende il cero pasquale e lo accende al fuoco nuovo con queste parole: “la luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello Spirito.”.

La notte pasquale è caratterizzata dal passaggio dalle tenebre alla luce, l’accensione del cero dà la totalità simbolico-rituale alla celebrazione di questo mistero, per questo deve essere di cera d’api, e non di plastica come spesso avviene, perché la sua presenza in mezzo al popolo è simbolo del Risorto, luce del mondo, vera parola di fuoco fatta carne (Ger 23,29) che dice “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.” (Gv 8,12). Accendere il cero è proclamare questa fede. 

Se si vuole, lo si può preparare prima, incidendoci sopra la croce con A e , principio e fine, poi aggiungendo l’anno e, cosa ancora più facoltativa, infiggendo cinque grani di incenso.

Dopo l’accensione, il diacono prende il cero e subito canta “Cristo luce del mondo!”, intanto si inizia la processione verso la chiesa che è al buio e che viene illuminata dall’unica luce del cero. Alla porta della chiesa si ricanta “Cristo luce del mondo!” e il popolo accende dal cero pasquale le candele, infine si ricanta vicino all’altare “Cristo luce del mondo!” e tutta la chiesa viene illuminata: davvero Cristo illumina ogni spazio! Rimangono spente solo le candele dell’altare.

Il cero viene collocato sul candelabro posto accanto all’ambone e viene incensato insieme all’ambone e al testo dell’Exultet.

A questo punto il diacono va a cantare l’Exultet pasquale dall’ambone: il testo bisogna necessariamente cantarlo e può farlo anche un cantore.

Il testo è diviso in due parti: nell’introduzione è una sfolgorio di gioia Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste: un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. Gioisca la terra inondata da così grande splendore: la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo. Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa.”, poi il testo vero e proprio:  

“Questa è la vera Pasqua in cui è ucciso il vero Agnello…”

“Questa è la notte…” è un ritornello continuo fino a

“Nessun vantaggio per noi essere nati, se lui non ci avesse redenti.” Cioè la redenzione è più importante della nascita: con il battesimo rinasciamo per vivere sempre.

“O immensità del tuo amore per noi…per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!” quale padre dà il figlio in riscatto del suo schiavo?

“Felice colpa…” possiamo dire con le parole di Paolo che “dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.”.

“O notte veramente gloriosa che ricongiungi la terra al cielo e l’uomo al suo Creatore!”

“Riconosciamo nella colonna dell’Esodo gli antichi presagi di questo lume pasquale che un fuoco ardente ha acceso… Pur diviso in tante fiammelle non estingue il suo vivo splendore…” la luce del cero è stata divisa in tante fiammelle, tutti abbiamo attinto dal cero, però quel cero non si consuma.

“Ti preghiamo, Signore, che questo cero, offerto in onore del tuo nome, per illuminare l’oscurità di questa notte, risplenda di luce che mai si spegne. Salga a te come profumo soave, si confonda con le stelle del cielo. Lo trovi acceso la stella del mattino, quella stella che non conosce tramonto: Cristo tuo Figlio…”.  Non si può non cantare questa bella notizia, bisogna farlo in un’esplosione di gioia e con tutta l’anima.

4. La liturgia della Parola

Dopo la liturgia lucernale comincia la seconda parte della celebrazione con la liturgia della Parola. Questa notte la liturgia della Parola è molto tradizionale, più di tutto il resto, già in Giustino ed in Ippolito ne troviamo la descrizione nella notte della veglia per i battesimi, affermando che si passava tutta la notte in ascolto della Parola.

Questa liturgia della Parola è una catechesi/sintesi di tutta la storia della salvezza, il suo stile e la struttura sono una lunga lectio divina. Gli elementi della lectio secondo la tradizione monastica sono quattro: lectio, meditatio, oratio, contemplatio.

Noi ritroviamo questi elementi nella nostra liturgia della Parola: lettura, salmo, preghiera = lectio, meditatio, oratio (esempio: la I lettura ci narra la creazione, il salmo 103 che è la nostra risposta, canta la stessa creazione, la preghiera ne esprime il significato).

Quante letture proclamiamo? Abbiamo sette letture dell’A.T., sette salmi e sette preghiere, poi, dopo il canto del Gloria, una lettura dal N.T., il salmo 117 e il Vangelo della risurrezione.

I brani dell’A.T. sono momenti salienti della storia della salvezza, dalla creazione in Genesi, al sacrificio di Abramo, a Mosè fino ai profeti Isaia, Baruc ed Ezechiele.

Trovo interessante soffermarmi un momento sulle preghiere poste alla fine di ogni pericope, le quali sono grandi e bellissime composizioni della Chiesa antica (composte da Papa Leone I, S. Leone Magno) che ci aiutano a leggere le letture dell’A.T. in chiave tipologica, cioè quegli avvenimenti, pur rimanendo realtà, sono Tipo (in greco significa “figura”, “stampo”), prefigurazione del compimento nel N.T. .

Prendiamo la preghiera che segue al brano della creazione in Genesi “ Dio… illumina i figli da te redenti perché comprendano che, se fu grande all’inizio la creazione del mondo (Tipo), ben più grande, nella pienezza dei tempi, fu l’opera della nostra redenzione, nel sacrificio pasquale di Cristo Signore (Antitipo).”. Ecco perché questa è la settimana più grande anche di quella della creazione!

Dopo la settima lettura si accendono le candele sull’altare e si intona il Gloria, è un’improvvisa esplosione di esultanza insieme al suono delle campane, quelle campane che avevano suonato l’ultima volta il Giovedì santo e poi erano state legate, adesso vengono sciolte: è Pasqua!

Poi viene proclamata la lettura dell’Apostolo (Rom 6, 3-11) la quale dà il tono di tutta la celebrazione: egli non parla della risurrezione di Cristo ma piuttosto “di quanti siamo stati battezzati in Cristo” , cioè questa notte si celebra la nostra Pasqua, perché la nostra vita cristiana è una vita pasquale, cioè fondata sulla Pasqua di Cristo, noi celebriamo la nostra partecipazione alla morte, alla sepoltura e alla risurrezione di Cristo mediante il battesimo per  rinascere come creature nuove.

È il momento in cui il diacono va all’ambone per intonare solennemente l’Alleluia, che ritorna dopo l’astinenza quaresimale di quaranta giorni come l’Alleluia pasquale insieme al salmo 117, lo stesso che viene cantato durante la Pasqua ebraica, e subito dopo proclama il Vangelo “E’ risorto, non è qui!”, questa è la grande notizia, tutto il vecchio si rinnova!

5. La liturgia battesimale

Entriamo così nella terza parte della celebrazione con la liturgia battesimale, cioè la parte sacramentale che comprende, soprattutto lì dove ci sono catecumeni, tutta l’iniziazione cristiana. E questa liturgia, che dovrebbe essere battesimale, crismale ed eucaristica, è introdotta da un invito del celebrante ad invocare i Santi con il canto delle Litanie dei Santi per la benedizione del fonte battesimale.

Arrivati al fonte battesimale c’è la benedizione dell’acqua, che è la stessa usata ogni volta che si celebra un battesimo, è divisa in due parti: la prima parte come tutte le preghiere lunghe è un’anàmnesi, cioè un memoriale, la seconda parte invece è un epìclesi, cioè una invocazione.

Nell’anàmnesi noi ricordiamo tre momenti dell’A.T.:

le acque primordiali e lo Spirito che come una colomba le “covava”;
il diluvio prefigurazione del battesimo;
il passaggio nel Mar Rosso che ha liberato Israele dalla schiavitù;

e tre momenti del N.T.:

il battesimo di Gesù al Giordano;
l’acqua e il sangue che sgorgano dal costato di Cristo, simbolo della Chiesa che nasce a Pasqua dal costato di Cristo: l’acqua, lo Spirito e il sangue sono il battesimo, la confermazione  e l’eucaristia;
il comando di  annunciare il Vangelo a tutti i popoli battezzandoli;

Poi l’epìclesi “Ora Padre guarda con amore la tua Chiesa… Infondi in quest’acqua, per opera dello Spirito Santo, la grazia del tuo unico Figlio, perché con il sacramento del Battesimo l’uomo, fatto a tua immagine, sia lavato dalla macchia del peccato, e dall’acqua e dallo Spirito Santo rinasca come creatura nuova.” Invocando poi lo Spirito Santo, solo in questa notte il celebrante immerge nell’acqua il cero pasquale: “Discenda, Padre in quest’acqua, per opera del tuo Figlio, la potenza dello Spirito Santo. Tutti coloro che in essa riceveranno il Battesimo, sepolti insieme con Cristo nella morte con lui risorgano alla vita immortale.”  Cristo feconda le acque!

Questa benedizione si fa in ogni parrocchia anche se non ci sono battesimi da celebrare, lì dove invece non è parrocchia si benedice l’acqua lustrale che viene usata per aspergere il popolo, sicuramente non si può celebrare una veglia pasquale senza benedizione dell’acqua!

Dopo la benedizione dell’acqua, se ci sono catecumeni, vengono battezzati e poi confermati, poi c’è la rinnovazione delle promesse battesimali, segue l’aspersione con l’acqua benedetta e conclude questa liturgia battesimale la preghiera universale, alla quale, se ci sono, per la prima volta prendono parte i neofiti.

6. La liturgia eucaristica

Siamo arrivati alla quarta parte della celebrazione, con la liturgia eucaristica.

C’è però il pericolo che arrivati a questo punto si ingrani la marcia e si finisca tutto in fretta, perché siamo stanchi e vogliamo andare a dormire, è dunque cura del celebrante pregare, ad esempio, non la Preghiera Eucaristica II ma sempre  la Preghiera Eucaristica I, perché tutti capiscano che adesso è il culmine, l’eucaristia è il culmine dell’iniziazione cristiana e della vita di ogni cristiano, adesso mangiamo l’Agnello, quello vero!

Il Prefazio è il testo che dà il motivo particolare del nostro ringraziamento, della nostra eucaristia: “E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, proclamare sempre la tua gloria, o Signore, e soprattutto esaltarti in questa notte nel quale Cristo, nostra Pasqua si è immolato. È lui il vero Agnello che ha tolto i peccati dal mondo, è lui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita…”. Parole forti che devono prendere il cuore di ciascuno.

Dopo il Prefazio segue la Preghiera Eucaristica I o Canone Romano divisa in due parti: nella prima “In comunione con tutta la Chiesa mentre celebriamo la notte santissima della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo nel suo vero corpo…” ricordiamo la risurrezione di Gesù, mentre nella seconda “Accetta con benevolenza Signore l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia…te l’offriamo anche per i nostri fratelli… che ti sei degnato di far rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo, accordando loro il perdono di tutti i peccati.”  preghiamo per i neofiti che sono rinati come Figli di Dio.

Poi c’è la comunione pasquale, questa è la cena pasquale, quella vera, culmine del Triduo pasquale: lo Sposo ritorna perché è risorto e noi lo accogliamo con la lucerna accesa per banchettare con lui!

La preghiera dopo la comunione esprime il succo di tutta la celebrazione “Infondi in noi, o Padre, lo Spirito della tua carità, perché nutriti con i sacramenti pasquali viviamo concordi  (unanimi) nel vincolo del tuo amore.”. lo Spirito della carità/amore è lo Spirito dell’eucaristia, il fulcro dell’eucaristia e della Pasqua è l’amore vicendevole della prima comunità cristiana.

Allora questa Veglia ci invita a vivere come la prima comunità cristiana e in tutto il tempo pasquale la Chiesa ci farà proclamare gli Atti degli Apostoli, modello per la vita pasquale.

Alla fine il congedo da parte del celebrante “Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto. Alleluia, alleluia!”  ci accompagnerà per tutta la l’Ottava di Pasqua alle lodi, al vespro a alla messa.

Buona Pasqua!