"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

3 OTTOBRE 2010    -   XXVII DOMENICA Del Tempo Ordinario   - Anno C - 

                                                                                                 

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 

Prima lettura: Ab 1,2-3;2,2-4       Salmo: 94      Seconda lettura: 2Tm 1,6-8.13-14

   

VANGELO secondo Luca  17,5-10

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».




                                                                                                 




Servi del Signore
che non cercano l’utile proprio


1. Da molte domeniche ormai siamo accompagnati dal vangelo di Luca a contemplare il volto di Gesù. Infatti l’evangelista ci sta offrendo una grande catechesi sulla contemplazione del volto di Gesù in cammino-esodo verso il Padre, che comprende le pagine che vanno da Lc 9,51 a 21,38. È una contemplazione che intende coinvolgere ogni uomo e donna che si pongono all’ascolto di queste pagine, affinché facciano lo stesso cammino del Maestro, assimilino il suo stesso stile di vita.

La pagina del vangelo di questa domenica (Lc 17,5-10) fa parte di questa grande catechesi di Luca. Ora, se guardiamo al contesto più vicino, dobbiamo considerare la sezione di Lc 16,1-17,10 (della quale in queste domeniche abbiamo già ascoltato due pagine: 16,1-13 e 16,19-31), il cui tema di fondo sembra essere quello della gratuità di Dio: egli agisce nei nostri confronti condonandoci gratuitamente i debiti, fino a rimetterci di persona. E non solo, si compiace pure quando noi assimiliamo la sua sapienza, il suo stesso agire, quando noi – a differenza dell’uomo ricco – siamo attenti agli altri e in particolare ai “poveri Lazzaro” che stanno alle nostre porte o che incontriamo sul nostro cammino.

 

2. Di gratuità parla anche la pagina evangelica di questa domenica (Lc 17,5-10) specialmente se la consideriamo a partire dal v. 1, poiché vi è una unità profonda tra i vv. 1-10.

All’inizio, Lc 17,1-2, siamo richiamati a non scandalizzare i piccoli, cioè coloro che sono deboli, non ancora maturi in umanità e nella fede, coloro che sono più esposti alle intemperie della vita.

Ma di quale scandalo si tratta? Dell’incapacità sia di correggere e, in particolar modo, sia di perdonare il fratello che commette una colpa, ogni volta che egli si dichiara pentito (Lc 17,3-4), cioè si pone in un atteggiamento di conversione in cui inizia a cambiare il suo modo di pensare, di essere e di agire. Perdonare l’altro che si converte è un gesto di grande gratuità verso l’altro: significa dargli fiducia, offrirgli un’opportunità per ricominciare, aprirgli un orizzonte di speranza.

Certo, per compiere un vero gesto di perdono ci vuole un po’ di maturità umana e un po’ di fede grande… quanto un seme piccolissimo di senape… (Lc 17,5-6). Perciò gli apostoli dicono al Signore: «Accresci in noi la fede!». Si tratta di non appoggiarci sulle nostre logiche di risentimento e di vendetta, ma sulla sapienza del Signore che condona i nostri debiti (Lc 16,5-8) e vuole che anche noi li condoniamo ai nostri debitori (Lc 11,4). Aver fede qui significa entrare in relazione con un Dio “sprecone”, che non pensa al guadagno personale ma alla vita dell’altro, e assimilare la sua stessa sapienza di “sprecone”.

Ben ha fatto la liturgia ad accostare alla pagina evangelica quella di Ab 1,2-3; 2,2-4 (prima lettura), dove di fronte al male e all’ingiustizia che c’è nel mondo, solo il giusto che si affida al Signore non soccombe, né tantomeno imita i malfattori perché “così fan tutti”: «il giusto vivrà per la sua fede». Il giusto è colui si relaziona agli senza interessi personali, è colui che è attento all’altro e in particolare al povero, perché sa che questo è il modo di agire di Dio nei confronti della sue creature; perciò il giusto ha fede in Dio, si appoggia a Lui come ad una roccia (salmo responsoriale: Sal 94), trova in Lui quel sostegno cui aggrapparsi per vivere e non farsi trascinare dalla corrente del malaffare comune.

 

3. Oltre allo scandalo del non saper perdonare l’altro, la pagina del vangelo ci parla di un altro scandalo: quello dell’incapacità di vivere come servi del Signore che agiscono con gratuità, che non cercano l’utile proprio, non pensano ai propri interessi (Lc 17,7-10).

La parola “inutile” che qualifica il servo può essere fraintesa nel senso di svalutazione, di deprezzamento del nostro operare. In realtà qui l’accento cade ancora una volta sulla gratuità, perché ci viene chiesto di impostare la nostra vita sempre sulla sapienza “sprecona” di Dio, il quale nel suo agire non pensa a trarne un guadagno personale, né chiede a noi di farlo. Anzi ci chiama a vivere la nostra vocazione cristiana come servi del Signore che sanno agire nella vita animati dalla Sua gratuità, ovvero che non cercano l’utile proprio.

È in fondo ciò che riafferma l’apostolo Paolo quando ricorda al vescovo Timoteo (seconda lettura: 2Tm 1,6-8.13-14) che Dio «ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia».

 

Preghiamo allora che il Signore aiuti anche noi a riscoprire il valore della gratuità come parte integrante della vocazione cristiana, consapevoli che viviamo in una società, dove ciò che conta di più è l’efficienza, la ricerca dell’utile proprio e dell’interesse personale a danno della vita dell’altro, a danno in particolare del debole e del povero.

                                                                                        Egidio Palumbo
Barcellona PG (ME)