"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

22 MAGGIO 2011    -   V DOMENICA DI PASQUA   - Anno A - 


                                                                                                 

"LECTIO" DEL VANGELO DELLA DOMENICA a cura di fr. Egidio Palumbo 

Prima lettura: At 6,1-7      Salmo: 32      Seconda lettura: 1Pt 2,4-9

   

VANGELO secondo Giovanni  14,1-12


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.

Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.

In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».




                                                                     




Vivere in questo mondo come figli del Padre

 

1. L’itinerario mistagogico di questa domenica di Pasqua si sofferma sulla nostra relazione filiale con Dio Padre, relazione che Gesù ha vissuto con fedeltà e in modo autentico e profondo (Gv 14,1-12). Per questo egli è la via che ci conduce al Padre (Gv 14,6) ed è colui che ci mostra il vero volto del Padre (Gv 14,9).

 

2. La pagina del vangelo, che fa parte di un grande discorso intimo e familiare (Gv 13,31-16,33) che Gesù rivolge ai discepoli nel contesto della cena pasquale (Gv 13,1-2), inizia con l’esortazione a non essere turbati, agitati, spaventati, ma ad aver fede, ovvero a fondare la nostra esistenza in Dio e in Gesù: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1).

Sullo sfondo di questa esortazione vi è un altro grande discorso: quello che Mosè rivolge al suo popolo dopo l’esperienza della liberazione dalla schiavitù di Egitto, il cammino nel deserto e prima dell’ingresso nella terra promessa, terra che è dono di Dio al suo popolo.

Questo grande discorso di Mosè occupa quasi tutto il libro del Deuteronomio. E possiamo dire che è un grande discorso mistagogico, perché Mosè si impegna a far comprendere la profondità dell’esperienza vissuta, dove hanno sperimentato la presenza paterna e amore di Dio che si è fatto compagno di viaggio del suo popolo.

Ebbene, giunto all’ingresso della terra promessa, il popolo invia gli esploratori, i quali videro che i prodotti di quella terra erano buoni, ma rimasero scoraggiati alla vista dagli abitanti perché erano più grandi e più alti di loro, erano dei “giganti”, più bravi di loro in ogni cosa. Da qui la paura, l’agitazione e lo sgomento: il popolo si ritiene incapace di abitare quella terra e inadeguato ad entrare in relazione con quel popolo; perciò cominciò a pensare che Dio lo aveva ingannato, anzi odiato, e che era meglio rimanere in Egitto (Dt 1,26-28).

Di fronte a questa reazione del popolo, interviene Mosè con queste parole: «Non spaventatevi e non abbiate paura di loro. Il Signore, vostro Dio, che vi precede, egli stesso combatterà per voi, come insieme a voi ha fatto, sotto i vostri occhi, in Egitto e nel deserto, dove hai visto come il Signore, tuo Dio, ti ha portato, come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino che avete fatto, finché siete arrivati qui. Nonostante questo, non aveste fiducia nel Signore, vostro Dio, che andava innanzi a voi nel cammino per cercarvi un luogo dove porre l'accampamento: di notte nel fuoco, per mostrarvi la via dove andare, e di giorno nella nube» (Dt 1,29-33).

È l’esortazione a non spaventarsi degli abitanti della terra promessa, ma a fidarsi di Dio e della sua paternità, perché egli guida il cammino dei propri figli, cammina innanzi a loro per cercare un luogo dove sostare, dove accamparsi.

 

3. Se sullo sfondo c’è Dt 1,29-33, ci chiediamo: i discepoli di Gesù perché sono spaventati? di chi hanno paura?

Quando Gesù qui parla di “casa del Padre”, di “dimora”, di “posto”, non sta parlando di uno spazio geografico o fisico, ma di relazione: della relazione di comunione con il Padre, che lui vive in modo autentico, perfetto e trasparente, e, come un vero pedagogo, con il suo vissuto che realizza pienamente la Parola del Padre – per questo egli è la via, la verità e la vita, per questo egli “mostra” il Padre e per questo esorta a credere nelle sue “opere” – sta educando i discepoli a fare questa stessa esperienza di relazione filiale con Dio.

Ebbene, possiamo dire che la paura dei discepoli (e anche la nostra) è duplice: da una parte sono consapevoli, visti i limiti e la fragilità, di non farcela a vivere come figli di Dio Padre; dall’altra sono altrettanto consapevoli della tentazione, sempre dietro l’angolo, di avere la presunzione di diventare come tanti piccoli “padreterni” su questa terra, calpestando la dignità e i diritti degli altri, mancando di rispetto e di attenzione verso gli altri, facendo ciò che pare e piace, senza tener conto degli altri.

L’esperienza di Gesù qui diventa esemplare, perché egli, pur vivendo una relazione di comunione profonda e perfetta con il Padre («Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio», «Chi ha visto me, ha visto il Padre», «io sono nel Padre e il Padre è in me»), non è mai stato tentato di scalzare il Padre per sostituirsi a lui. Egli rimane sempre il Figlio che, vivendo in noi come Risorto, ogni giorno ci educa a vivere come figli.

 

4. Ma come vivere da figli del Padre senza la presunzione di voler diventare dei piccoli e dispotici “padreterni” in questo mondo (altra cosa è l’esercizio della paternità spirituale)?

Si sa che questa tentazione prende spesso le persone religiose e anche, oggi molto ricorrente, certi “atei devoti”. Le due letture bibliche che la liturgia accosta alla pagina del vangelo al riguardo sono illuminanti.

Da una parte la prima lettura (At 6,1-7) mostra una chiesa che seriamente discerne come porsi al servizio dei poveri e degli indifesi (le mense e le vedove), senza trascurare la preghiera e il servizio della Parola di Dio; realizzando così quel giusto equilibrio tra Parola ascoltata e annunciata e Parola testimoniata e vissuta.

Dall’altra, la seconda lettura (1Pt 2,4-9) esorta noi, popolo di Dio, a rimanere legati, in un relazione di comunione profonda, con il Cristo “pietra scartata” dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio. Solo rimanendo fondati su questa “pietra scartata” sapremo vivere sulla terra come figli di Dio Padre ed essere attenti e solidali con tutti gli “scartati” della storia.

 

Chiediamo, allora, con il salmista (salmo responsoriale. Sal 33) che in questo mondo, così malato di egocentrismo e di individualismo, l’amore paterno di Dio guidi i nostri passi e quelli di tutto il popolo di Dio, affinché diventiamo segno di speranza per tutti coloro che oggi non hanno speranza.

 

 


                                                                                        Egidio Palumbo
Barcellona PG (ME)